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“Ma Barack ci ama o non ci ama?”, di Lucia Annunziata

L’elezione di Obama, nonostante i toni di grande riconciliazione, ha inserito una sorta di disagio nelle vene dell’Alleanza atlantica, quale mai sperimentata prima. Con il presidente Bush questi rapporti fra le due sponde erano infatti non idilliaci ma chiari. Con il nuovo inquilino della Casa Bianca, il perfetto contrario: idilliaci ma non chiari. La prevedibilità, la nettezza di posizioni del presidente repubblicano sulla guerra preventiva e la negazione del multilateralismo sono state sostituite dall’amichevolissimo ma illeggibile e per molti versi distaccato rapporto con Obama.

Proprio in questi giorni, due grandi eventi hanno portato a galla l’incertezza. L’accelerazione della guerra in Afghanistan, di cui i morti italiani sono insieme il prodotto e il simbolo; e la cancellazione dello scudo spaziale antirusso, i cui siti sono stati collocati finora in Polonia e in Repubblica Ceca.

Entrambe le circostanze hanno messo in fibrillazione gli europei. Il lutto italiano è solo l’ultimo di una serie che fa ormai parlare i Paesi europei della necessità di rivedere la missione in Afghanistan – ma questi dubbi sbattono contro un’accelerazione dell’impegno in quel Paese decisa dal presidente americano.

Vero è che nel Paese dei Taleban le missioni sono due e separate, quella Nato e quella Usa, per cui tecnicamente gli alleati possono procedere senza necessariamente intersecarsi, ma il raddoppio dei soldati Usa deciso negli ultimi mesi da Obama (nel 2008 erano 32 mila, oggi 62 mila) e il desiderio di ritiro che circola in Europa sono elementi di distanza obiettivi, e creano un ovvio disagio.

Per quel che riguarda l’annullamento dello scudo spaziale antirusso, l’Europa continentale non può che esserne contenta, dopo tanto aver invocato la fine di ogni tentazione di guerra fredda. Ma la cancellazione di ogni difesa antirussa sembra essere andata molto più in là di ogni attesa, e non solo lascia sorpresi gli europei ex occidentali, ma lascia impauriti gli europei ex orientali. La laconica risposta con cui proprio ieri Obama ha cercato di rassicurare tutti noi, più che risolvere i dubbi, è suonata ancora più distaccata: «Bush aveva proprio ragione, questo scudo non è mai stato una minaccia per la Russia. Noi abbiamo preso le decisioni più efficaci per proteggere noi e i nostri alleati. Se poi uno dei risultati di questa decisione è di rendere un po’ meno paranoide la Russia spingendola a fronteggiare con noi la minaccia dei missili dell’Iran, è un risultato in più».

In Italia, va aggiunto, la nuova vicinanza distante con l’America di Obama è stata ulteriormente sottolineata dal molto pubblicizzato cambio dell’ambasciatore Usa nella capitale, Thorne, che, in maniera certo inusuale, ha prima dato un’intervista al Corriere della Sera e poi si è presentato a Palazzo Chigi.

Nasce così, in tutti questi solchi e buche della strada, il dubbio che si sente circolare: e se Obama oggi si sentisse meno vicino all’Europa di quanto (paradosso!) non lo fosse Bush? E se Obama rispettasse di più ma amasse meno questa nuova Europa? La domanda in sé è già un segno dei tempi: l’esistenza stessa del dubbio è una forma di cambiamento. Ma se di diversità si tratta rispetto al passato, forse andrebbe capita non tanto scrutando Obama, quanto noi stessi, europei. Effettivamente, per certi versi il nuovo leader americano è più lontano dall’Europa. Ma il modo e le ragioni non sono parte di una differenza, quanto del significato stesso dell’attuale presidenza. Forse, dunque, siamo noi a non capirlo bene. Obama legge il mondo, inteso come il globo terrestre, con un movimento diverso, strettamente legato ai suoi obiettivi. Davanti a sé ha due compiti storici: salvare l’economia mondiale, per salvare quella del suo Paese, e riaffermare l’egemonia americana.

Entrambe queste sfide le vince o le perde in Asia. Il suo braccio di ferro economico è con la Cina, e le sue guerre di stabilizzazione sono tutte intorno e dentro i Paesi musulmani. Di conseguenza, Obama guarda al mondo ogni mattina, affacciandosi al balcone della Casa Bianca, non più da Ovest a Est, mirando cioè all’altra sponda dell’Atlantico, bensì da Ovest a Ovest, voltato verso il Pacifico, e oltre, la Cina appunto, l’Estremo Oriente, il Medio Oriente. Alle sponde europee arriva solo dopo questo lungo volo di uccello. E prima di arrivare a noi europei dell’Ovest, passa ben prima dalla Turchia e dalla Russia. In questo senso è vero, siamo più lontani di prima dalla Casa Bianca. L’Europa che per anni ha detenuto il centro di quasi tutti gli sviluppi mondiali, insieme con gli Usa, oggi è geograficamente ai margini del centro. Il modo rispettoso ma parallelo a noi con cui l’Amministrazione Usa gestisce tutti i suoi dossier esteri – dall’Afghanistan al petrolio, alle alleanze, alle rogne, come l’Iran – è la prova di questa nuova realtà.

Ma è freddezza? È distacco politico? È un indebolimento dell’Alleanza atlantica? È una sua marginalizzazione? Insomma, Obama ci ama o non ci ama? A tutte queste domande che poi nei vari Paesi rischiano, come in Italia, di ingigantirsi fino a diventare tensioni con gli Usa, la risposta migliore è forse la più semplice: sì, Obama ci ama, ma la geografia purtroppo non è più la stessa.

La Stampa, 21 settembre 2009