Cara Concita, sotto la tua direzione l’Unità ha aperto una campagna «Rompere il silenzio delle donne» che ha segnato forme e modi della stessa emergenza democratica che il nostro paese sta vivendo, fino a un legame che mi pare evidente fra quella campagna e la richiesta abnorme di risarcimenti da parte del Presidente del Consiglio contro L’Unità. È in primo luogo per questo che mi sembra giusto rivolgere a te la proposta di lanciare, come prima firmataria, un appello alle donne italiane perché vadano a votare alle primarie del Pd. Rompere il silenzio è ormaiunoslogan che ci riguarda tutte. Ma non si può rompere il silenzio solo con le parole, anche quando sono forti, anche quando sono condivise, anche quando sono straordinariamente esemplari, comequelle di Bindi a Porta a Porta. Così come non bastano a dominare la storia la misura dei sondaggi (variabili a seconda del campione o del committente) l’affollarsi nelle piazze (con la contesa suinumeri anche quando bloccano mezzo centro di Roma) il moltiplicarsi di firme, che lasciano fuori quelle che non navigano o si bloccano alla prima difficoltà, come spesso capita anche a me. In politica rompere il silenzio è raccogliere le sfide che si presentano, individuare gli strumenti adeguati, nonperdere le occasioni giuste per dire la propria; e la politica ci riguarda – se ricordi era il senso del mio contributo legare rispetto delle donne e crisi generale della democrazia – insieme come donne e come cittadini toutcourt, che si fanno carico dei problemi del loro paese Le primarie del PD sono di per sé finalizzate alla scelta del nuovo segretario, passaggio chiave e importante (rispetto al quale anch’io sono formalmente schierata) e tuttavia perfino riduttivo, rispetto alla fase che stiamo vivendo – vorrei dire grazie a Dio perché comunque tutti e tre i candidati sono persone degne – e perché il partito ha comunque dimostrato di esserci, con i suoi ottomila circoli e circa mezzo milione di votanti.
Ma non possiamo ignorare che in realtà nelle primarie si gioca molto di più. Vorrei dirlo per ordine d’importanza. In primo luogo di gioca intorno all’affluenza alle primarie il futuro di una forma partito che non decide la selezione dei suoi dirigenti entro le prassi tutte interne, che rischiano di riprodurre oligarchie; è ilnumero degli affluenti alle primarie che deciderà se ci saranno ancora, se sapremmo costruire un soggetto altro da quella deriva partitocratica che sta alle nostre spalle. In secondo luogo si gioca intorno alle primarie la conferma della rappresentatività forte, del radicamento nel paese di un’opposizione costituzionale, che sta stretta nel confinamento dell’impotenza parlamentare e della delegittimazione istituzionale perseguiti dal governo Berlusconi in nome di un consenso datato e nel concreto non verificabile. Da questi punti di vista non ho difficoltà ad affermare che, quand’anche si andasse alle primarie tanto incerti da votare scheda bianca, non per questo si farebbe qualcosa di irrilevante, perché la novità politica decisiva di quest’appuntamento non dovrebbe essere il numero dei voti, ma il numero dei votanti. Ma c’è un quarto elemento che come donne ci riguarda direttamente. Da trent’anni e più scrivo – nell’ assoluto silenzio e indifferenza della storiografia maschile sulla Repubblica – che il voto delle donne ha determinato praticamente sempre gli equilibri politici del paese: nell’immediato dopoguerra verso laDCe nella variante regionale emiliana; dal 1975-76 rovesciando gli equilibri ereditati; negli anni Novanta trasferendo sulla transizione politica il mutamento di culture operato dalla televisione commerciale, anche attraversounacaricatura disastrosa del messaggio culturale del femminismo impegnato, nei termini della banalizzazione sessuale, e dunque col suo esito berlusconiano.
Ebbene noi ora vogliamo poter ancora contare. Quale forza contrattuale migliore possiamo inventare che non sia il nostro essere, come possiamo, determinanti, nella occasione che stiamo vivendo? So bene che la battaglia femminile nonsi vince solo nel rapporto politico; si decide nella creatività culturale, nella qualità delle relazioni personali, negli stili di vita, nelle strategie formative delle nuove generazioni. Ma se parliamo di squilibri nella rappresentanza è anche perché sappiamo che questo non è un passaggio irrilevante: ed è una contrattazione che potremmo comunque condurre alla pari per domani, solo se siamo in grado di documentare che siamo state decisive anche per dare forza oggi alla politica democratica. Ai gazebi del centrosinistra, ma nessuno lo dice, la maggioranza dei volontari erano sempre donne: se saranno donne la maggioranza dei votanti lo urleremo sui tetti. Naturalmente so bene le difficoltà e gli ostacoli della proposta che ti faccio. Andiamo alle primarie in un rinnovato spirito di fastidio per la politica che fa di ogni erba un fascio e allontana ulteriormente i cittadini dalla voglia di scegliere. In realtà anche questo fa parte di un problemadi adeguatezza dell’informazione, che non riguarda solo il rischio di non dare le notizie sgradevoli, ma riguarda anche la distrazione diffusa di fronte a quelle positive .
Farò qui un inciso: ho salutato con favore e sostenuto, l’uscita de “Il fatto quotidiano” come un giornale che poteva utilmente riempire un vuoto: ma resta irrisolto un altro vuoto (che ho vissuto come parlamentare anche sulla mia pelle) quello delle notizie sulla politica che lavora, fatica e s’impegna nelle commissioni parlamentari, nelle proposte di legge, nelle battaglie di merito e di cui non si parla mai, preferendo le battute del Transatlantico, il dato riservato suggerito a mezza bocca, l’ultimo legame trasversale. È non riempire questo vuoto che favorisce irresponsabilità, astensionismo, che regala al paese la vittoria del peggio. Eancora: moltissime donne di sinistra, indignate come noi dalla deriva berlusconiana,hanno altri referenti politici, non si considerano elettrici del PD. Non possiamo che rispettarne le scelte ma questo non può esimerci dall’esercitare una funzione insostituibile fra quelle che lo sono. Ecco lascio a te , a l’Unità, valutare le forme, i modi, il linguaggio, i consensi primi di questa iniziativa, che ritengo tu sia oggi, per il ruolo che hai svolto e svolgi, la più adatta per aprire fuori dalle parti in campo.
L’Unità, 15 ottobre 2009