Non aspettiamoci di pagare presto meno tasse. Nemmeno Mario Monti può fare i miracoli. Possiamo però aspettarci un fisco più razionale e meno oppressivo. A questo anche servono i tecnici al governo: a disboscare la giungla creata da una politica inefficiente. Sommando favori a questi e a quelli, introducendo scappatoie a favore di interessi protetti, e procedendo per grida demagogiche, si è costruito un sistema contorto.
Un sistema capace di esasperare il contribuente mentre soffoca gli uffici tributari di lavoro in parte inutile. Certo è bene formalizzare la promessa che i ricavi della lotta all’evasione saranno restituiti alla generalità dei contribuenti. Dopo le operazioni del fisco a Cortina, in alcune grandi città e ora a Courmayeur, si tratta di una scelta obbligata, di chiarezza. Tanto più è necessaria a un governo che nell’urgenza è stato costretto a puntare più sulle tasse che, come avrebbe preferito, sui tagli di spesa.
La stessa promessa l’avevamo già ascoltata altre volte. In questo caso, può confortarci un poco l’esperienza recente. A giudicare da alcuni dati, davvero i comportamenti dei contribuenti sono mutati secondo le scelte dei governi, e abbastanza in fretta. Qui l’Italia è un interessante oggetto di studio per esperti anche stranieri. Nell’attuale legislatura il gettito Iva è calato dalla seconda metà del 2008, quando il governo Berlusconi cancellò certe misure stringenti, e si è ripreso dall’autunno 2009 in poi, dopo che Giulio Tremonti trovò opportuno in parte reintrodurle e annunciò un maggior impegno contro l’evasione.
Non è dunque impossibile recuperare. Si tratta di un’azione doppiamente utile. Non sono in conflitto in questo caso i due tradizionali obiettivi dell’equità e dell’efficienza, grande argomento di contrasto fra destra e sinistra. Far pagare le tasse a tutti non è solo giusto, aumenta anche la produttività della nostra economia, come ha ricordato ieri il presidente dell’Istat Enrico Giovannini. La gara tra le imprese è distorta se i profitti vengono più facilmente dall’evasione tributaria invece che da produrre beni e servizi migliori a costi più bassi.
In tante transazioni della vita quotidiana la convenienza a evadere è di entrambe le parti, del ristoratore e del cliente, dell’idraulico e di chi lo chiama a riparare, e così via. Non esistono rimedi miracolosi. Può aiutare che si percepisca mutato l’umore pubblico del Paese; serve a molto che l’amministrazione pubblica si mostri efficace nel colpire. Un problema che va risolto quanto prima – se non altro il governo ne è cosciente – è che la durezza delle sanzioni di Equitalia si deve dirigere contro i bersagli giusti; altrimenti si rischia che un identico malcontento unisca persone perbene ed evasori.
Un sistema fiscale razionale è fatto di un numero minore di imposte, con un minor numero di esenzioni e agevolazioni. Non pochi contribuenti sarebbero disposti anche a pagare di più se perdessero meno tempo nelle pratiche. Cambiare è peraltro rischioso, perché chi beneficia sta zitto, e chi è colpito protesta: prova famosa fu l’Irap, imposta impopolarissima fin dalla sua introduzione benché nella media avesse ridotto il carico fiscale, e non di poco.
I margini sono scarsi. Non dimentichiamo che il grosso degli interventi futuri sul bilancio pubblico dovrà venire da tagli delle spese, nel nostro Paese sempre difficili. Già il governo si assume un rischio rinviando di fatto al 2014, causa recessione, il pareggio di bilancio promesso per il 2013. La misura giusta sta nell’indicare un obiettivo – pagare tutti per pagare meno – senza sollevare aspettative in eccesso.
La Stampa 21.02.12