Emblematica figura della lunga e difficile crisi che stiamo attraversando è il precario, una sorta di vittima sacrificale nei riti propiziatori per la ripresa e il benessere, cioè i grandi incontri nazionali e internazionali sulle questioni economiche.
La crisi sta profondamente modificando le stesse caratteristiche del precario: sempre meno è il lavoratore in attesa della stabilizzazione, e sempre più un lavoratore alla giornata che passa dalla disoccupazione all´occupazione e viceversa, soprattutto, e che spesso è solo un disoccupato.
È un lavoratore giovane il precario, anzi sta contribuendo a spostare in avanti la fascia d´età dei giovani: spesso supera ormai la soglia dei quarant´anni. Ed è quasi certo che, alla fine della sua eventuale attività lavorativa, non riuscirà a percepire alcuna pensione, o solo un assegno largamente insufficiente per vivere.
Da disoccupati, precari, giovani, viene in mente l´acronimo “dispregio” a indicare l´indifferenza e il disprezzo nei loro confronti del mondo dell´economia e del lavoro, e, nei fatti, dell´intera società; un disprezzo del tutto ricambiato dai giovani precari e disoccupati, insieme al più profondo disincanto verso un mondo che li esclude e che li obbliga spesso a saltare tappe importanti di una vita normale: l´uscita dalla famiglia, il lavoro, una casa, il matrimonio, e domani forse la pensione.
Eppure, quando si fa l´analisi dei mali che affliggono il nostro paese, dalle indagini scientifiche ai sondaggi popolari, tutti convengono sul fatto che i due problemi principali del paese sono il debito pubblico e la disoccupazione giovanile. Che diventano le priorità di ogni programma di governo e di ogni accordo con le parti sociali.
Combattere entrambi con lo stesso impegno; anzi l´abbassamento del primo è funzionale alla riduzione della seconda. Poi, inevitabilmente, scatta la politica dei due tempi: subito sacrifici, tagli, nuove tasse, aumento dei prezzi e delle tariffe, domani lavoro, istruzione, welfare. Giovani, disoccupati, precari, pagano come i pensionati al minimo, i disabili, i non autosufficienti: molto più degli altri considerando le loro possibilità.
Quando poi il secondo tempo non arriva, sono come quei disperati che versano per un posto di lavoro promesso migliaia di euro, e poi scoprono la truffa. C´è un equivoco di fondo nel rapporto tra crisi economica, precariato e disoccupazione. Si parte dalla crisi e, passando per globalizzazione e competitività, si arriva a precari, licenziati e disoccupati, come se ci fosse un rapporto di causa ed effetto tra i due fenomeni.
La verità è che si decide di scaricare su di loro i costi della crisi, di farla pagare a loro, salvando altre categorie sociali e di lavoratori.
Da chi sono rappresentati i precari, viene da chiedersi. Certo non dal governo, ma neanche dai sindacati, almeno non pienamente. A una recente riunione delle rsu della scuola, a chi illustrava con una tabella i risultati di una lista nelle elezioni dal 2000 a oggi, un precario ha contrapposto, ricavandolo dalla stessa tabella, il numero degli addetti in continua flessione, anno dopo anno, segno della violenta espulsione di tanti lavoratori precari dal mondo della scuola. Garanzie per quelli di ruolo, nessuna per gli altri.
Si è aperto sulla riforma del mercato del lavoro un grosso contenzioso, politico e sindacale, perché si è capito che con le modifiche dell´articolo 18 si vogliono precarizzare tutti i lavoratori: altro che estendere diritti ai precari. Ma se pure si salverà l´articolo 18, non si salveranno i precari. Non è rappresentanza la semplice tutela di precari che rimangono precari, di precari che vengono sempre in seconda battuta dopo i “tempi indeterminati”.
Si lascia così spazio di rappresentanza ad altri, che ondeggiano tra inquietanti progetti politici e mera speculazione. Disoccupati organizzati a Napoli che condizionano tempi, movimenti ed eventi della città. Pseudosindacati con sede presso uffici legali che procedono per ricorsi e azioni giudiziarie. Comitati e coordinamenti d´ogni genere, solleticati da politici spregiudicati di ogni schieramento.
L´ultima fase politica è caratterizzata dai moniti. Un monito alla stabilità politica, che sembra un ricatto. Moniti al rigore e all´equità, che sembrano veti incrociati in grado di annullare entrambi. Aggiungere moniti su giovani disoccupati e precari, per esempio che il paese perde il contributo d´intere generazioni e il ricambio di risorse umane non solo per il lavoro ma anche per la democrazia e l´impegno politico e civile, o che questi giovani possono diventare preda della malavita o di gruppi terroristici, eccetera, non serve francamente a nulla.
Si può continuare a decidere e concordare, per superare la crisi, misure e provvedimenti che ignorino disoccupati, precari, giovani. Con una preghiera, più che un monito: non dite che lo fate per loro.
La Repubblica 29.03.12