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“Quelle nuove e costose periferie chiamate «New town»”, di Vittorio Emiliani

Tutti ricordano il terremoto, fra ottobre e novembre 2002, di San Giuliano di Puglia (Campobasso), che seminò la morte nella scuola del paese: 27 bambini e un’insegnante schiacciati. Il resto dell’abitato non aveva subito danni gravi.MaSilvio Berlusconi subito parlò di una «San Giuliano di Puglia 2», avendo fissa in testa la «sua» Milano 2. Poi la cosa non andò avanti. Stavolta, col solito tecnico privato di fiducia, l’ingegner Michele Calvi (sempre Milano 2), ci ha riprovato straparlando di newtown aquilane, in realtà una congerie scollegata di banali lottizzazioni. V’è di più. «Si sono rifatti i conti e le new town sono diventate inaspettatamente (per la Protezione Civile) insufficienti. E la gente riparte per il mare».

Uno show illusorio dunque. Lo scrivono gli urbanisti Vezio De Lucia e Georg Josef Frisch, e il sismologo Roberto De Marco nel rapporto ancora inedito di cui diamo conto in anteprima «L’Aquila. Non si uccide così anche una città? ». Essi affrontano, oltre all’insufficienza quantitativa delle abitazioni previste per i terremotati aquilani (senza servizi, oltretutto), il nodo dei costi della soluzione prescelta. Per ricostruire la casa com’era e dov’era (ma sicura) ai circa 7.000 cittadini della zona rossa del centro storico, occorrerebbero 380 milioni di euro. Inoltre, quei cittadini dovrebbero essere sistemati provvisoriamente per il tempo necessario con Moduli Abitativi Permanenti (MAP).A quali costi? «La Protezione Civile», rispondono i tre esperti, «sta spendendo, chiavi in mano, 1.000 euro per mq, mediamente 50.000 euro ad alloggio MAP». Per i 2.820 alloggi necessari, farebbero 140 milioni di euro. Sommati ai 380 milioni precedenti, si salirebbe a circa 520 milioni. Il Progetto C.A.S.E. in corso di realizzazione, cioè le 20 micro-new town, o lottizzazioni, prevede invece un costo di 2.800 euro al metro quadrato per un importo complessivo di 710 milioni di euro. Badate, si tratta di mini-alloggi: da 40 a 70 mq contro i 90 mq della media Istat. Fra l’altro li stanno rimpicciolendo per stiparne di più nei 20 lotti essendosi accorti che sono di molto inferiori ai bisogni. Quindi, per i 7.000 aquilani della zona rossa «avere una casa nelle new town costerà 440 milioni di euro». Non è finita. C’è da calcolare il costo del temporaneo, non breve soggiorno negli alberghi della costa. Circa 8,4 milioni al mese. In sei mesi (e non so se bastino), un costo aggiuntivo di 50 milioni, da sommare ai 440 milioni di poco sopra. In totale, circa 490 milioni di euro. Non è tutto, perché nella versione finale del decreto sul terremoto (28 aprile 2009) il governo ha dovuto riconoscere ai residenti del centro storico con abitazione in E (cioè gravemente danneggiata) la totale copertura delle spese di ricostruzione e ai proprietari di seconde case in E «un ristoro di 80.000 euro». A questo punto dobbiamo sommare i 380 milioni di euro calcolati per ricostruzione e recupero della zona rossa del centro storico ai 490 milioni per le cosiddette new town e fanno 870 milioni di euro. Una obiezione è scontata: «Le new town sono un patrimonio edilizio a futura diversa destinazione». Già, però si tratta di alloggi definiti dalla Protezione Civile soltanto «durevoli », decisamente piccoli, più piccoli di un terzo delle abitazioni andate distrutte.Eper oranonci sono fondi per i servizi. Insomma, concludono gli autori dello studio, «non si può però essere sicuri che costruire case al costo di un appartamento di lusso sia stato un buon investimento ». La ricostruzione aquilana, con tutte le declamate pretese di efficienza, costerà di più di una «ricostruzione tradizionalmente intesa».

E qui torna il discorso fatto nella prima puntata: la fretta presuntuosa con cui si è voluto agire senza tenere in alcun conto le esperienze friulane e umbro-marchigiane sarà nemica di una «buona ricostruzione». Della cui elaborazione progettuale, del resto, nemmeno si discute. Nasce alloraun sospetto di fondo: questa urbanistica «di emergenza» non diventerà «permanente»? Della bella Aquila oggi in macerie che ne sarà? Prima del sisma nelle case e nei nuclei sparsi risiedeva il 34 per cento della popolazione del Comune; con le new town vi risiederà il 56 per cento. Nel centro storico abitava il 15 per cento che si ridurrà ad un misero 6per cento. Come diminuirà (dal 51 al 38 per cento), a vantaggio dei nuclei e case sparse, la quota di quanti avevano casa nelle zone urbane. Prima del terremoto, «bendue terzi della popolazione del Comune abitava nel capoluogo (centro storico e zone adiacenti), mentre solo un terzo era residente nelle frazioni e nei nuclei periferici ». Con la centrifugazione prodotta dal Progetto new towns, o C.A.S.E., il capoluogo perde «un terzo degli abitanti, mentre il centro storico subisce un vero e proprio tracollo ». L’Aquila sarà così trasformata in «una città più piccola contornata da venti periferie?». Se ricordate, nella prima versione del decreto legge, si insisteva sul ruolo di Fintecna incaricata di subentrare agli aquilani con casa danneggiata che non ce la facevano a ricostruire.

A tutt’oggi non c’è nessuna ombra – a differenza del modello umbro- marchigiano – di comparti omogenei perimetrati, di programmi integrati, né di consorzi obbligatori fra i proprietari per il recupero degli edifici distrutti o lesionati. Campo libero dunque, per selezione «naturale», ai singoli, ovviamente ricchi o agiati, che vorranno qua e là recuperare mettendo in sicurezza. «Per dar vita ad una L’Aquila-land per turisti e fruitori di shopping, richiamati dalla possibilità di ammirare come era una città preziosa prima del terremoto». Una vuota scena.Una bella occasione speculativa. In tanta inerzia, difficilmente l’Ateneo aquilano riavrà i suoi 27.000 iscritti, con parecchi fuorisede. Faticheranno Conservatorio, Accademia e altri istituti. Languiranno gli 800 esercizi commerciali dei quartieri storici. Il Tribunale è sbriciolato, l’Ospedale lesionato. Le imprese si saranno riposizionate sul territorio. Si pagherà un altissimo prezzo: la disgregazione di una comunità. Possibile che di ciò che tocca il cuore, gli elementi vitali del primo grande centro storico terremotato dopo Messina (1908) la classe dirigente, intellettuale italiana non senta il bisogno di discutere in senso positivo, progettuale? Non senta l’urgenza di sostenere quanti nelle istituzioni (il sindaco Massimo Cialente, la combattiva presidente della Provincia Stefania Pezzopane) non si rassegnano? Possibile che questo nostro Paese sia, in tutto, così sfibrato, disanimato, incapace di reagire, persino al «tutto va ben» strombazzato da Berlusconi e dai suoi contro ogni cifra, contro ogni realtà? Ma dove sono urbanisti, pianificatori, sindacati, partiti dalla parte dei cittadini?

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Ma i servizi in queste «città»
dove si pensa di metterli? di V.E.

Silvio Berlusconi ha detto che risponderà solto a domande serie, per esempio sul post-terremoto all’Aquila. Noi gliene poniamo altre 5 dopo quelle della prima puntata.

1) All’Aquila si stanno, di fatto, costruendo20 quartieri periferici“durevoli”, 20 nuove, confuse periferie. Con quali servizi se per questa voce non ci sono ancora stanziamenti?

2) Lo sa che, per non voler essere“tradizionali” come in Friuli o inUmbria,le case in costruzione all’Aquila(in numero insufficiente) costeranno come appartamenti di lusso?

3) Per il centro storico dell’Aquila non si parla ancora di “ricostruire”,non ci sono perimetrazioni di comparti omogenei, né programmi integrati, né consorzi fra privati: che ne sarà nel tempo del centro storico abbandonato? Diverrà una sorta di Aquilaland per turisti (e per speculatori)?

4) Non ritiene pericolosissimo chel’Aquila divenga una città più piccola con tante periferie disgregando così il cuore della comunità aquilana?

5) Se l’Aquila, dove quasi tutto è fermo,non riparte al più presto, come crede che potrà ripartire l’intera provincia e la stessa regione? V.E.

L’unità 26.09.09