Tra pochi giorni, l’8 settembre, l’Unesco celebra la giornata mondiale per la lotta all’analfabetismo.
E subito il pensiero va all’Africa dove si concentra gran parte degli oltre 750 milioni di «illetterati » presenti sulla Terra (due terzi sono donne, 72 milioni di bambini non sono mai andati a scuola).
Ma la Giornata ha un senso anche per l’Italia, dove questa è una battaglia tutt’altro che vinta. Anzi, per certi aspetti, è una sfida nuova. Perché accanto al plotone di «vecchi» analfabeti sta nascendo un nuovo esercito di giovani e adulti.
Un magistrato di Firenze, Silvia Garibotti, ha raccontato dei numerosi casi in cui i testimoni non sono in grado di leggere la formula di rito. Attilio Paparazzo, responsabile nazionale Cgil scuola, riferisce che «spesso i bidelli che arrivano in provveditorato per iscriversi nelle graduatorie scolastiche fanno fatica a inserire i propri dati o a leggere il modulo “sono cittadino italiano, dichiaro di aver assolto gli obblighi di leva”».
Un esercito, insomma, del quale fanno parte quanti leggono e scrivono in modo talmente limitato da non riuscire a compiere le funzioni di base per essere cittadini a pieno titolo. Perché oggi l’alfabeto non basta più per orientarsi nella vita di tutti i giorni. C’è chi ha bisogno di un appoggio per compilare un bollettino postale o per capire il senso di un testo anche breve.
Basta appostarsi a una qualsiasi stazione ferroviaria per accorgersi di quanti per acquistare il biglietto preferiscono la coda allo sportello piuttosto che seguire le istruzioni di una macchina con tempi d’attesa pari a zero.
C’è chi non riesce a scrivere due righe di presentazione per cercare un posto di lavoro. L’Unesco li definisce «analfabeti funzionali»: un terzo degli italiani lo è, secondo alcune ricerche internazionali.
E un altro terzo rischia di diventarlo. Sono molti di più dunque rispetto ai «vecchi» analfabeti che l’Istat stima in 782mila. Se però, come ha fatto l’Unla (associazione nazionale per la lotta contro l’analfabetismo), a questi si aggiungono coloro che hanno frequentato soltanto qualche anno di scuola senza arrivare alla licenza elementare, si arriva a sei milioni di persone.
Non solo. Il presidente storico dell’Unla Saverio Avveduto si spinge oltre, ricordando la regola del «meno cinque»: se le conoscenze acquisite a scuola non vengono utilizzate regrediscono di cinque anni rispetto al livello massimo raggiunto.
Ecco così che tra gli analfabeti si può far rientrare buona parte di coloro che si sono fermati alla licenza elementare. E il numero finisce così per sfiorare i 20 milioni di persone: il 36,5% della popolazione, tra chi non è mai andato a scuola e gli analfabeti di ritorno.
Un approccio, quello dell’Unla, contestato da più parti (non è detto, si è obiettato, che chi si ferma alle elementari non tenga vive per conto suo le competenze sviluppate) ma nella sostanza «non fallace», secondo il linguista Tullio De Mauro.
Che un terzo della popolazione italiana sia analfabeta è stato confermato anche da due ricerche internazionali che non si basano su autocertificazioni, ma sull’osservazione diretta degli intervistati e delle loro effettive capacità, a prescindere dal livello di istruzione dichiarato. Le hanno condotte Statistic Canada e Ocse, sottoponendo a campioni di popolazione adulta (16-65 anni) questionari graduati: uno preliminare e cinque con difficoltà crescente.
Risultato della prima indagine (Ials, International adult literacy studies): quasi il 5% della popolazione italiana adulta non è in grado di affrontare qualsiasi tipo di questionario scritto. Si tratta di due milioni di persone.
Il 33% di quelli che rispondono al questionario si ferma al primo gradino della scala di valutazione.
Un secondo 33% fa un passo in più nella lettura e comprensione dei testi e raggiunge il secondo livello: abbozza soltanto qualche risposta.
Dalla seconda indagine (All) l’analfabetismo funzionale di ritorno appare dove meno lo si aspetta: tra i laureati (20%) e i diplomati (30%).
La stessa indagine indica che meno del 20% degli italiani supera quel livello minimo di capacità alfabetiche che servono a orientarsi in una società moderna, contro percentuali del 50% in Svizzera e Usa, 60% in Canada e 64% in Norvegia.
Complice di questa situazione la dispersione scolastica. «Il dato più sconvolgente — spiega Marco Rossi Doria, “maestro di strada” a Napoli e membro della commissione sull’esclusione sociale che sta per consegnare il suo rapporto annuale al Parlamento — è che il 21,9% dei ragazzi tra 16 e i 24, uno su cinque, appartiene agli early school leavers, giovani che non hanno raggiunto una licenza di scuola media superiore né una qualifica professionale».
In Europa la media è del 14,9%. E pensare che l’obiettivo europeo stabilito a Lisbona nel 2000 è che ogni Stato scenda sotto il 10 per cento entro il 2010.
«I fallimenti a scuola — spiega Rossi Doria — si concentrano nelle aree del Mezzogiorno dove, a differenza che al Centro-Nord e in parte della Sardegna, non vengono compensati da iscrizioni alla formazione professionale».
In Italia, secondo l’Istat, lavorano 144.000 bambini tra i 7 e i 14 anni. Ma per l’Ires (e per la Cgil) la cifra arriva a 400mila bambini. Per questo la giornata dell’alfabetizzazione è un’occasione per rilanciare campagne contro il lavoro minorile, come quella Stop child labour. School is the best placet to work ispirata dalla Ong indiana MV Foundation e promossa in Europa da Alliance2015, network europeo di sei Ong impegnate nella cooperazione allo sviluppo, tra cui il Cesvi per l’Italia.
Anche la «base» si mobilita: un gruppo di studenti di San Salvario a Torino ha scritto una lettera agli allievi del biennio di tutta Italia perché si uniscano a loro nella richiesta di una scuola più seria. Li segue Domenico Chiesa, insegnante di filosofia e pedagogia in pensione, e per anni consulente del ministero: «Nel ‘900 la scuola elementare è stata un baluardo contro l’analfabetismo, in un mondo contadino e artigiano bastava.
Per battere l’analfabetismo di oggi bisogna ripensare la scuola media e superiore in modo che riesca a dare le basi culturali di fondo e stimolare la voglia di apprendere. Mica può farlo Piero Angela».
Il Corriere della Sera, 6 settembre 2008