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“E un elettore pd su cinque chiede più scelte di centro”, di Renato Mannheimer

Terminate le primarie per la elezione del segretario del partito, Bersani deve affrontare il difficile impegno del rinnovamento e del rilancio del Pd. Si tratta di ridare fiducia e credibilità alla più importante forza del centrosinistra, anche da parte del suo stesso elettorato.
Il consenso per l’opposizione in generale — e per il Pd in particolare — mostra infatti alcuni aspetti di criticità. Questi ultimi non riguardano tanto il supporto elettorale potenziale, quanto il giudizio sull’operato e sulle posizioni concretamente prese di fronte ai diversi problemi.

Sul piano delle intenzioni di voto, infatti, il Pd è apparso recuperare in queste settimane molto del terreno perduto negli ultimi mesi, e avvicinarsi fortemente — anche grazie alla mobilitazione delle primarie — ai livelli ottenuti in occasione delle consultazioni politiche dell’aprile 2008. Tuttavia, questa notevole crescita di voti virtuali pare più determinata dall’ostilità crescente dell’elettorato di opposizione nei confronti di Berlusconi (e da un conseguente accrescersi del sentimento di identità) che da un’ approvazione per le iniziative dell’ opposizione. In altre parole, l’incremento di voti per il Pd sembra essere originato soprattutto dal diffondersi e dall’approfondirsi delle critiche verso il presidente del Consiglio e non tanto da un genuino consenso verso le proposte originali del partito.

Tanto che il giudizio verso l’operato dell’opposizione nel suo complesso rimane assai basso, anche tra gli stessi suoi elettori. Oggi solo il 14% dell’elettorato nel suo insieme — e il 32% dei votanti per il Pd — valuta positivamente l’azione dei partiti di centrosinistra. Di converso, quasi due terzi di coloro che pure esprimono l’intenzione di votare per il partito di Bersani manifestano al tempo stesso, per una ragione o per l’altra, una valutazione negativa su quanto l’opposizione sta (o non sta) facendo. E confermano la loro intenzione di voto (in misura, come si è detto, sempre maggiore) più per mancanza di alternative che per entusiasmo.

In questo contesto si situa la prima difficoltà subito apparsa all’ orizzonte di Bersani: l’intenzione di Rutelli e di altri leader di lasciare il partito, per tentare di costituire un’altra forza politica che si collochi più nettamente al centro, magari congiungendosi con l’Udc.

Quanti elettori potrebbero prendere in considerazione la possibilità di abbandonare il voto al Pd per seguire le indicazioni di Rutelli? Una stima precisa è al momento improponibile, in quanto molto dipende da ciò che dirà e farà l’ex sindaco di Roma nei prossimi mesi e, specialmente, da come imposterà la sua campagna elettorale. Ma è possibile trarre alcune indicazioni esaminando qualche atteggiamento già rilevabile oggi all’interno dell’elettorato del Pd. Solo poco più del 2% di quest’ultimo si considera di centro tout-court, dato che la maggior parte si definisce di centrosinistra. Ma il potenziale seguito di Rutelli sembra accrescersi se, al di là del posizionamento, si pone l’attenzione su di alcune iniziative concrete. Ad esempio, se si chiede agli elettori del Pd se il partito debba oggi avanzare tematiche e proposte che attirino maggiormente gli elettori di centro, il 19% — con un’accentuazione tra i più giovani e nel Nord-est del Paese— risponde di ritenere «molto» opportuna un’iniziativa siffatta. Se si domanda poi se sia il caso di stringere da subito un’alleanza con l’Udc di Casini, il 10% risponde in modo decisamente affermativo. Insomma, un’apertura maggiore verso il centro sembra coinvolgere, con più o meno intensità, una percentuale oscillante tra il 10 e il 20% dei votanti del Pd (che corrisponde più o meno al 3-6% dell’elettorato nel suo complesso).

Una quota minoritaria, ma, tutto sommato, significativa. Alla quale si oppone, tuttavia, la maggioranza dei sostenitori del Pd. Bersani non potrà non tenerne conto nel suo tentativo di ridare linfa al partito e motivazioni ai suoi elettori.
Il Corriere della Sera 01.11.09

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