Sarà il pessimismo della sinistra che ha alimentato la sfiducia. Però le cifre non si accontentano delle esortazioni all’ottimismo. Sono quasi un milione (984.286) le domande di disoccupazione liquidate dall’Inps in un anno, tra l’inizio di agosto 2008 e la fine di luglio 2009, con un incremento del 52,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
È quanto emerge dalla relazione del presidente e commissario straordinario dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, in occasione della presentazione dell’attività e dei risultati dell’Istituto di previdenza ad un anno dalla sua nomina. Dal primo settembre 2008 al 31 agosto 2009, le ore autorizzate di Cassa integrazione guadagni hanno superato quota 615,5 milioni (615.554.896) mettendo a segno un aumento complessivo del 222,3%, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente. Nel totale la cassa integrazione ordinaria ha registrato un incremento del 409,4% (408.919.363 ore), mentre la cassa integrazione straordinaria è balzata dell’86,7%, a 206.635.533 ore.
«La sfavorevole congiuntura economica che il Paese ha dovuto affrontare in questi mesi – si legge nella relazione – ha riversato sulle casse e sugli uffici dell’Inps la responsabilità di sostenere i lavoratori in difficoltà. Le ore autorizzate per i trattamenti di integrazione salariale hanno subito un massiccio incremento».
Sono stati pari a oltre 1,5 miliardi di euro i contributi recuperati dalla lotta al lavoro nero. L’aumento rispetto all’anno precedente è significativo: 24,53 milioni di euro raccolti in più. La riforma dell’istituto previdenziale, inoltre, ha consentito una razionalizzazione dei tempi di erogazione delle invalidità civili: grazie al fascicolo elettronico, l’Istituto stima di abbassare i tempi di erogazione da 345 a 120 giorni, accertando così la data di visita per i richiedenti. Il risparmio stimato sarà di circa 100 milioni di euro.
L’Unità, 28 settembre 2009
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Segnaliamo sull’argomento questo interessante dossiere di Repubblica
“Lettere dalla crisi”, di Ettore Livini
Dagli operai ai precari, dagli imprenditori ai negozianti. Le vittime della recessione si raccontano. Con amarezza ma anche con qualche speranza
Le banche hanno ripreso a macinare utili e bonus. Il G-20 e i dati macroeconomici ci annunciano che il peggio della recessione (facendo i debiti scongiuri) è ormai alle spalle. Bilanci e statistiche però sono solamente un volto dello tsunami che ha travolto il mondo negli ultimi due anni. L’altra faccia della crisi – come raccontano le oltre 5mila testimonianze raccolte su www.repubblica.it – è il dramma delle oltre 580mila persone che hanno perso il lavoro in Italia nel primo semestre dell’anno. O che rischiano di perderlo nei prossimi mesi. Una marea che (purtroppo) continua a montare, come si può intuire da questa pioggia di e-mail, un muro del pianto online che disegna il ritratto trasversale di una società tricolore sempre più “liquida”, dove la congiuntura negativa non ha risparmiato davvero nessuno.
I licenziamenti di massa di una volta, dicono le lettere arrivate sul sito, sono una categoria da archeologia industriale. La via crucis dei lavoratori del Belpaese oggi è uno stillicidio di piccole grandi tragedie dove i vecchi steccati sociali sono saltati. Scrivono i dipendenti rimasti senza stipendio ma anche i datori di lavoro («i ricavi della mia azienda di intimo sono crollati del 60% – si sfoga il titolare della mantovana Project Five – . Dieci impiegati su 16 sono in cassa e se non arrivano ordini a fine anno deve chiudere»).
Saltano i contratti a termine (229mila solo nel secondo trimestre) e i Cococo (-65mila). Mentre i 500mila italiani in cassa integrazione lo scorso luglio aspettano con il fiato sospeso di capire se riusciranno a salvare il posto in vista di un autunno che – letto nella sfera di cristallo delle testimonianze personali – rischia di essere più duro della prima metà dell’anno.
Questa Spoon River del lavoro tricolore è il ritratto di un mercato dove a sparire non sono solo le antiche categorie sociali. La mappa del disagio è rivoluzionata anche sulla carta geografica e a livello anagrafico. Si licenzia al sud ma anche, più che in passato, al nord. Chiudono le start-up dell’information technology in Campania come i centri ricerca della Nokia Siemens in Lombardia («a Helsinki hanno deciso di trasferirli in paesi a costo minore»). Abbassano le saracinesche i negozi («dopo 25 anni, di cui gli ultimi due in rosso, ho pagato 7.500 euro per le pratiche» si lamenta il titolare del Punto foto music di Pordenone) e soffre il popolo delle partite Iva («sono un pre-cococo che si è messo in proprio e che ora, stretto tra clienti morosi e banche indifferenti è senza lavoro», racconta una testimonianza da Torino).
Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha provato a vedere il bicchiere mezzo pieno: «L’impatto della crisi sul mondo del lavoro è inferiore in Italia rispetto agli altri paesi», ha detto commentando una disoccupazione salita a giugno 2009 al 7,4% (contro l’8,8% della media Ue-15 e il 9,7% degli Usa). Ma il merito è anche del fatto che molti giovani e molte donne hanno alzato bandiera bianca, rinunciando dopo mesi di vani tentativi a cercare un lavoro.
Il dramma, come raccontano le lettere a Repubblica, si consuma a tutti i livelli generazionali. Faticano i giovani, come un trentenne insegnante di Serravalle Scrivia («laureato con 110 e lode in lettere», annota con orgoglio), che vedono andare in fumo le promesse d’assunzione. Si sentono al capolinea i 45-50enni come l’ex promotore napoletano Ciro Chiaro – oggi senza lavoro con moglie e tre figli a carico – che scoprono di essere già «troppo vecchi» per trovare un posto nuovo, spiazzati dalla concorrenza «di giovani da torchiare cui lavare il cervello».
Come in un reality del lavoro – malauguratamente davvero reale – le esperienze raccolte dal sito sono la fotografia del meglio e del peggio del paese. Sul fronte delle relazioni industriali e a livello umano. C’è la «padrona meravigliosa» (copyright di un dipendente della Facchini Francesco di Brescia) che aggiorna ogni settimana i suoi operai sullo stato della crisi e fa di tutto per salvare i posti. Ma c’è anche la dipendente della Bunge Italia cui dopo la maternità è stato comunicato il trasferimento da Roma a Ravenna e che oggi è in mobilità con un figlio di 9 mesi. Ci sono gli operai della Lasme 2 a Potenza (indotto Fiat) cui i tagli sono stati annunciati mentre erano in ferie.
E (poteva mancare?) c’è il tradizionale armamentario della furbizia tricolore: un campionario di finanza creativa, si fa per dire, che va dagli imprenditori che liquidano un’azienda per farla rinascere con un taglio agli organici (come accusano i dipendenti di un’azienda di trasporti milanese) alle società che fanno shopping di realtà decotte e poi lasciano i dipendenti senza stipendio per mesi trasferendoli a nuove misteriose Srl, come denunciano all’Eutelia.
C’è di tutto insomma. La disperazione di chi, pur senza aver letto la grande stampa economica anglosassone, capisce da solo, che «l’aumento della disoccupazione è un fenomeno destinato a durare a lungo termine» come ha ammesso il Fondo monetario internazionale. Come dire che le aziende, i cui conti stanno già migliorando, si rimetteranno in piedi molto prima dei loro (ex) dipendenti. C’è l’orgoglio del titolare delle Officine Cb di Firenze («-55% di fatturato quest’anno», scrive a Repubblica) che ammette di «aver paura» ma che non si è «mai abbattuto».
La somma di queste 5mila storie è la foto di un’Italia che rischia (o è già) rimasta indietro. E che in molti casi fatica a far quadrare il bilancio di casa malgrado i “presunti” ammortizzatori sociali. L’identikit di un paese che con i guasti sociali, economici ed emotivi aperti da questa crisi dovrà fare i conti ancora a lungo. Anche perché al di là di tanti ottimismi di facciata questi racconti suggeriscono che la svolta non è dietro l’angolo. «Sono un giovane imprenditore di Reggio Emilia che lavora nella meccanica e si sta interrogando sugli effetti della crisi – racconta il “padrone”, si sarebbe detto una volta, della Nuova Eurorampe – Le grandi aziende del mio territorio sono ferme, l’indotto di piccole soffre d’asfissia e chiuderà o ridimensionerà il personale entro fine anno. La luce in fondo al tunnel di cui molti parlano qui non è ancora arrivata…». Tutti, di cuore, sperano si sbagli.
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“Licenziato e senza nessun aiuto perché la tv non parla di queste cose?”
Sono un operaio dell’Ancione, un produttore di asfalto della provincia di Ragusa. Sono stato licenziato a febbraio 2009 per riduzione di personale. Ho dovuto lavorare anche nel periodo di preavviso fino allo scorso 2 maggio 2009. Oggi è il 24 settembre e aspetto ancora l’indennità di mobilità da parte dell’Inps: mi hanno spiegato che è tutto bloccato perché l’Assessorato al Lavoro della Regione Sicilia, che deve trasmettere le delibere di iscrizione nelle liste di mobilità, è «oberato» di lavoro. Mi chiedo quanto dovrò ancora aspettare per ricevere qualcosa. Ma non si era detto che tutte le procedure per gli ammortizzatori sociali venivano accelerate? Perché nei salotti televisivi nessuno parla di queste cose?
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“Io, dipendente a costo zero senza diritti e senza garanzie”
PROFESSIONE stagista. Sento parlare solo di persone che perdono l’impiego. Oppure di persone che beneficiano di un sostegno, magari di modesto importo. Ma tutti quelli che non sono mai entrati veramente nel mercato del lavoro? Sono veri e propri fantasmi per tutti. E non parlo solo di interinali, co.co.pro. o contratti a tempo determinato. Mi riferisco agli stagisti: il nuovo fenomeno di approvvigionamento della forza lavoro a costo zero. Allo stesso tempo, però, anche i diritti sono zero. E di questo, purtroppo, nessuno sembra accorgersi. Si passa da uno stage all’altro, a volte anche di durata annuale, senza essere riconfermati. È la categoria dei più sfruttati e che non possono contare su alcuna forma di garanzia. L’unico ammortizzatore sociale? Mamma e papà.
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“L’agenzia del lavoro non mi vuole e la banca mi sta pignorando la casa”
Ho lavorato a Roma da febbraio 2003 a giugno 2009 presso Italia Lavoro spa: l’agenzia del ministero del Lavoro. Nell’arco di sei anni mi hanno fatto sei contratti continuativi. A giugno però il mio rapporto non è stato più rinnovato. La stessa situazione ha riguardato altri colleghi in servizio da tempo e che erano assunti con contratti annuali come nel mio caso. Ora mi trovo ad affrontare una situazione particolarmente complicata. A causa della crisi e dei miei 43 anni non riesco a trovare un’occupazione. Inoltre la banca sta pignorando la casa. Ho moglie e figlio piccolo a carico. In tutto questo non posso contare sul sostegno di alcun tipo di ammortizzatore sociale. Vorrei sapere dov’è lo Stato. Aiutatemi.
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“Addio anche ai piccoli progetti la vita da precario non lo consente”
HO trent’ANNI e faccio l’insegnante. Mi sono laureato in lettere con 110 e lode. Dopo l’università ho conseguito anche un master. Ho iniziato a lavorare con organizzazioni non governative straniere e ho alle spalle anche qualche piccola esperienza giornalistica. Poi ho iniziato a fare il docente: sono stato per due anni in una scuola media. Un lavoro che mi piace. Ho un buon punteggio in graduatoria e le qualifiche richieste. Così mi illudo e insieme alla mia ragazza iniziamo a fare qualche progetto. Ovviamente progetti piccoli, quasi modesti: un’automobile usata, una breve vacanza. Con i tagli all’istruzione che mi hanno riguardato in prima persona, i ministri Tremonti e Gelmini se li sono ripresi. Per loro rappresentano soltanto un piccolo risparmio, ma non sapranno mai quanto valevano per me.
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“Ho dovuto chiudere la mia azienda ora sto pensando di emigrare”
AVEVO una piccola ditta di informatica. Si occupava di progettazione e sviluppo di software e hardware. Ho sperimentato sulla mia pelle cosa significhi la recessione. Sono stato costretto a chiudere l’impresa per mancanza di ordini e commesse: non c’era lavoro. Ho comunque deciso di continuare come autonomo fino a tutto l’anno scorso. Ma da allora non c’è stato più nulla. Nessun cliente, nessun lavoro, nessun guadagno, nessun ammortizzatore. Solo i risparmi di una vita ci consentono di tirare avanti. È una vita di sacrifici. Dobbiamo stare attenti a tutte le spese. La mia famiglia è monoreddito, praticamente tre persone a carico. E sono senza più alcuna prospettiva di lavoro a 52 anni. A questo punto sto pensando di emigrare.
La Repubblica, 28 settembre 2009