Dai regali ai saldi. È questa l`ipotesi che circola da qualche giorno a proposito del rebus frequenze e che potrebbe finire con la più celebre delle arti politiche: il compromesso. La soluzione, stando a voci sempre più insistenti, sarebbe sì la vendita di quel bene pubblico chiamato etere, ma una vendita a prezzi scontati. E, tanto per non sbagliare, una vendita a tutto vantaggio di Mediaset, Rai e probabilmente Ti Media, cioé La7.
La svendita, perché di questo si tratta, sarebbe un passo avanti dal punto di vista dei principi, ma un passo indietro per le casse dello Stato. Secondo una nota di Mediobanca, infatti, la messa all`asta di quelle autostrade digitali potrebbe portare 1-1,5 miliardi di euro: quanto porterà la vendita scontata? E soprattutto, perché rinunciare a un`asta pubblica condotta a prezzi di mercato? Il sospetto, per non dire la certezza, sono le forti pressioni esercitate da Mediaset dopo la decisione di sospendere l`assegnazione gratuita delle frequenze. Come è noto, lo scorso 20 gennaio il governo congelò per tre mesi un decreto dell`ex ministro Romani secondo il quale le frequenze liberate nel passaggio dall`analogico al digitale (sei per un totale di 30-36 canali) non sarebbero state vendute a chi offriva di più (come avvenuto in Francia, Canada e Germania) ma regalate a chi aveva più risorse e più dipendenti. Non un`asta pubblica, insomma, ma una gara di bellezza tagliata su misura per due soli concorrenti: Rai e Mediaset.
Che l`esito fosse noto, lo dimostrano alcune dichiarazioni che vale la pena ricordare. Lo scorso 8 dicembre, prima che il beauty contest venisse congelato, Berlusconi parlando con i giornalisti disse: «Temo che qualora ci fosse una gara sulle frequenze, questa potrebbe essere veramente disertata da molti», dichiarazione curiosa per chi da uomo di Stato si piccava di essere sempre molto attento ai conti pubblici. Il 22 gennaio il Giornale del fratello Paolo scriveva che, in caso di asta pubblica, Mediaset avrebbe meditato il ritiro dalla gara, confermando così tre cose: la prima che il decreto era stato ideato per fare un regalo ad aziendas (Mediaset e Rai); la seconda, che venendo meno il regalo veniva meno l`affare; la terza, più inquietante, che il decreto Romani, ministro dell`allora governo Berlusconi, favoriva di fatto un`azienda del premier Berlusconi.
Un caso? Ancora. Il 7 marzo, davanti alla commissione Bilancio della Camera e dopo aver incontrato personalmente Monti, il presidente Mediaset Fedele Confalonieri ha detto che se non ci sarà una ripresa del settore (leggi pubblicità) la sua azienda ricorrerà a tagli.
Affermazione drammatica da prendere con tutta la serietà del caso. Ma una domanda è d`obbligo: come impatta sulla raccolta pubblicitaria di Mediaset il venir meno di una frequenza (sei canali, lo ricordiamo) che sembrava ormai assegnata? È di questo che il presidente di Mediaset ha parlato con il presidente del Consiglio nell`incontro riservato del mattino? A pensare male ci si azzecca sempre, diceva Andreotti. E dopo il tavolo su Rai e giustizia fatto saltare da Alfano e la retromarcia dell`esecutivo sulla governance, i cattivi pensieri stanno proliferando. Bene ha fatto ieri Bersani a ribadire che «le frequenze tv non possono essere regalate» ma bisogna vigilare che la soluzione a cui sta lavorando il ministro delle Comunicazioni (la sospensione del beauty contest scade il 20 aprile) non stia nel chiamare vendita quello che è un mezzo regalo. Voci non confermate dicono che l`ipotesi di un`asta low-cost sarebbe giustificata dal fatto che le frequenze verranno assegnate solo fino al 2015 quando, come stabilito il mese scorso a Ginevra, dovranno venire impiegate per aumentare la banda larga della Ue. Argomento suggestivo ma poco convincente, ha detto ieri Vincenzo Vita che dal 2009 si batte per un`asta pubblica e trasparente. In un Paese dominato dalle tv e dal conflitto di interessi, siamo sicuri che fra tre anni le grandi reti saranno pronte a rimettere in discussione frequenze e business?
L’Unità 13.03.12