L’iter di conversione in legge del Decreto su Roma capitale –ufficialmente da scrivere con ‘c’ minuscola–, alla Commissione bicamerale ha aspetti singolari e sta producendo una bomba a orologeria pronta a esplodere sul patrimonio artistico, archeologico, architettonico capitolino. Tanto che l’onorevole La Loggia, presidente della stessa bicamerale, convoca per un’audizione Roberto Cecchi, sottosegretario al Ministero dei Beni Culturali.
Ambiguo in molte sue parti, il provvedimento presenta anche degli evidenti profili di incostituzionalità proprio riguardo ai beni culturali: il più eclatante è l’affidamento della loro tutela al Comune di Roma. Ma la Costituzione e la legge 42 del 2004 prevedono sia lo Stato a occuparsene. È un fatto assai grave, denunciato dai giornali a partire da l’Unità, ribadito in Commissione da Andrea Carandini, presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, sottolineato perfino dalla Commissione affari costituzionali del Senato. Eppure, se si scorrono i verbali della Commissione Bicamerale, di fronte a tanta enormità si trova solo la riserva dell’onorevole Marco Causi (Pd), corelatore del disegno di legge, e un’alzata di sopracciglio della Lega. Così il decreto creerà molte occasioni di lavoro: almeno un decennio di ricorsi alla Corte Costituzionale. Pur avendo assistito ai lavori della Commissione senza mai intervenire sull’argomento, Cecchi stavolta ha l’occasione di smentire le pesanti critiche dei media nei confronti suoi e del ministro Ornaghi, se saprà dire una parola chiara e ineludibile, dimostrando che il nostro patrimonio culturale non è merce di scambio. Perché in fondo è questo l’attuale decreto su Roma capitale: a un Comune entrato nel panico per pochi centimetri di neve affida competenze di protezione civile, e ulteriori immobili–la Eur Spa– a una amministrazione in perpetuo affanno sulla presentazione del bilancio e soggetta a continui scandali clientelari, dall’Atac al demanio comunale. Per tacere del resto.
L’Unità 14.03.12