La Commissione Europea ha aperto una procedura per disavanzo eccessivo contro l’Italia. Certo, siamo in buona compagnia: sono venti gli Stati membri che non hanno rispettato le regole comunitarie sul bilancio. Ma il nostro caso nasconde un doppio paradosso. Imputabile essenzialmente al fatto che la manovra triennale avviata nel 2008 è stata particolarmente attenta a vincoli europei ormai del tutto anacronistici di fronte alla crisi. Senza affrontare i problemi strutturali del paese. Intanto, neanche i conti pubblici sono a posto. La vera manovra triennale sarà la prossima?
Il Patto questa volta è davvero stupido. C’è dell’accanimento ragionieristico nella scelta della Commissione Europea di aprire procedure per disavanzo eccessivo nei confronti di 20 (su 27) stati membri. Mercoledì è stata la volta dell’Italia in compagnia di Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Germania, Olanda, Portogallo, Slovenia e Slovacchia. L’avvio della procedura serve a infliggere una sanzione politica, segnalando all’opinione pubblica governi che non rispettano le regole comuni. Ma quando sono tutti a violare le regole, la sanzione diventa un semplice adempimento burocratico. Come chiedere a un’intera classe indisciplinata di andare dietro alla lavagna.
DOPPIO PARADOSSO
Eppure è importante cogliere il doppio paradosso che si cela dietro questa nuova procedura contro il nostro paese. La manovra di bilancio triennale di cui va orgoglioso il nostro ministro dell’Economia ha preso avvio nell’estate del 2008, gli stessi giorni in cui Bruxelles certificava il nostro rientro dal disavanzo eccessivo registrato sotto la precedente reggenza Tremonti in via XX Settembre. Paradossalmente, la nuova manovra triennale ci ha portato in una nuova procedura di disavanzo eccessivo. Indubbiamente molte delle responsabilità vanno alla crisi. Ma anche alla volontà di non adeguare la manovra triennale alla crisi stessa, facendo per lungo tempo finta che non ci fosse. Ecco il secondo paradosso: la procedura si apre nonostante il nostro ministro dell’Economia sia stato particolarmente attento a vincoli europei divenuti del tutto anacronistici di fronte alla crisi. Ai ragionieri di Bruxelles abbiamo risposto con le armi del ragiunatt. Invece di concentrare le poche risorse disponibili su uno o due al massimo provvedimenti significativi, orizzontali, di sicuro impatto come la riforma degli ammortizzatori sociali o una significativa riduzione della tassazione sul lavoro, si è scelta la strada delle micro riallocazioni di bilancio a saldo pressoché invariato. Mille piccoli interventi per placare la lobby di turno, coperti da mille nuovi prelievi. Tutto rigorosamente una tantum. Al netto di tutte queste una tantum e del ciclo il disavanzo primario dell’Italia sarebbe non lontano dalla soglia fatidica del 3 per cento!
In altre parole, si è guardato ossessivamente al bilancio e non si è pensato a curare l’economia. È vero che non abbiamo avuto né fallimenti di grandi banche, né lo scoppio di bolle immobiliari. Ma i problemi strutturali dell’Italia continuano a farci perdere posizioni. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, pure richiamate nell’audizione al Senato del ministro, l’Italia è destinata a essere superata anche da Grecia e Slovenia in termini di reddito pro capite a parità di potere d’acquisto. Sembrano lontani anni luce i tempi in cui si diceva che finché c’è la Grecia in Europa non saremo mai gli ultimi. Remoti anche i giorni in cui guardavamo con superiorità agli ex paesi socialisti. Ci stanno superando.
Si dirà: almeno i conti pubblici sono rimasti sotto controllo e quando l’economia finalmente ripartirà saremo in grado di rientrare dal disavanzo senza bisogno di grandi manovre correttive. Non è vero. L’Europa dice che dovremo aggiustare il bilancio di 1 punto strutturale per i prossimi tre o quattro anni. Significa circa 15 miliardi annui di tagli di spesa o nuove tasse. Il rischio vero è che la vera manovra triennale sarà quella dei prossimi tre anni.
on l’incubo delle udienze, datevi da fare» gli ha detto liquidandoli. Tacchi indietro, i due si sono messi al lavoro. E adesso, in queste ore, nello studio di Ghedini e nelle stanze di via Arenula, comincia a prendere forma un disegno di legge “leggero” in cui mettere al primo posto i nuovi limiti della prescrizione e poi altre tre “creature” ghediniane, poteri potenziati delle difese a scapito dei giudici, ricusazione più facile delle toghe, stretta nell’utilizzo delle sentenze passate in giudicato. Tutto questo ha un solo norme: una nuova legge tagliata su misura per Berlusconi. Smilza, pochi articoli, di facile gestione parlamentare, con una corsia preferenziale garantita tra Camera e Senato. Da approvare per febbraio, marzo. In grado di chiudere subito il processo Mills, quello più pericoloso per Berlusconi, che con le regole di oggi è prescritto a metà del 2012.
Avrebbe voluto un decreto il premier. Ma, assai contriti, sono stati costretti a dirgli che sarebbe difficile spiegare a Napolitano quali sono le ragioni di necessità e urgenza per cambiare le regole della prescrizione e costringere i giudici ad ancorarla in modo meccanico. Un nuovo braccio di ferro con il Colle è meglio evitarlo. Dunque si vada a un ddl che anticipa, da quello sul processo penale in sonno al Senato, le norme già scritte da Ghedini per Berlusconi a febbraio. Lungimirante il Ghedini: alla fine del 2008, con il lodo Alfano appena applicato al processo Mills, l’avvocato di Padova era consapevole della sua inconsistenza e sfornava nuove norme per proteggere Berlusconi. Vediamole.
La prescrizione in primis. Che hanno fatto i pm di Milano? Hanno ancorato la decorrenza alla data in cui, era febbraio 2000, l’avvocato di Londra entrò in possesso dei 600mila dollari, regalo del premier per la sua versione addomesticata sui fondi neri, e non al 1998 quando quei soldi furono versati. Una scelta che Ghedini, da avvocato, ha sempre criticato. Adesso appresta lo strumento legislativo per togliere ai pm questa libertà mettendo dei paletti rigidi. Il reato fu commesso quando i soldi partirono e non quando furono utilizzati. Quindi la data è il ‘98. La norma, più favorevole all’imputato rispetto a quella attuale, dovrà essere applicata anche al processo Mills che, a quel punto, dovrà subito chiudere i battenti perché i dieci anni in cui si prescrive il reato risulteranno scaduti. Non basta. Per garantirsi che comunque, nel processo contro Berlusconi, non possa essere utilizzata la sentenza del troncone Mills, quando sarà definitiva, Ghedini cambia le regole e cancella la possibilità di usarla in un altro processo come invece avviene oggi.
Messo a posto il caso Mills restano gli altri processi, come quello sui diritti tv che si prescrive nel 2012. E lì non rimane che guadagnare la prescrizione allungando a dismisura i tempi del processo e scandagliando nella vita dei giudici con l’obiettivo di trovare una pecca e ricusarli. Per questo Ghedini ha già scritto da mesi due norme ad hoc: la prima stabilisce che «l’imputato ha diritto, nelle stesse condizioni del pm, di ottenere l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore. Il giudice, a pena di nullità, le ammette». Diventa un esecutore in mano alle difese. Quanto alle toghe si potranno ricusare «anche se esprimono giudizi fuori dall’esercizio della funzione giudiziaria» tanto da compromettere la loro imparzialità. Per capirci, basta che un magistrato intervenga in un’assemblea dell’Anm e esprima un giudizio negativo su una legge ed è fuori dal processo. Il lodo Alfano congelava i processi, queste norme li cancellano.
LaVoce.info, 9 ottobre 2009