Prima notizia: la sanità pubblica nel nostro Paese non è quel disastro che (forse) molti italiani credono. La seconda notizia, invece, è che il Sistema Sanitario Nazionale tutto è fuorché che «nazionale». Da una parte c’è il Centro-nord, dove le cose funzionano bene o molto bene. Oltre le frontiere meridionali di Toscana e Marche, invece, la qualità del servizio è decisamente inferiore se non drammaticamente peggiore. E l’Italia della salute è spaccata in due. Questo afferma il rapporto messo a punto per conto del ministero del Welfare dal Laboratorio management e Sanità dell’autorevole Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, anticipato dal «Sole 24 Ore-Sanità».
Un rapporto che offre una classifica con più di una sorpresa. Certo, in pole position troviamo le Regioni «rosse», Emilia-Romagna e Toscana, insieme al Veneto. Certo, in zona retrocessione ci sono come da copione Campania e Calabria. È però sorprendente che la sanità della Lombardia si collochi in un centro classifica senza lode e qualche insufficienza. Così come colpiscono i risultati tutt’altro che eccelsi della Val d’Aosta e della provincia di Bolzano. Tra le grandi Regioni, è decisamente promosso il Piemonte, mentre il Lazio incassa un risultato pessimo. Un rapporto – già sul tavolo del viceministro della Salute Ferruccio Fazio – che farà discutere, proprio per la sua metodologia innovativa e «oggettiva».
I ricercatori hanno infatti preso in considerazione ben 29 indicatori della qualità dei servizi erogati nelle 21 Regioni (Trento e Bolzano sono valutate separatamente), considerando esclusivamente dati «veri» e ufficiali relativi al 2007. Numeri consegnati dallo stesso Ministero del Welfare o ricavati dalle schede di dimissioni degli ospedali. Indicatori reali, dunque, sullo stato del Sistema sanitario nazionale: si va dal tasso di ospedalizzazione alle vaccinazioni, dalla percentuale di parti cesarei ai ricoveri in day hospital, dal costo pro capite dei medicinali all’estensione dello screening mammografico.
Per ognuno di questi indicatori è stato dato un giudizio della qualità della prestazione (da ottimo a molto scarso), e su questa base è stata stilata la classifica. Ovviamente in queste settimane diverse voci si sono levate a contestare la metodologia adottata dai ricercatori del Sant’Anna, criticando la scelta degli indicatori oltre alla filosofia di fondo cui si ispira lo studio: ovvero, che il ricovero ospedaliero e l’uso di tecnologie avanzate e costoso debba riguardare solo patologie acute, privilegiando piuttosto (laddove possibile) la prevenzione e tutti i servizi alternativi all’ospedalizzazione.
Sono dodici le Regioni che incassano una promozione. Si parte con la lode assegnata a Toscana e Veneto, che prendono 29 giudizi positivi su 29: a ben vedere i toscani ottengono 16 «ottimo» e 10 «buono», mentre i veneti rispettivamente soltanto 8 e 15. Segue a breve distanza l’Emilia-Romagna, con 27 sì e 2 insufficienze (portando a casa però ben 18 «ottimo»). Subito dopo, con un lusinghiero punteggio di 24 voti positivi, c’è un gruppo guidato dal Piemonte (con 11 «ottimo», 10 «buono» e cinque insufficienze, dalla vaccinazione antinfluenzale e pediatrica alle mammografie, dall’eccessiva spesa per farmaci rispetto alla media nazionale a eccessivi consumi di medicinali).
Insieme al Piemonte ci sono Liguria, Umbria e Marche. Le bocciature colpiscono nove Regioni: i voti peggiori spettano a Calabria (solo 3 sì) e Campania (5). Tutt’altro che entusiasmante la posizione di realtà territoriali considerate «ricche», ma che secondo lo studio non sembrano dotate di una sanità di prim’ordine: parliamo della Val d’Aosta (17 segni più e ben 12 segni negativi) e della Provincia di Bolzano (15 sì e addirittura 14 no). Un ragionamento a parte va fatto per la Lombardia. Più volte il governatore Roberto Formigoni ha affermato che la sua Regione «garantisce la Sanità migliore d’Italia».
Nell’analisi della Scuola Superiore Sant’Anna la Lombardia segna effettivamente ottime performances sul versante della degenza media per chirurgia o per i ricoveri ordinari. Tuttavia, ci sono poche vaccinazioni antinfluenzali, un eccessivo costo pro capite per i farmaci, e un eccesso di consumi di medicinali.
La Stampa, 10 novembre 2009