La venticinquesima fiducia del primo anno di governo Berlusconi è infine passata, ieri sera alla Camera, col premier che è corso a votarla appartandosi poi col sottosegretario alle Comunicazioni Paolo Romani, reduce da un’audizione in Vigilanza sul caso Rai. Ma sul decreto anticrisi nel quale nelle scorse settimane era stato infilato un po’ a sorpresa il contestato provvedimento sullo scudo fiscale, così a sorpresa che il Quirinale aveva fatto notare che poi sarebbe comunque occorso del tempo per esaminarlo, prima di controfirmarlo, adesso pende la «ghigliottina». E cioè la facoltà per il presidente della Camera di interrompere il dibattito e di mettere ai voti un provvedimento che, altrimenti, rischia di decadere.
Il crinale politico è sottile, pur «prescindendo da qualunque valutazione sul merito del provvedimento», Fini dà un colpo al cerchio e uno alla botte: da una parte il presidente della Camera denuncia le «oggettive anomalie procedurali del decreto, trasmesso dal Senato a dieci giorni dalla sua scadenza», dall’altra annuncia alla conferenza dei capigruppo che si ricorrerà alla ghigliottina, appunto, entro le 15 di oggi pomeriggio. Contenuti ripetuti poi in Aula, in risposta al presidente dei deputati del Pd Antonello Soro che pubblicamente gli aveva ricordato che «si tratterebbe di un precedente pericoloso, di una procedura sinora mai usata per strozzare il dibattito parlamentare». Argomenti ripetuti poi ancora una volta, e con una certa incisività, al deputato Roberto Ghiachetti che gli ha urlato contro «lei mente, lo scudo fiscale l’abbiamo discusso solo per 15 ore», mentre Fini stava illustrando «il diritto di essere trasparenti, e il dovere di impedire il pur legittimo ostruzionismo, al fine di non far decadere un decreto che abbiamo discusso per 2 giorni».
In apertura di giornata Berlusconi aveva definito lo scudo fiscale una necessità, «questi soldi sfuggiti al controllo dello Stato una volta rientrati in Italia possono sostenere la nostra economia», e per i tiggì ha anche aggiunto «li daremo a chi ne ha bisogno». Ma il provvedimento resta controverso. Nel difenderlo alla Camera con pirotecnico intervento Fabrizio Cicchitto, più che tesserne le lodi per conto del Pdl, ha accusato tutte le opposizioni di «ipocrisia, demagogia e nullismo», ha respinto l’idea che si tratti di una «maxisanatoria da vergogna», di «un premio per i più disonesti tra i disonesti», come ha urlato Pier Ferdinando Casini. No, dice Cicchitto, «nello scudo funzionerà il contrasto d’interessi oggettivo». E poi ha attaccato Di Pietro, «che dai suoi amici ha ottenuto credito, calzini, mutande e quant’altro». E questo perché il leader dell’Italia dei Valori aveva dettagliatamente, e sanguignamente spiegato che oltre che un premio agli evasori, lo scudo è «un favore ai criminali», che potranno far rientrare capitali non tracciabili, sui quali pagheranno il 5 per cento di tasse quando invece in altri Paesi europei si arriva al 41 per cento. Soprattutto, «siccome quei pacchi di biglietti da 500 euro mica c’hanno scritto di chi sono, o quando sono stati fatti rientrare in Italia, la sanatoria ai criminali varrà anche nel futuro».
Discorsi «da birreria di Monaco Anni 30», li ha definiti Cicchitto. E questo perché Di Pietro ha rivolto dall’Aula un appello al Capo dello Stato, «non è più tempo di letterine e buffetti sulle guance, signor Presidente, non firmi la legge, la rimandi alle Camere». Alla fine, la fiducia è passata con 309 sì e 247 no. Assenti, nel pomeriggio, ben 59 deputati del Pd, ma va detto che prima del voto i banchi della maggioranza erano desertificati.
La Stampa, 1 ottobre 2009
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Segnaliamo sull’argomento anche i seguenti articoli
“Appello a tutti gli uomini pubblici: impegnatevi a non usare lo scudo”, di Salvatore Bragantini
Niente fermerà il panzer dello scudo ter, il governo chiede la fiducia; evidentemente alla maggioranza manca quella in se stessa. Come limitare in qualche modo, sul piano dell’etica pubblica, i danni? Ci viene detto che si deve contribuire al risanamento dei conti.
Prendiamola per buona, ma allora c’è una contropartita, pur minima, che il governo— imponendo con la fiducia l’obbrobrio — ha il dovere almeno di offrire al Paese: l’impegno solenne di tutti i suoi componenti, e dei loro stretti congiunti, a non farsene scudo. Meglio se lo stesso fosse assunto dai parlamentari, e da chiunque abbia un ruolo pubblico o istituzionale nel Paese.
Insieme alla promessa di dimettersi ove mai si provasse che quell’impegno è stato disatteso. Il danno che questa legge causa al livello civile del Paese è tale da richiederlo.
Lo scudo, infatti, non è degno dell’Italia. Nessun Paese civile ha votato una sanatoria che consente agli evasori di pagare un decimo di quanto dovevano. Davvero sono i conti pubblici ad imporre una misura iniqua ma necessaria?
Eppure nel Regno Unito e negli Usa chi vuol regolarizzare la propria posizione deve pagare almeno l’imposta evasa: dieci volte quanto l’evasore italico. E sì che i conti di questi Paesi, dato l’enorme ammontare di risorse che essi spendono per la crisi, non sono messi tanto meglio dei nostri, come il ministro Tremonti giustamente non si stanca di dire. Perché allora trattare i nostri evasori in modo così smaccatamente più favorevole di Usa e Regno Unito? Il Dna italiano è forse differente? Il ministro non si rende conto di sbagliare quando sostiene imperterrito che il nostro scudo somiglia a quegli altri; non è così, va detto a voce alta. In tal modo egli nuoce alla credibilità propria e del Paese.
Il boccone più prelibato, che solo il nostro scudo offre agli evasori, è l’anonimato.
Con l’obolo del 5% si conquista l’indulgenza plenaria senza nemmeno svelarsi al confessore. Se attaccato dal fisco cattivo, il povero inerme evasore brandirà lo scudo facendo braccetto. Per di più, abbiamo tolto ogni preoccupazione sulle ricadute penali del rimpatrio dei fondi (dal falso in bilancio in poi), ed esentato gli intermediari dall’obbligo di segnalare casi di riciclaggio.
Solleciti come siamo della tranquillità dei sonni degli evasori, pare che teniamo in serbo una chicca. Lo scudo proteggerebbe anche i mariti che non vogliono pagare alle ex mogli alimenti proporzionati alle imposte evase: così imparano ad invecchiare!
Gira già l’idea di estendere la scadenza dello scudo oltre il 15 dicembre, ma perché non renderlo permanente? Si può sempre far meglio: i vigili di Milano hanno sequestrato, su un autobus «cellulare», delle persone senza permesso di soggiorno. Dato che sono tantissimi, perché non consentire a chi fra loro abbia esportato fondi, magari frutto di reati banali come lo spaccio o l’estorsione, di mettersi in regola pagando il 5% del bottino? I conti pubblici migliorerebbero ulteriormente, Bossi si darà pace.
Siamo ben lontani dalla fine di una crisi dovuta anche alle crescenti disuguaglianze, fenomeno specialmente grave negli Usa e in Italia; lo attesta l’indice di Gini che le misura.
Lo scudo ter è una bizzarra risposta a questo stato di cose, e questa nuova mazzata convincerà tutti che l’illegalità, perfino il crimine, pagano purché si abbia cura di allinearsi al sentire del Paese, per cui l’evasione è una birichinata, quando non la doverosa difesa dallo Stato predone. Il tutto per un provvedimento che non assicura affatto che i denari siano utilizzati a sostegno dell’economia del Paese; il 5% va allo Stato, che non lo usa a riduzione del debito, ma sul 95% non ci sono obblighi di sorta. Se i fondi erano investiti in azioni o titoli di Stato stranieri, ad esempio, potranno tranquillamente continuare ad esserlo.
Già diversi birichini stranieri stanno chiedendo residenze fiscali di comodo in Italia, per parcheggiare qui le loro birichinate, fino a quando non potranno più essere contestate dalle loro autorità fiscali. Mentre diciamo che i paradisi fiscali sono alla fine, noi ci apprestiamo, zitti zitti, a diventarlo. Non ci meritiamo questo scempio. Aspettiamo almeno l’impegno di chi ce lo impone a non utilizzarlo.
Il Corriere della Sera, 1 ottobre 2009
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“«Faremo ostruzionismo per far decadere il decreto». Intervista ad Antonello Soro”, di Felicia Masocco
Le assenze in Aula? «Davanti a una legge vergognosa, di cui vorremmo parlare, non mi sembra il punto politico », risponde Antonello Soro, capogruppo Pd a Montecitorio. E spiega che il Pd «con cento voti di margine rispetto alla maggioranza », non segue la strategia di una «prevalenza numerica». «Siamo impegnati in una battaglia durissima usando l’ostruzionismo per far decadere il decreto», ma presidente della Camera ha annunciato il ricorso alla “ghigliottina“ ovvero all’interruzione forzosa del dibattito per andare al voto: «Siamo contrarissimi, sarebbe la prima volta nella storia parlamentare, e verrebbe usata per una legge ingiusta, incivile e inefficace di cui si vergognano anche quelli che saranno costretti a votare a favore».
La questione delle assenze non esiste?
«Non affidiamo ai numeri le nostre battaglie politiche, sarebbero perse in partenza. Le affidiamo agli argomenti quando è possibile, e agli strumenti che consentono all’opposizione di pesare di più quando ci sono i decreti legge. Ora mi pare importante vedere se il presidente della Camera utilizzerà la “gligliottina“».
Come valuta questa mossa di Fini?
«Siamo contrarissimi, sarebbe la prima volta nella storia parlamentare e verrebbe usata per una legge di cui si vergognano anche quelli che saranno costretti a votare a favore».
Lei parla di «schifezza», di «legge-vergogna»: con quali argomenti?
«È una legge ingiusta, premia chi ha violato la legge e mortifica gli italiani onesti che pagano le tasse. È incivile, perché consente una sanatoria tombale per reati che vanno dal falso in bilancio all’occultamento e distruzione di documenti contabili, a false comunicazioni sociali. Impedisce l’emersione di elementi a carico dei beneficiari che possono portare all’anonimato anche gli autori di riciclaggio di denaro sporco, fino al flusso di capitali per alimentare il terrorismo internazionale. Tutto questo con un obolo che non supera il 5%. È un condono penale, un’autentica amnistia.
Inoltre è inefficace, come tutti i condoni dimostra che lo Stato è debole con i furbi. Lo scudo fiscale genera illegalità: chi ha portato i capitali fuori li riporterà dentro, ma ne usciranno altrettanti perché si incoraggia a continuare. Vale infine la pena di ricordare che Tremonti in campagna elettorale si era impegnato a non fare più condoni, mentre la Lega aveva tuonato per settimane contro l’indulto: adesso cerca l’amnistia».
Alla luce di questo non le sembra grave che molti deputati fossero assenti al voto delle pregiudiziali di incostituzionalità?
«Siamo impegnati in una battaglia durissima contro questa legge vergognosa e non abbiamo scelto la strategia di una prevalenza numerica in aula sapendo che abbiamo cento voti di margine rispetto alla maggioranza che, peraltro, ha a disposizione anche sottosegretari e ministri. Abbiamo scommesso sul ricorso agli strumenti che ci consentono di arrivare fino a sabato».
Quali sono?
«L’ostruzionismo, che stiamo già facendo con dichiarazioni di voto e illustrazione di ordini del giorno e che, secondo il regolamento, ci consente di far decadere il decreto».
È dunque infondata l’accusa che vi viene mossa da Sinistra e libertà di aver fatto un regalo al governo?
«Davanti a questa legge la Sinistra farebbe bene a scaricare la propria tensione sul governo e non contro chi fa l’opposizione. In ogni caso vorrei dire che in tutta la legislatura il Pd ha la percentuale più alta di presenze rispetto ad altri gruppi. A parte i malati, non giustifico mai gli assenti e non l’ho fatto in questa occasione, ma se noi avessimo avuto anche soltanto dieci deputati in più il governo ne avrebbe fatti arrivare venti dai ministeri. Alzare in questo momento una polemica nei confronti dell’opposizione mentre il governo mette in essere questa gigantesca schifezza, mi sembra per davvero il trave e la pagliuzza. Contro questa legge-vergogna occorrerebbe creare dissenso verso il governo, e consenso per l’opposizione. Invece un pezzo di sinistra, forse intristita dall’assenza dal Parlamento perde di vista i bersagli veri».
L’Unità, 1 ottobre 2009
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