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“Emma al bar”, di Massimo Gramellini

Mi ritrovo sempre più spesso a tessere controvoglia l’elogio dell’ipocrisia dei vecchi democristiani, che parlavano ore senza dire nulla. Lo facevano apposta: per non offendere nessuno. Quando accusa i sindacati di proteggere i ladri e gli assenteisti cronici, Emma Marcegaglia si esibisce in un classico lamento da bar. I sindacati difendono i mascalzoni e penalizzano i volenterosi. Gli imprenditori portano i soldi in Svizzera invece di investirli in azienda. I manager non vengono pagati per quanto producono ma per quanto tagliano. I ragazzi piangono miseria però si rifiutano di fare i mestieri umili, e via sermoneggiando.

Ora, i luoghi comuni da bar sono tali proprio perché contengono un fondo di verità. Ma hanno questo di terribile: pronunciati fuori dal loro contesto naturale (l’aperitivo con oliva) si tramutano in una generalizzazione che avvelena la convivenza e fa scattare la rappresaglia. Lo si è visto anche ieri: Marcegaglia non aveva ancora finito di sputare fiele sul sindacato protettore di ladri con cui in teoria sta trattando la riforma del mercato del lavoro che già Di Pietro le suggeriva di «guardare a casa sua», allusione non troppo elegante ai procedimenti giudiziari che hanno coinvolto la famiglia dell’imprenditrice. Quando le vacche sono grasse questi scambi di cortesie aiutano a ingannare la noia. Ma nei momenti di bestiame pelle e ossa trasmettono solo sgomento. Come se chi occupa ruoli di responsabilità non si rendesse conto che in ascolto c’è un’umanità sgomenta che chiede di essere spronata, non provocata.

Massimo Gramellini

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