Oggi sono qui, guardavo i vostri volti e nei vostri volti si vede veramente l’Italia. Si vede la sua storia, la nostra storia. Si vede la fatica e i sacrifici delle generazioni che il nostro Paese l’hanno ricostruito, rimboccandosi le maniche in mezzo alle macerie lasciate dalla guerra e dalla dittatura che l’aveva ciecamente voluta. Guardando i vostro occhi vedo il lavoro onesto e la capacità creativa di tutti coloro, milioni di uomini e di donne, che giorno dopo giorno hanno fatto crescere l’Italia, l’hanno resa una democrazia forte. Più forte di quanto alcuni, oggi, forse vorrebbero. Vedo il nostro comune passato, le conquiste raggiunte, i momenti che hanno permesso alla nostra società di diventare più aperta e libera. Le vicende che ci hanno ferito come popolo, le risposte che in tempi difficili, molto difficili, ci hanno unito come nazione. Ma voglio dirvi che quel che vedo, stando oggi insieme a voi, è soprattutto il futuro. E succede così sempre quando si guarda negli occhi delle generazioni che sono più avanti di noi. E’ per questo che oggi ho deciso di parlare ai nonni dei nostri figli. Perché i nostri figli non hanno maestri migliori dei loro nonni e delle loro nonne. Maestri di vita. E le parole hanno un senso.
E’ dai nonni, infatti, che ognuno di noi ha cominciato a scoprire il suo futuro. Guardando con curiosità e rispetto a quei grandi – perché così li chiamavamo quando eravamo bambini, grandi, mai nessuno ha pensato di dire vecchi – che ci precedono nella vita e dalle quali abbiamo imparato anche solo ascoltando i loro racconti. Perché i racconti dei nonni sembrano favole, ma insegnano a vivere. Lo ha detto recentemente il Papa, quando ha parlato del ruolo centrale proprio dei nonni come testimoni della memoria, come via per la trasmissione dei valori fra le generazioni. C’è un filo indissolubile che ci unisce tutti. Insieme. La nostra generazione. La vostra generazione. La generazione dei vostri nipoti, dei nostri figli, che prenderanno in mano l’Italia di domani, la migliore possibile, quella che noi saremo capaci di consegnare loro. Noi abbiamo imparato da voi. E a differenza di un tempo passato, quando la trasmissione del sapere e dell’esperienza vissuta avveniva di generazione in generazione, una dietro l’altra, anche i nostri figli hanno da imparare direttamente da voi. Ma che cosa significa oggi, rispetto a un tempo passato, lontano, cosa significa essere nonni? Molte cose sono cambiate. A cominciare dalla parola. Riconosciamolo: si accetta di essere chiamati nonno dai propri nipoti. E fa piacere. Ma in bocca ad un estraneo la parola nonno assume un significato che non piace più tanto. Nonno a chi? Potrebbe rispondere un vivace settantenne, del tutto indisponibile a sentirsi anziano.
Proviamo a guardare dentro questa straordinaria novità che segna il nostro tempo. Sì, è cambiata la società. E’ cambiata l’economia. Sono cambiate, e si sono moltiplicate, le modalità di relazione tra le persone. Perché molto semplicemente sono ben più lunghe di un tempo, le aspettative di vita. Le ricerche scientifiche ci dicono che lo stato fisico e mentale di un settantenne di oggi è mediamente equivalente a quello di un sessantenne di qualche anno fa. Questa tendenza è dovuta all’adozione di stili di vita salutari, al miglioramento della sanità, all’accresciuta sensibilità per la cura del corpo e per il mantenimento dell’attività fisica e mentale. Le stesse ricerche rilevano che le percezioni soggettive degli anziani non ignorano assolutamente il peso del rischio invecchiamento, ma spesso lo attribuiscono più “agli altri” che a se stessi. Mentre esprimono la convinzione della propria capacità di essere utile nel lavoro e nella vita sociale. E questo lo vediamo nella vita di tutti i giorni. Nella assiduità dell’impegno che tante persone mantengono dentro e fuori dalla famiglia ben oltre l’età ufficiale, legislativa, della pensione e della vecchiaia. Nell’azione di volontariato, che impegna come in questo luogo, centinaia di migliaia di anziani. Ma lo vediamo anche nella vita di relazione sociale di divertimento: il turismo degli anziani per esempio è esploso, divenuto un grande business e insieme uno strumento per aprirsi, per vedere nuovi mondi, per continuare a fare autoformazione, anche quando si è avanti negli anni. L’Unione europea ha coniato una bella espressione, parlando dell’invecchiamento attivo che “aggiunge vita agli anni”.
La dimensione del fenomeno del prolungamento della vita, in quantità e in qualità, è così grande che ci ha colto di sorpresa, sconvolgendo anche i rapporti fra generazioni. Oggi essere nonno è una condizione che riguarda, in Italia, 12 milioni di persone. Sono nonni tre su quattro delle persone che hanno più di 65 anni. Tra non molti anni gli “over 65” saranno il trenta per cento della nostra popolazione. Un italiano su tre avrà più di 65 anni. Non è un caso che già si parli di questo come del “secolo dei nonni”. Non solo perché un sempre maggior numero di persone, come abbiamo detto, vive abbastanza a lungo per diventarlo. Ma soprattutto perché un maggior numero di bambini nasce e cresce, almeno per i primi anni, con tutti e quattro i nonni viventi, e in molti casi anche con qualche bisnonno, una volta non era così. Sono anche i bambini, dunque, che cambiano rispetto alle generazioni scorse. Non solo i nonni. E tutto questo significa una straordinaria occasione, se sappiamo coglierla, di trasmissione intergenerazionale di esperienze e di memorie, oltre che di solidarietà, di affetto e di attenzione, di dati politici e sociali oltre che di dati interni alle relazioni familiari. Un nonno è una persona che porta con sé un intero mondo. E’ lui, siete voi, a permettere la continuità tra un passato di cui spesso, in questo tempo troppo veloce e frenetico, non restano che poche tracce, e un futuro ancora aperto.
Siete voi a sperimentare, insieme ai vostri nipoti, che il passaggio da una generazione all’altra non è mai una ripetizione, ma la ricerca e la scelta delle cose fondamentali da trasmettere. Non c’è niente di più sbagliato, dunque, che pensare a voi come ad una fascia di popolazione solo da proteggere in termini magari solidaristici, o peggio ancora come ad un peso per la società, come un costo economico per le istituzioni, capita a volte di leggere anche questo. Nel mondo dei nonni c’è più di ieri voglia di attività e di partecipazione, c’è moltissima curiosità, moltissima voglia di fare qualche cosa per gli altri. Questo aumenta enormemente le possibilità di scambi, di insegnamenti reciproci, di relazioni fra nonni e nipoti. E queste relazioni si sommano a quelle tradizionali fra genitori e figli. Con tutte le conseguenze che questo comporta. A cominciare dal vostro ruolo, dall’importanza che voi avete nella società di oggi. Lo ha raccontato bene, semplificando ma in modo molto efficace, uno dei più preparati e attenti demografi italiani. Non c’è più, è ormai un’immagine sbiadita, il vecchio nonno dell’iconografia contadina del secolo passato, quello delle immagini che ricordiamo, sulla panca del focolare che intreccia un cesto di vimini o dispensa ricordi e saggezza. E non corrisponde più alla realtà il nonno del dopoguerra, arrivato in città dalla campagna e in qualche modo spaesato di fronte a spazi che sentiva come estranei e ostili, e per questo privato delle sue tradizionali funzioni e senza la capacità di costruirne nuove. I nonni di oggi, che sono vissuti nell’Italia della crescita e del benessere diffuso, che sono usciti dal mondo del lavoro avendo di fronte a sé ancora tanti anni di vita, hanno recuperato un ruolo centrale nella società, hanno una funzione nuova e diversa,che dobbiamo valorizzare.
Questa novità ha un forte impatto. Sia sulla società che nelle stesse dinamiche familiari. Il cambiamento demografico, e le nuove opportunità di vite vicine o comuni hanno comportato il formarsi di famiglie allargate, famiglie nuove, “famiglie lunghe”, arricchite di esperienze composite. Questa opportunità di arricchimento reciproco pone nuove sfide e problemi inediti. I nonni si trovano a contatto con una famiglia diversa da quelle che avevano conosciuto in gioventù; sono di più gli stili di vita, sono di più i rapporti fra i sessi, e per la distribuzione dei ruoli fra uomini e donne, conseguente ai cambiamenti culturali che nelle modalità culturali, in particolare alla crescita dell’occupazione delle donne. Questi cambiamenti investono tutti i componenti della famiglia e li caricano ognuno di compiti nuovi. Richiedono una difficile opera di conciliazione, fra impegni diversi, di lavoro, di gestione domestica, di cura dei bambini e degli anziani specie quando questi diventano purtroppo non autosufficienti. Il carico in Italia, dobbiamo riconoscerlo, è più gravoso che altrove per le lacune del nostro welfare. Invece di sostenere la famiglia, infatti, il nostro welfare la lascia sostanzialmente sola a svolgere compiti di cura e di servizio in supplenza alle carenze di servizi, che dovrebbero essere svolte dalla comunità e dallo stato. Il carico è aggravato ulteriormente dalla “sindrome del ritardo” che trattiene i giovani nelle famiglie di provenienza ben oltre i limiti della maturità, per la difficoltà di rendersi autonomi nel lavoro, nell’abitazione, e quindi rinviano il momenti di formarsi una propria vita.
E questa realtà oggi è ulteriormente amplificata dalla crisi e dai suoi effetti, in un momento in cui ci si sente ancora di più nella precarietà e nella instabilità. Anche voi nonni siete investiti da questi problemi e responsabilità, non meno dei genitori. Tanto che si può dire che i nonni svolgono un’azione di supplenza. Sono diventati dei “welfare provider” cioè dei protagonisti del welfare familiare nel senso più ampio del termine: sono chiamati ad aiutare, con la loro pensione e con il loro lavoro, il loro impegno, il budget della famiglia reso insufficiente dalla scarsità di reddito, addirittura rispetto ai figli che lavorano. E questa è un’altra novità con cui fare i conti: è la prima volta nella nostra storia che il flusso di risorse, invece di “salire” dalle giovani generazioni a quelle più anziane, si trova rovesciato e molto spesso sta andando in senso contrario, sono i genitori che aiutano i figli. Ma non è solo l’aiuto economico che è sempre più richiesto: è la presenza e la cura dei nipoti in assenza dei genitori impegnati nel lavoro e dei carenti servizi di cura. Guardiamo alla realtà del nostro Paese. Gli asili nido scarseggiano, i bilanci familiari, sono ridotti all’osso, particolarmente in questo momento di crisi. Si fanno i salti mortali per quadrare i conti e arrivare alla fine del mese senza far mancare l’essenziale ai propri figli. E’ difficile, spesso è molto faticoso. E allora arrivano i nonni. In un Paese che ne ha troppo pochi di ammortizzatori sociali, si potrebbe dire che sono un vero e proprio “ammortizzatore sociale”.
Come non vedere che in tantissime famiglie sono i nonni, siete voi, a permettere che un padre e una madre non siano schiacciati da tempi lavorativi e di vita troppo frenetici o da spese per tate e baby-sitter che non tutti si possono permettere? E come non considerare il valore inestimabile del fatto che voi, siete gli unici a poter regalare ai nostri bambini il dono più prezioso per la loro crescita, quello che nemmeno il papà e la mamma possono garantire, vale a dire il tempo? La risorsa più preziosa di questa stagione che stiamo vivendo, che è l’unica vera risorsa limitata della nostra vita. Voi lo sapete meglio di chiunque altro: non c’è bambino per il quale la cosa più importante non sia l’affetto e l’attenzione che vengono dalla presenza costante e paziente, dalla capacità di ascoltare, di raccontare, di giocare insieme. Niente è più importante, per un bambino, del tempo per esprimere “adesso” che cosa prova, senza dover rinviare a dopo, quando qualcuno avrà modo, magari un po’ distrattamente, di dargli retta. Questo compito straordinario, ogni giorno, lo svolgono i nonni. Siete una grande e straordinaria risorsa. Credo che sia arrivato il momento che questa risorsa sia valorizzata e riconosciuta per il suo valore anche dalla politica. Da chi ha la responsabilità di governare. La vostra si può definire una attività socialmente utile. E allora, facciamo in modo che queste attività si traducano in servizi organizzati di educazione e cura dei bambini propri e di altre famiglie, sull’esempio di altri paesi come la Francia ma anche di alcune regioni italiane. Pensiamo, ad esempio, a forme di “nidi domestici” cui le nonne e anche per i nonni possono dedicare tempo e affetto insieme ad altri.
Certo, queste attività andrebbero seguite per verificarne la correttezza e la regolarità. Ma andrebbero anche sostenute, predisponendo una formazione degli anziani che vi si dedicano, raccordandole con strutture organizzate esterne e anche dando gli aiuti economici necessari. Aiuti che possono consistere in strumenti e attrezzature per l’organizzazione del servizio, ma potrebbero estendersi a contributi pubblici a chi organizza e partecipa alle attività. E questi aiuti potrebbero essere di vario tipo, ad esempio gli anziani che lavorano part time potrebbero integrare la loro pensione con un’aggiunta che riconosca l’attività svolta. Forme di riconoscimento analogo potrebbero essere pensate per le attività di cura e iniziative sociali cui gli anziani si dedicassero in forma regolare, anche se parziale, in settori diversi. Ad esempio in servizi locali: dalla cura del paesaggio, ai musei, alla assistenza delle persone non autosufficienti. Queste attività potrebbero svolgersi anche in forma associata e cooperativa. Le loro forme e condizioni di svolgimento andrebbero regolate con gli enti locali che sono i diretti responsabili di molti servizi. Sono idee concrete di sussidiarietà possibile. Da sperimentare, anche in sinergia con gli enti locali e con l’esperienza preziosa del terzo settore. I nostri nonni, dunque, possono ancora dare molto. Alla famiglia e alla comunità. Ma dobbiamo anche chiederci cosa la società, le istituzioni pubbliche possono e devono fare per voi. E per i nostri anziani. E’ il grande tema di come ripensare il welfare pubblico, perché non tutto può essere lasciato sulle spalle della famiglia o del volontariato..
Che la aiutino nelle difficoltà. Che garantiscano una buona occupazione e un reddito adeguato ai genitori e prospettive ai figli, che diano prospettive ai giovani nipoti, che garantiscono servizi di cura all’infanzia e assistenza nei casi di non autosufficienza. Soprattutto la cura della salute e l’assistenza devono essere beni pubblici a disposizione di tutti, e contribuire al benessere comune. Nel momento della malattia non ci può essere differenza in base al reddito o al luogo in cui si vive. Per tutti gli anziani sono una necessità particolarmente importante. Nel caso di non autosufficienza diventano una priorità cui si devono dedicare più risorse, e servizi adeguati privati e pubblici. Per gli anziani è necessario garantire una pensione dignitosa come riconoscimento di una vita di lavoro: non tanto perché, come abbiamo visto, serve spesso a sostenere i bilanci delle famiglie ma perché offra autonomia e un buon livello di vita dignitoso agli stessi anziani. Per questo noi sosteniamo che vengano adeguate le pensioni alla crescita del costo della vita con una tempestiva indicizzazione. Che vengano alleggerite le tasse a cominciare dal recupero del fiscal drag. Che siano integrate le pensioni basse, con un sostegno a carico della fiscalità generale. Proprio perché sappiamo che la società e il modo di vivere sono cambiati, sosteniamo anche la possibilità di un innalzamento dell’età pensionabile, perché questo corrisponde alle nuove condizioni di vita e di salute degli anziani.
Immaginiamo che tale prolungamento sia incentivato e che possa attuarsi entro intervalli di tempo flessibili in modo da lasciare alle persone la scelta di come distribuire il loro tempo di lavoro e di vita. Ma siamo convinti che anche questo contribuirebbe a rendere più forte ed efficace quel patto generazionale che deve essere finalizzato a dare sicurezza e protezione sociale ad una generazione, l’ultima, che ha di fronte a sé solo l’orizzonte della precarietà e dell’incertezza. E’ incredibile che il ministro dell’Economia Tremonti, che non ha messo in campo misure per l’emergenza per contrastare disoccupazione e il precariato, si svegli improvvisamente e parli del posto fisso, è un caso di sdoppiamento di personalità, come il dottor Jekyll e Mr Hyde: si annunciano cose in pubblico e poi si fanno diversi provvedimenti legislativi. Potrei chiederlo a voi. Chi non ha la preoccupazione per il proprio nipote, per quel bambino tanto amato, ora diventato grande, che deve accettare un lavoro precario e peggiore di quello che aveva lui quando era giovane, e che a differenza sua non vede di fronte a sé un futuro in cui comunque, in qualche modo, riuscirà a stare meglio? E poi ci sono le ferite da curare. Quelle delle persone più povere. Degli anziani che vivono nella solitudine. Non possiamo dimenticare che in Italia ci sono quattro milioni di anziani che vivono con meno di 500 euro al mese, di 1000 euro al mese. Per non parlare dei due milioni di anziani non autosufficienti che non hanno l’assistenza cui invece avrebbero diritto. Tra di loro c’è la povera signora che si ritrova a dover scegliere se pagare, con il poco che ha a disposizione, le medicine che gli servono oppure la badante che la accudisce, che la sostiene durante la giornata.
Tra di loro ci sono tutti quelli per i quali ogni giorno diventa una pena, una fatica. Si riduce la spesa, si passa da un supermercato ad un altro per trovare il prodotto che costa anche solo un po’ meno. Ci si mette un abito dismesso ricevuto in dono. Si fa una telefonata di meno anche se si vorrebbe tanto scambiare due parole con qualcuno. Un caffè e due chiacchiere al bar diventano una rarità. I contatti umani si diradano. Queste forme di povertà spingono verso la solitudine, e la solitudine diventa il pericolo più grande. Ecco, la solitudine è grave quasi come la insicurezza. Per gli anziani soli cresce il rischio della povertà, dell’invecchiamento precoce, della depressione. Non è un paradosso inaccettabile quello che nelle nostre società vede sommarsi, più spesso di quanto non immaginiamo, due solitudini: quella degli anziani e quella dei bambini, lasciati davanti alla televisione, perché troppo i genitori lavorano? Rompere queste solitudini significa costruire umanità. In un rapporto che arricchisce tutti. La memoria e la saggezza degli anziani che possono insegnare ai bambini che la vita non è solo uno schermo della televisione. Ma anche la fantasia di un bambino, che può insegnare ai suoi nonni che la modernità non fa poi così paura. Che in quello schermo, in un computer, sulla rete, ci sono cose nuove ed interessanti che possono rendere più bella e divertente o semplice la vita di un anziano. Perché nella vita non si smette mai di imparare: vale per i nipoti, ma vale anche per i nonni. Vincere la solitudine, accrescere i legami di affetto e le attività insieme tra generazioni, tutto questo aggiunge “anni alla vita”. E fa comunità.
Una comunità dove è più forte il legame che ci unisce. Dove è più concreta la solidarietà che ci tiene insieme. Questa è una ricchezza per tutti. Un bene comune, cui tutti devono contribuire: i singoli, le istituzioni e le organizzazioni sociali. La politica non può sostituire l’impegno delle persone e delle famiglie, ma può creare un ambiente favorevole, può mettere in atto misure utili a favorire la sicurezza e il benessere degli anziani e delle loro famiglie, a favorire la loro partecipazione alla vita familiare e sociale, la loro cultura, la loro capacità di essere utili al mondo del lavoro e degli affetti. E allora sia per chi è una risorsa, sia per chi invece ha bisogno, questo nostro Paese deve cambiare radicalmente rotta. Non deve chiudere gli occhi di fronte a problemi spesso complessi e gravi, purtroppo disattesi da troppo tempo. Noi, con voi, vogliamo assumere questo impegno. Nessuno deve restare solo. Nessun anziano. Nessun bambino, Non c’è futuro senza qualità sociale. Non basta la crescita economica: serve, è indispensabile, che cresca anche la coesione sociale. Quella coesione che voi create con la vostra presenza e il vostro ruolo in famiglia e nella società. Quella coesione su cui ogni persona anziana deve poter contare per non sentirsi mai un peso e sentirsi per tutta la vita sempre una risorsa. Questo Paese ha bisogno di voi. I nostri figli hanno bisogno di voi.
Prendeteli per mano. Aiutateli a crescere. Insieme a loro Fate crescere l’Italia, difendete le conquiste sociali che avete creato voi con le vostre conquiste, con il vostro sudore, il vostro lavoro, cerchiamo tutti insieme rendetela più unita, più giusta, di renderla migliore. Proviamoci. Adesso.
Bari 20 ottobre 2009