ROMA – «Abbiamo un ritardo serio da colmare, in Italia si sottovaluta l’importanza dei risultati della ricerca, misurando in termini troppo ristretti le sue ricadute sullo sviluppo economico e umano del Paese, Cose che, invece, bisogna tenere presente quando si tratta di allargare i cordoni della borsa». In modo chiaro il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano condanna «la caduta dei fondi per la ricerca», problema ultra decennale che «attraversa diverse stagioni politiche e diversi governi» e riguarda innanzitutto il finanziamento pubblico che dovrebbe essere «adeguato» e subito dopo quello «privato, che anch’esso non risulta a livello con ciò che avviene in altri paesi». Se la ricerca è trascurata per Napolitano è anche colpa di «pregiudizi, incomprensioni e meschinità», quanto ai fondi , poiché spesso i vincoli vengono dalle «difficoltà di modificare la spesa pubblica», che ha capitoli troppo ingessati e vecchi. Poi c’è il problema della «distribuzione delle risorse» che il più delle volte non avviene su basi meritocratiche. Per il capo dello Stato, infatti, per ridare fiato alla ricerca occorre anche un «impiego accorto delle risorse», perciò il sistema universitario, per misurare il valore di un progetto, dovrebbe dotarsi di «criteri oggettivi e internazionali». L’intervento a tutto campo sul ruolo strategico della ricerca si è svolto nell’aula magna della “Sapienza” a Roma, nel corso della premiazione di alcuni ricercatori under-40 e di qualcuno di età superiore. Le prime mappe dell’universo primitivo, il motore a batteri e nuove scoperte sulle cause della sclerosi multipla sono alcune delle ricerche d’eccellenza che hanno ricevuto il riconoscimento da Napolitano, che si è compiaciuto per la «freschezza dei talenti» anche se hanno qualche capello bianco. «Questo – ha aggiunto – la dice lunga su quanto si dovrebbero accelerare i tempi per premiare chi merita».
L’appello di Napolitano, dunque, è che la ricerca scientifica sia valorizzata come motore per lo sviluppo del Paese. Parole rilanciate dal rettore della Sapienza, Luigi Frati, e dal prorettore per lo Sviluppo, Bartolomeo Azzaro.
Non può esserci sviluppo senza eccellenza. «Però da una ventina d’anni – ha sottolineato il rettore Frati – registriamo un trend negativo per i finanziamenti alla ricerca. Ora sono stati stanziati dal governo 450 milioni di euro, ma se i fondi non arriveranno chiederemo per la Sapienza il commissariamento amministrativo». Frati, però, al contempo stringe i bulloni della riorganizzazione, sa che il governo valuterà i risultati ottenuti dagli atenei e lui concorda sul principio della meritocrazia introdotto dalla Gelmini: «I presidi e i direttori dei dipartimenti – afferma il rettore del più grande ateneo d’Italia – saranno legati a precisi obiettivi e verranno rimossi se questi obiettivi non saranno raggiunti. La nostra università intende rovesciare consolidati paradigmi». Significa che presidi e capi dipartimento saranno considerati alla stregua di un manager? «Proprio così, non basta essere scienziati per essere bravi», avverte Frati che tra gli obiettivi mette quello di ridurre l’insuccesso e gli abbandoni perché ora la media di chi passa dal primo al secondo anno è bassissima. «Almeno due terzi delle matricole – sottolinea il rettore – dovranno iscriversi al secondo anno, non perchè regaleremo i voti, ma perchè avremo alzato i livelli. Sono pronto a misurare la loro preparazione con una batteria di test». L’altro obiettivo irrinunciabile sarà quello di avere «la capacità di attrarre fondi» dall’Ue, dal ministero e dalle commesse dei privati. Frati ha poi annunciato altri provvedimenti, come l’esenzione dalle tasse e più borse di studio per i diplomati con 100 e 100 e lode e per chi è in regola con gli esami.
Troppi talenti lasciano l’Italia. Una emorragia che ci fa perdere i miglori. «Abbiamo ottimi gruppi, che ottengono riconoscimenti e sono apprezzati all’estero – sostiene il rettore di Roma Tre, Guido Fabiani – Siamo molto capaci nel formare le nuove leve, ma poi non siamo capaci di trattenerle. Non abbiamo una politica per sostenere la ricerca e quando i nostri emigrano non siamo in grado di farli tornar. Non abbiamo saputo privilegiare il merito e ora ne paghiamo le conseguenze. Così, dopo avere investito nella formazione, le nostre migliori risorse le regaliamo ai paesi esteri».
Il Messaggero, 13 ottobre 2009
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