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“Le province resistono (però devono dimagrire)”, di Dino Martirano

Si ridimensiona il piano di tagli ai consigli provinciali previsto dal decreto salva Italia che limitava a dieci il numero degli eletti. Le Province saranno divise in tre categorie: quelle con più di 700 mila abitanti avranno 16 consiglieri; quelle con popolazione da 300 a 700 mila abitanti, 12 consiglieri; quelle sotto i 300 mila abitanti, 10 consiglieri. Le novità riguarderanno 86 enti per un totale di 1.066 eletti. Non saranno più scelti dai cittadini, ma dai sindaci e dai consiglieri comunali di quel territorio. Tutti presteranno un servizio civico a titolo gratuito, fatto salvo il rimborso spese Troppi partiti in lizza a livello locale: così i tecnici del Viminale addolciscono il ridimensionamento previsto per i Consigli provinciali dal decreto salva Italia che, prima di Natale, aveva inventato l’elezione di secondo grado e, forse un po’ frettolosamente, aveva anche limitato a dieci il numero massimo degli eletti in questi organismi. Per cui, ora, le assemblee provinciali elette non più dai cittadini — ma dai sindaci e dai consiglieri comunali di quel territorio — vengono agganciate a tre categorie territoriali, a seconda delle rispettive popolazioni: «Quelle con più di 700 mila abitanti, aventi 16 consiglieri; quelle con popolazione da 300 mila a 700 mila abitanti, con 12 consiglieri; quelle sotto i 300 mila abitanti con 10 consiglieri».
È questa la novità sostanziale del disegno di legge del ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, che oggi entra in Consiglio dei ministri per l’esame preliminare. I tempi di approvazione in Parlamento saranno comunque stretti perché a maggio, qualora la legge non fosse ancora approvata, ben sei Consigli provinciali in scadenza saranno commissariati dai prefetti. Non si poteva cancellare le Province senza mettere mano alla Costituzione e così si è pensato di «sterilizzarle» con il voto di secondo grado: dopo tanti anni di competizioni territoriali anche appassionate, i cittadini-elettori verranno sostituiti dai sindaci-elettori e dai consiglieri comunali-elettori. Solo a questi ultimi, infatti, spetterà il diritto di voto attivo per le assemblee provinciali.
La cura dimagrante prevista dal governo Monti, dunque, è più leggera. Si continua comunque sulla strada aperta l’estate scorsa dal governo Berlusconi — i consigli grandi passarono da 45 a 18 eletti, i piccoli da 36 a 10 — tuttavia i tecnici del ministero dell’Interno si sono resi conto che più di tanto non si poteva tagliare. Al Viminale — dove l’ufficio elettorale conosce bene lo sviluppo storico delle dinamiche politiche territoriali — si sono accorti che la quota massima della rappresentanza provinciale fissata a dieci consiglieri rischiava di compromettere quei delicati equilibri a livello locale.
Tanto da far scrivere nella relazione tecnica di accompagno del disegno di legge Cancellieri che oggi entra in Consiglio dei ministri per l’esame «in via preliminare: «Il limite massimo di dieci consiglieri già fissato per il Consiglio provinciale dall’articolo 23, comma 16, decreto legge 8 dicembre 2011 numero 201, risulta oggettivamente esiguo e, per tale motivo, in alcuni casi potrebbe addirittura comportare la mancata presenza di numerose forze politiche all’interno del Consiglio provinciale, ivi comprese le (diverse) minoranze».
La nuova legge, tuttavia, si riferisce solo alle Regioni a Statuto ordinario perché per quelle a Statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Province autonome di Trento e Bolzano, Valle d’Aosta) è riconosciuta la «potestà legislativa esclusiva in materia di autonomie locali». Quindi, si tratta di 86 Consigli provinciali in via di ridimensionamento: 22 grandi (per un totale di 352 consiglieri), 37 medi (444 consiglieri), 27 piccoli (270 consiglieri). In totale gli eletti saranno, con il meccanismo di secondo grado, 1.066 ed è confermato che presteranno un servizio civico a titolo gratuito fatto salvo il rimborso spese.
Il ddl Cancellieri, nelle intenzioni del governo, dovrebbe essere approvato in Parlamento entro i primi di maggio perché, per il 6 e il 20 di quel mese, sono già state sospese le elezioni per il rinnovo dei Consigli provinciali di Vicenza, Ancona, Como, Belluno, Genova e La Spezia. Così, se la nuova normativa («Modalità di elezione del Consiglio provinciale e del presidente della Provincia…») non sarà vigente a fine primavera, in quei capoluoghi arriverà un commissario prefettizio: «E non sarebbe un bel segnale per la democrazia dato dal governo Monti», commenta il presidente dell’Upi (Unione delle Province italiane) Giuseppe Castiglione. C’è da aggiungere che l’annunciato commissariamento è stato impugnato, perché incostituzionale, da quattro Regioni (Piemonte, Lazio, Veneto e Molise).
Invece, con il ddl Cancellieri, anche nei 6 Consigli provinciali in scadenza a maggio la parola passerebbe ai consiglieri comunali e ai sindaci del territorio, che eleggerebbero con il sistema proporzionale e due preferenze il Consiglio provinciale. A sua volta, gli eletti sarebbero chiamati a votare, con il metodo del ballottaggio, il presidente della Provincia.
In realtà, l’Upi ha tentato fino all’ultimo di frenare il corso del decreto perché, conferma Castiglione — che poi è presidente della Provincia di Catania ed anche esponente del Pdl molto vicino ad Angelino Alfano — «qui si sta stravolgendo uno strumento della democrazia». Si spiega meglio il presidente dell’Upi: «I prefetti che hanno scritto la norma non considerano un fatto importante, perché oggi i consiglieri provinciali vengono eletti dal popolo e domani saranno chiamati a comporre una piccola casta. Invece l’Upi ha elaborato una vera proposta di riforma che immagina un nuovo assetto istituzionale dei territori con la nascita delle città metropolitane, la riduzione delle Province, la conseguente riduzione degli uffici periferici dello Stato e l’eliminazione degli enti strumentali. Una riforma che produrrebbe risparmi per 5 miliardi».

Il Corriere della Sera 24.02.12