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“Ecco perché pagherà anche il salotto buono”, di Lucia Annunziata

Non si sa se la cosa più grave è che abbia citato la «distruzione creativa» di Schumpeter, o il termine «salotto buono». Avremmo amato capire, ma le cronache non ci hanno illuminato, se chi lo ascoltava è rimasto più sorpreso dalla negazione di ogni sua «deferenza» al potere economico, o dalla riaffermazione del divieto «di sedere simultaneamente nei Cda di banche e assicurazioni».

Mario Monti, due giorni fa parlando alla Borsa di Milano, davanti al Gotha finanziario del Paese, 400 invitati, ha fornito un’altra tessera al profilo del suo governo: e stavolta nel mirino non ha messo il sindacato ma i «poteri forti». Stranamente, le sue parole sono passate quasi inosservate nell’arena politica, specie nell’area di centrosinistra che pure si sta aspramente dividendo sull’appoggio o meno al suo governo.

Vediamole, queste parole, nella versione ufficiale del sito di Palazzo Chigi. «Una cronaca veloce ci attribuisce deferenza verso il salotto buono ma togliere la possibilità di sedere simultaneamente nei cda di banche e assicurazioni, non è stata una cosa molto gradita. Pensiamo, poi, che in passato si sia tutelato il bene esistente e consentito la sopravvivenza un po’ forzata dell’italianità di alcune aziende, impedendo la distruzione creatrice schumpeteriana e non sempre facendo l’interesse di lungo periodo».

Colpisce intanto una rottura formale, l’uso di quel termine, «salotto buono», che nel linguaggio comune è carico di significati negativi. Così come colpisce la franchezza con cui il premier, sottraendosi al solito unanimismo, riveli che la sua decisione di cancellare il cumulo di incarichi non è risultata molto «gradita» proprio a quel mondo del potere cui si stava rivolgendo in quel momento.

Il riferimento, ben capito da tutti i presenti, è all’articolo 36 contenuto nella manovra finanziaria, detta Salva Italia, con cui l’esecutivo vieta «ai titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo e ai funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari di assumere o esercitare analoghe cariche in imprese o gruppi di imprese concorrenti». Non è ancora chiaro come verrà applicato, ma le parole alla Borsa di Milano sono la riconferma che il governo intende procedere.

L’intreccio di cariche, è il grande nodo dell’immobilità del capitalismo italiano (la barriera conservatrice levata contro la «creatività distruttrice» di Schumpeter). Il meccanismo che ha permesso che si creasse un «salotto buono», un luogo privilegiato del potere dove tutto converge e tutto si controlla. Insomma il conflitto di interesse seminale del sistema italiano. Basta pensare che Unicredit, Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Ubi, Mediolanum e Generali, cioè i maggiori istituti italiani hanno diversi componenti in più poltrone. Nell’elenco delle personalità che sono toccate dalle nuove regole ci sono uomini come Palenzona, e Giovanni Bazoli, il più rispettato banchiere italiano. Nonché Alberto Nagel, che è sia amministratore delegato di Mediobanca che vicepresidente delle Assicurazioni Generali.

La teoria politica più ricorrente è che Mario Monti vincerà la sfida di «cambiare l’Italia» solo se sarà capace di dimostrare di far «pagare» a tutti il sacrificio di questo cambiamento. Solo se, specifica la sinistra, non prenderà di mira solo gli operai e la classe media.

L’intervento di Milano sembra essere la prova che effettivamente il premier non intende lasciare intatto nessun luogo di influenza. Come del resto ha già fatto rifiutando le Olimpiadi del 2020, esponendosi così a uno scontro che pure avrebbe potuto evitare (in fondo sarebbero avvenute in un lontano futuro) con una delle maggiori lobby del Paese.

La Stampa 22.02.12