L ’anniversario di Mani Pulite (ma anche le dimissioni del presidente tedesco) spingono l’orologio a ritroso e inducono a cercare analogie tra la perdita di prestigio della politica e quello che in maniera traumatica accadde vent’anni fa in Italia. Il grado di debolezza del sistema politico è identico ad allora, e comune è l’intermezzo tecnico destinato a coprire una emergenza.
Una regolarità caratterizza la vicenda repubblicana: proprio quando la catastrofe del sistema si avvicina, i partiti escono di scena e le vesti dei salvatori della patria sono indossate da personalità collocate al di fuori del gioco politico. I grandi processi politici non si ripetono mai allo stesso modo e, oltre le apparenze che annunciano similitudini, esistono altre dinamiche che proprio nella loro differenza imprimono una direzione precisa agli eventi.
Non a quello che è eguale occorre perciò rivolgere l’analisi perché difficilmente al commiato del tecnico subentrerà di nuovo il cavaliere nero. Bisogna scavare piuttosto nel cuore di quello che nasconde una differenza per decifrare il senso delle mutazioni
adesso in gestazione. E quello che oggi si intravvede è la carta delle liste civiche nazionali sbandierate come una alternativa della società civile ai partiti delegittimati.
Ad un movimento civico pensa il ruspante presidente di calcio
incantato dall’esperienza esotica del Tea Party, ma coltiva l’idea
anche qualche altro imprenditore che annuncia da tempo (e poi sempre rinvia) la discesa nell’agone politico. Il comico genovese o il sindaco di Bari, accarezzano anche loro un progetto analogo. I sindaci di Napoli o forse taluni tecnici, qualche governatore o Di Pietro sono tutti tentati dall’avventura di lanciare una sfida ai partiti in nome della cittadinanza liquida che dà l’assalto al cuore dello Stato. Le liste civiche sono uno strano miscuglio di partito personale-carismatico e di radicale movimento di protesta
che, con una prosa recriminatoria, si agita contro i simboli della classe politica parassitaria. Al popolo della rete e ai comitati diffusi nei territori, i sindaci sono in grado di aggiungere il loro seguito personale, costruito su basi fiduciarie di tipo neoclientelare. La microfisica del potere comunale e la retorica dell’azione civica autogestita contro il ceto politico si abbracciano per dare una spallata al sistema. Il rifiuto della politica organizzata e il culto del capo solitario che opera senza controlli, condizionamenti, discussioni collocano le liste civiche nel solco della stagione del leaderismo assoluto che tanti guasti ha già provocato alla democrazia.
Difficile che la cittadinanza liquida, sedotta da un capo istrionico che fugge dalla coerenza della proposta, possa costruire un percorso politico egemonico. Il movimento dei movimenti o il cartello dei comitati se non vanta la potenza necessaria per farne una credibile alternativa (già stabilire chi sarà il sindaco dei sindaci provocherà incendi), può comunque sprigionare una forza di sbarramento notevole. Si tratta per questo di un processo sintomatico, nel senso che più che dare l’impronta al tempo nuovo esso segnala inquietanti presenze, rivela cioè che nei meandri della società operano ancora spinte disgregatrici. Come arrestarle? Avendo la consapevolezza che la
cittadinanza liquida, suo malgrado, prepara il terreno a poteri pesanti. Colpisce in nome della iperdemocrazia, ma si acquieta sotto la volontà di potenza del denaro. Per questo occorre ridefinire i confini del sistema, ricostruire una politica di nuovo organizzata e partecipata. Le liste civiche aprono il confuso tempo dei guastatori che rompono gli equilibri, altri poteri dopo di loro prenderanno l’iniziativa per realizzare il colpo grosso. Vent’anni dopo, la sfida non è diversa, cambiano però gli attori e le prospettive. L’alternativa rimane la stessa: o una nuova politica mediata da partiti rigenerati o immani potenze private al comando.
L’Unità 18.02.12