Luigi Guerra è preside di Scienze della Formazione, a Bologna. Nella sua facoltà, si formano (anche) i futuri docenti delle elementari. Ma con la reintroduzione del maestro unico e la cancellazione del tempo pieno, dice preoccupato, «la scuola italiana rischia il black-out».
Professore, qual è il valore del tempo pieno?
«Questo modello ha avuto e ha tutt’ora un valore enorme per la scuola italiana. Andando indietro nel tempo, alle sue origini, ha avuto un ruolo fondamentale. Storicamente, ha ridotto la disuguaglianza sociale. Prima, a seconda del territorio, della situazione familiare e della classe di appartenenza, i bambini avevano una diversa esposizione alle agenzie culturali. I figli dei ricchi, della borghesia, avevano accesso ad una ricca offerta formativa, al di là delle 4 ore di scuola. Quelli di famiglie operaie, invece, a quei tempi si limitavano all’apprendimento delle materie classiche, italiano e matematica, che avveniva solo a scuola. Non potevano avere nulla di più».
E il tempo pieno ha risolto questo, chiamiamolo così, problema riguardante i rapporti sociali e di classe?
«Il modello inaugurato in Emilia-Romagna ha elevato l’offerta formativa, arricchito le opportunità educative, rendendole accessibili a tutti. Ha svecchiato il sistema scolastico, non più depositario di saperi, creando un modello in cui la cultura si costruiva e in cui vi erano i tempi necessari per farlo. Insomma, si è tolto spazio alla mera riproduzione a memoria dei contenuti, per lasciarne alla ricerca, alla cultura, a nuovi linguaggi, come il teatro, la musica, l’arte figurativa. Aprire gli istituti nelle ore pomeridiane ha permesso di ampliare le discipline, suscitando una viva e sana dialettica formativa. Inoltre, ha provocato l’uscita della figura della maestra con la penna rossa e blu, grazie alla pluralità di figure docenti che il tempo pieno comporta».
Quella maestra con la penna blu e rossa rischia di tornare. Cosa ne pensa?
«Sono sgomento. Il ministro Gelmini si permette di presentare questo modello come un’innovazione, ma non è altro che un ritorno nostalgico al passato del dopoguerra. È una follia. Si stanno muovendo sul fronte universitario e scolastico come vogliono, facendo credere quello che vogliono, grazie alla padronanza dei media. Mi meraviglio di come troppe poche voci, anche universitarie, si siano alzate con sdegno contro questa proposta. Il Governo maschera il suo disimpegno ad investire per la scuola e la chiara volontà politica nel non voler proteggere le classi più deboli, con una soluzione di dignità per il sistema scolastico e le famiglie».
Cosa comporterà la reintroduzione del maestro unico?
«La perdita della dialettica pedagogica, l’impoverimento delle relazioni e degli insegnamenti. Il tuttologo cancella la cultura e la ricerca. Come può un docente conoscere bene tutte le discipline, compreso l’inglese ed insegnarle costruendo ricerca e cultura? È impossibile. E come riuscirà ad affrontare la pedagogia in classi eterogenee come sono quelle attuali? Sui banchi delle nostre scuole vi sono bambini pakistani, italiani, cinesi, indiani; ricchi e poveri. Un docente, da solo, non può relazionarsi con tutto questo con successo, con la qualità ed il tempo di cui c’è bisogno. Due docenti che lavorano nella stessa classe si confrontano, fanno la programmazione insieme. Se ad esempio uno è patito di Garibaldi, l’altro gli dirà di fare anche Napoleone. Se, ancora, uno insiste sulla matematica, l’altro gli ricorderà l’italiano. In due vi è più ricchezza, anche per gli alunni. Un bimbo che non si trova con un docente, e può capitare, ha la possibilità di avere un’altra figura adulta con cui dialogare. Con un solo maestro tutto questo viene a mancare. E parla uno che è contro la proliferazione delle figure. A mio avviso, due o tre insegnanti sono sufficienti».
Qual è il futuro della scuola? Crede sia a rischio?
«Se il progetto del ministro andrà avanti così come ha annunciato, la scuola italiana rischia un black-out. Sono molto preoccupato dal modello formativo che vogliono improntare. Le regioni in cui il tempo pieno è poco radicato, in cui c’è stato poco tempo per costruire una squadra di docenti, soffriranno maggiormente. In Emilia Romagna, il tempo pieno è diventato un modello culturale, vi sono più risorse. Sarà difficile distruggere tutto e subito. Per questo ritengo sarà il luogo in cui si combatterà di più, io per primo. Credo sia necessario che gli enti locali riprendano il loro protagonismo, creando una forte alleanza, per scongiurare tutto questo. Il vero rischio è che si tolga tempo e spazio per l’handicap, per i bambini che hanno bisogno di cure particolari. Saranno loro a risentirne maggiormente».
di Alice Loreti L’Unità 03.09.08
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