E’ contrario il voto del Pd in commissione Affari costituzionali al decreto comunitario che contiene la riforma della normativa sui servizi pubblici locali. Una riforma nascosta nelle pieghe di un decreto “salva-infrazioni” per eviatre multe dalla UE, che è stato inzeppato dei provvedimenti più diversi.
Lo ha fatto sapere il deputato democratico, componente della I commissione di Montecitorio, Paolo Fontanelli che ha spiegato: “La nostra contrarietà deriva sia da ragioni di metodo che di merito. Nel metodo perché il governo, ancora una volta, usa un decreto per introdurre una quantità gigantesca di norme estranee alla finalità dichiarata provvedimento. Tra queste, tutta la riforma della normativa sui servizi pubblici locali di cui abbiamo chiesto lo stralcio. Nel merito – prosegue – il nostro dissenso deriva da un giudizio fortemente negativo su una riforma che giudichiamo parziale, insufficiente e sbagliata perchè non distingue tra settori e perchè prefigura un privatizzazione del tutto incoerente con l’obiettivo della liberalizzazione e che avrebbe come unico effetto la sostituzione di monopoli pubblici con monopoli privati senza alcun vantaggio per i cittadini utenti. Sulla privatizzazione dell’acqua e dei servizi idrici – sottolinea Fontanelli – il nostro giudizio è ancora più severo: l’acqua è e deve restare un bene pubblico”.
Un principio che la scorsa settimana il PD ha ribadito con un emendamneto approvato in Aula.
“Su questo – conclude – non faremo passi in dietro, l’acqua è un diritto che va garantito a tutti i cittadini, ed e’ impensabile che si possa affrontare un tema così importante all’interno di un decreto omnibus senza, tra l’altro, prevedere un’autorità di regolazione”.
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da sito del Partito Democratico, riportiamo un articolo del 6 novembre scorso sempre sullo stesso tema
Privatizzano anche l’acqua!
Da Berlusconi regalo da 8 miliardi di euro a grandi aziende e multinazionali: il monopolio dell’acqua. Il no del PD
Avere l’acqua a dispozione è un diritto. Mentre il mondo e le organizzazioni internazionali si preoccupano di far sì che la più preziosa delle risorse sia fruibile dall’intera popolazione mondiale, il governo, neanche a dirlo, rema controcorrente e si avvia invece alla sua privatizzazione. La politica dell’”acqua al migliore offerente”, argomento chiave del decreto-salva infrazioni votato e approvato ieri dal Senato, è stata arginata dall’emendamento PD, inserito all’ultimo minuto nel testo. “L’acqua è di proprietà dello stato”: poche parole che però riescono nell’impresa di limitare la mercificazione selvaggia voluta dal ministro Ronchi, ideatore del decreto.
Un giro d’affari da 8 miliardi. Nonostante la modifica, il testo rimane potenzialmente pericoloso e rischia di spingere le aziende del settore ad una febbrile caccia all’oro che penalizzerebbe pesantemente i consumatori. Vediamo perché.
Al momento in Italia la rete idrica è coperta da circa 110 gestori, divisi per ambiti territoriali ottimali. Di questi ben 64 sono a capitale pubblico e servono metà della popolazione, il resto è a capitale misto o privato. La riforma di ieri cancella ogni regola e apre alla privatizzazione selvaggia. Si consente la gestione a società “in ogni forma costituite”. Non è tutto, il privato deve possedere una quota corrispondente ad “almeno il 40% della società” e spetterà a lui l’ultima parola sugli investimenti. In sostanza il pubblico diventerà un’ospite poco gradito.
È ovvio che i un sistema così articolato, la logica di mercato avrà la meglio sulla volontà di garantire a tutti un diritto, quindi si può prevedere realisticamente che le società decidano di massimizzare i profitti gonfiando le tariffe. Quanto ci guadagnano le aziende private? Si stima, in difetto, che il gioco al rialzo potrebbe fruttare in 10 anni ben 8 miliardi di euro.
Che fine fanno gli enti pubblici? A loro resta una quota che non potrà superare il 40%, pochi poteri e praticamente nessuna possibilità di contrastare gli interessi dei grandi gestori privati italiani. Inoltre la riforma spalanca le braccia alle multinazionali, come le francesi Veolia e Suez, impazienti di accaparrarsi altre zone del territorio. L’Antitrust già parla di “monopoli pubblici sostituiti da monopoli privati”.
Sindaci ribelli. Insomma, in generale la prospettiva di grandi aziende con in mano le chiavi del proprio rubinetto non piace a nessuno, ma in particolare non entusiasma chi da decenni lotta col problema della scarsità idrica. Per questo un centinaio di sindaci siciliani si sono coalizzati per risolvere il problema alla fonte: non consegneranno le chiavi degli acquedotti a gestori privati. La Sicilia, uno dei pionieri della privatizzazione idrica fin dal 2005, sa cosa vuol dire ridurre un necessità primaria all’interesse di pochi e soprattutto sa quanto i traffici miliardari concentrati nelle mani di un numero ristretto di imprenditori possa far gola a Cosa Nostra. Il braccio di ferro fra i sindaci irriducibili e la regione si è spesso evoluto nell’invio di qualche commissario, non proprio irreprensibile. È il caso dell’ingegnere Rosario Mazzola, commissario per l’Ato di Palermo e allo stesso tempo consigliere per alcune società che controllano Acque potabili siciliane…coincidenza o piccolo caso di conflitto d’interessi?
I commenti del PD. La presidente dei senatori PD Anna Finocchiaro, durante il suo discorso all’aula ha evidenziato: ”La questione della gestione della risorsa acqua e’ una delle grandi questioni sulle quali si interroga il mondo intero. Non e’ un problema di poco conto, ragioniamoci, cerchiamo di capire meglio. Dobbiamo avere attenzione al fatto che stiamo parlando dell’acqua, la risorsa piu’ preziosa naturalmente a disposizione dell’umanita”.
Roberto Della Seta, capogruppo del Pd nella commissione Ambiente ha sottolineato: ”Oggi in Senato con il voto del Pdl e della Lega viene resa obbligatoria la gestione dell’acqua: una scelta che va contro l’interesse dei cittadini e che non e’ dettata, come falsamente sostengono governo e maggioranza, da norme europee. Una scelta tanto piu’ grave nel caso del partito di Bossi e Calderoli, che in Padania coi suoi sindaci si batte per l’acqua bene pubblico e a Roma prende decisioni ultraliberiste. L’approvazione di un emendamento del Pd a firma Bubbico mette dei paletti alla privatizzazione, garantendo il rispetto della proprieta’ pubblica dell’acqua, come stabiliscono i principi comunitari. Nonostante questo, tuttavia, le norme approvate oggi dal Senato sono molto gravi. L’acqua e’ un bene comune, non e’ una merce e in base alla Costituzione la titolarita’ della sua gestione e’ in capo alle Regioni e agli enti locali. Prevedere non la possibilita’, ma l’obbligo entro 1 anno, di affidare a privati la gestione dei servizi pubblici vuol dire espropriare Regioni e Comuni del diritto-dovere di amministrare l’uso dell’acqua nell’interesse delle persone e delle comunita’, e apre la strada a un monopolio privato dell’acqua nelle mani di tre o quattro multinazionali”.
Filippo Bubbico, primo firmatario dell’emendamento approvato dall’ Aula afferma: ”Grazie a un emendamento del Partito democratico e’ stata scongiurata la privatizzazione dell’acqua, bene indispensabile, di primaria importanza per tutti i cittadini”. Lo annuncia il senatore e capogruppo del Pd in commissione Industria. Inserire una riforma tanto importante per i cittadini qual e’ quella dei servizi pubblici locali nel Decreto sugli obblighi comunitari ha significato non solo privare il Parlamento della possibilita’ di un esame approfondito del provvedimento ma creare una riforma pasticciata che non tiene conto delle specificita’ di ciascun servizio pubblico”. Secondo il sentore del Pd, l’emendamento ha il ”merito di scongiurare questa eventualita’ poiche’ la sua approvazione consente al servizio idrico di restare saldamente nella titolarita’ e nel governo delle amministrazione pubbliche, tanto da soddisfare i principi del pieno controllo pubblico sulla qualita’, l’accessibilita’ e il prezzo del servizio per gli utenti”.
Iv.Gia