La legge lo prevede fino a 16 anni d’età. Ma nei primi due anni delle superiori, il 18,8% lascia. Ma è un dato statistico, in certe zone è molto più basso, in altre drammaticamente più alto. A Belluno riguarda solo 27 studenti, a Napoli circa 60 mila. La lotta titanica di docenti e genitori{C}{C}NAPOLI – Il venti per cento non ce la fa a rispettare l’obbligo scolastico. In parole povere centomila ragazze e ragazzi, che ogni anno si lasciano alle spalle la terza media, si trasformano in “fantasmi”. Non ce la fanno a seguire il corso di studi fino a 16 anni. Per fortuna il fenomeno della dispersione scolastica si è ridotto con il passare degli anni alle elementari, dove la media degli abbandoni non supera l’uno per cento, mentre nella scuola primaria, un tempo la scuola media unificata, la percentuale nazionale si è fermata a quota tre. Ma attenzione, si parla sempre di medie statistiche, quindi in molte Regioni come Sardegna, Campania, Puglia o Sicilia e, soprattutto, in alcune province i numeri sono drammaticamente più alti.
Comunque, il fenomeno dell’abbandono scolastico esplode nei primi due anni delle scuole superiori. L’ultima indagine dell’Istat, pubblicata un mese fa e relativa al 2010, parla di una media nazionale di abbandoni al 18.8 per cento. Non molti sanno, però, che l’indagine dell’Istat si riferisce solo alle scuole superiori statali.
Poco o nulla si conosce della dispersione scolastica negli istituti di formazione professionale gestiti dalle Regioni. E’ quindi certo che la percentuale di giovani che spariscono dal panorama scolastico è molto più alta.
Cosa possono fare le scuole per recuperare le decine di migliaia di giovani che sono fuggiti o che frequentano saltuariamente oppure che lasciano dopo una bocciatura? La legge traccia un percorso preciso. La scuola deve convocare i genitori e spiegare loro che stanno commettendo un reato. Se la situazione non si sblocca parte la segnalazione ai servizi sociali del Comune che dovrebbero tentare il recupero dello studente. Se il tentativo fallisce scatta la denuncia al Tribunale dei minori. Tutto chiaro. Ma non sempre è facile, anzi a volte impossibile. Basta un esempio. A Belluno le segnalazioni di mancato rispetto dell’obbligo scolastico sono 27. A Napoli 60 mila. Nel capoluogo campano, che assieme all’hinterland ha raggiunto il livello monstre di 3 milioni e mezzo di residenti, sarebbe necessario un piano Marshall. Servizi sociali centuplicati, strutture scolastiche all’avanguardia, investimenti robusti nella scuola. Invece per far fronte al disastro si sono mobilitati migliaia di insegnanti, decine di migliaia di genitori, per rendere la scuola un luogo che attrae, educa, coinvolge. Una lotta titanica in un territorio dove la gente convive con la povertà crescente, la paura e la rassegnazione. Ma l’emergenza non riguarda solo Napoli. Basti pensare che nella periferia orientale di Verona la dispersione scolastica ha toccato il 30 per cento, mentre a Reggio Calabria ha ormai raggiunto il 38 per cento.
da repubblica.it
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“Fiducia negli insegnanti e progetti” Così la scuola torna a fare inclusione”, Intervista a Marco Rossi Doria
Da “maestro di strada” a sottosegretario alla Pubblica Istruzione. L’esperienza del recupero nei Quartieri Spagnoli. “Il problema è sempre stato la discontinuità degli interventi”. Che fare? “Investire in strutture e tecnologia, ma anche partire dalle conoscenze e dalle esperienze esistenti che hanno funzionato”{C}{C}ROMA – Marco Rossi Doria, 58 anni, napoletano, è insegnante di ruolo nella scuola elementare dal 1975. Per sedici anni ha lavorato a Torre Annunziata. Poi si è trasferito in Etiopia e si è occupato dei bambini di strada a Nairobi. E’ tornato a Napoli in una scuola frequentata da bambini di estrazione sociale alta, come docente di inglese. Contemporaneamente ha lavorato come volontario in un’organizzazione che lavorava nei quarteri spagnoli a Napoli, quartieri con un altissimo tasso di dispersione scolastica a partire dalla scuola media. Successivamente ha chiesto al ministero dell’Istruzione un distacco. Ha guidato un gruppo di insegnanti con l’obiettivo di trasmettere le competenze minime per esercitare il diritto di cittadinanza. A quel punto il Provveditorato ha chiesto di costruire un progetto organico per fronteggiare l’abbandono scolastico. Da lì è nato il progetto “Chance” che si rivolge ai ragazzi che sono usciti dalla scuola prima di raggiungere l’obbligo scolastico, coinvolgendo migliaia di ragazzi. Ora Marco Rossi Doria è sottosegretario alla Pubblica Istruzione
Come è nata la sua esperienza e quali strumenti ha usato per il recupero dei giovani che avevano abbandonato la scuola?
“L’esperienza dei maestri di strada è nata da un gruppo di insegnanti, educatori, assistenti sociali, psicologi dei Quartieri Spagnoli di Napoli dall’idea che fosse necessaria una scuola per i ragazzi che avevano smesso di frequentarla, per accompagnarli con strumenti adeguati al conseguimento della licenza media e di qualifiche professionali. L’idea di fondo è quella di dare di più a chi ha più bisogno. Gli strumenti che abbiamo usato, tra gli altri, sono stati patti educativi sottoscritti con il singolo alunno e i suoi genitori, rafforzamento degli alfabeti di cittadinanza (saper leggere, saper scrivere, saper parlare), una rete forte di cooperazione con tutti i soggetti del territorio: scuole, parrocchie, centri sportivi, associazioni, formazione professionale, servizi sociali, ecc.
Il nostro lavoro si incentrava sul gruppo docente e sulla capacità di autoanalisi di debolezze e punti di forza riscontrati in classe. E su un’idea comunitaria di scuola dove si mangia insieme, si parla di tutto, si fanno film, si organizzano campi all’aperto, si fanno spettacoli di strada, ecc”.
Quali gli ostacoli più ardui da superare?
“L’ostacolo più importante che abbiamo trovato è stata la mancanza di continuità. In Italia gli interventi nell’ambito sociale sono caratterizzati da investimenti discontinui, le istituzioni faticano a mettere in rete le esperienze positive e a fornire supporto adeguato perché, da sperimentazioni possano diventare esperienze durature nel tempo. Solo con la continuità e la stabilità è possibile incidere in maniera sensibile sul territorio, sul contesto difficile delle zone di forte esclusione economica, sociale e culturale del Mezzogiorno. Ma lo stesso discorso vale, naturalmente, per alcune periferie delle città del Nord. Far ripartire prototipi con un orizzonte di attività medio-lungo è stato uno dei temi trattati dai Ministri Profumo e Barca con il Commissario europeo per le politiche regionali Johannes Hahn”.
La scuola può bastare da sola a risolvere il problema della dispersione?
“Naturalmente no. La dispersione scolastica è un fenomeno complesso, che riguarda differenti tipologie, cause molteplici, contesti diversi. Per questo è fondamentale operare in sinergia con il territorio e tutti i suoi attori, dalle scuole alla formazione professionale, dalle imprese ai servizi sociali, dalle parrocchie ai centri sportivi agli enti locali”.
C’è un nesso tra povertà e abbandono scolastico?
“Il nesso c’è ed è stato dimostrato dal Rapporto del 2008 realizzato dalla Commissione di indagine sull’Esclusione Sociale. Se prendiamo una grande città, che può essere Napoli o Milano, e sovrapponiamo i dati Istat sulla povertà delle famiglie con i dati sull’abbandono scolastico, le due mappe corrispondono, quartiere per quartiere. C’è una forte corrispondenza tra la povertà – economica ma anche culturale – delle famiglie e i bassi livelli di istruzione. Ma non solo. Se sei figlio di una famiglia povera, studierai di meno e tenderai a formare una nuova famiglia povera. Se invece provieni da una famiglia povera ma riesci ad innalzare il tuo livello di istruzione, migliorerai le tue condizioni economiche, vivrai più a lungo, sarai più sano e meno a rischio di dipendenze. Il paradosso è questo: la scuola purtroppo fa fatica a trattenere proprio i ragazzi a cui l’istruzione serve di più. C’è stato un tempo in cui non era così, ma da almeno vent’anni c’è questa difficoltà. Dall’Unità d’Italia al 1980 la scuola pubblica è stato potente fattore di discriminazione positiva: ha alimentato l’ascensore sociale. La sua funzione, però, si è molto rallentata negli ultimi anni. Oggi, nel concreto, il problema esplode nel primo biennio delle scuole secondarie superiori, dove è più alto il tasso di abbandono, ma si manifesta ancora in maniera persistente, seppure residuale, nelle scuole medie inferiori in alcune zone di forte esclusione sociale. Questo rivela la necessità di intervenire anche nella scuola primaria, per rafforzare al massimo le competenze e conoscenze di base che è indispensabile acquisire nei primi anni di istruzione, altrimenti recuperare è difficilissimo. E poi, come dicevo all’inizio, pensare a come rispondere in maniera diversificata a bisogni profondamente diversi anche all’interno della ‘scuola di tutti'”.
Ora che è sottosegretario come metterà a frutto la sua esperienza?
Nel poco tempo e con le risorse limitate a nostra disposizione, stiamo cercando di dare alle scuole autonome qualche strumento in più per funzionare e per organizzarsi meglio. Nel decreto semplificazioni approvato da poco in Consiglio dei Ministri ci sono i primi passi in questa direzione. Stiamo lavorando insieme al Ministro Profumo e al Ministro Barca per destinare le risorse provenienti dai Fondi europei alle quattro regioni meridionali (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia) secondo alcune priorità. Oltre all’edilizia scolastica e alle dotazioni tecnologiche e multimediali, ci sono investimenti destinati al rafforzamento delle conoscenze e competenze indispensabili, al recupero del ritardo scolastico e al contrasto alla dispersione. Per la lotta alla dispersione si tratta di circa 27 milioni di euro che verranno destinati a prototipi. Daremo una prospettiva, cioè, a progetti già esistenti, che hanno dimostrato la loro efficacia e che possono essere estesi e implementati. E’ un primo passo, ma la mia esperienza mi dice che è fondamentale partire sempre da quello che c’è e che già funziona. Un’ultima cosa: dopo aver trascorso tanti anni a fare il maestro, credo sia fondamentale riuscire a trasmettere fiducia nella scuola e negli insegnanti. La scuola ha davanti a sé tante sfide e non poche difficoltà, ma racchiude risorse preziose, senso di responsabilità e impegno indefesso di tanti dirigenti scolastici, maestri e professori che rendono possibile, se accompagnati con gli strumenti giusti, superare i momenti difficili e riportare l’istruzione ad essere strumento vero di inclusione e mobilità sociale.
da repubblica.it
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“Liberate i sogni”, così Madame Tsunami ha riaperto la sua scuola al quartiere
Dieci anni fa, quando è arrivata, l’istituto (materna, elementari e medie) “Adelaide Ristori” aveva appena 300 alunni. Già dalla terza classe gli studenti fuggivano e non frequentavano più. Motivando e mobilitando genitori e docenti, la struttura è ripartita. Oggi ha 930 ragazzini ed è una specie di oasi
16/02/2012
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la Repubblica
NAPOLI – Sull’asfalto sconnesso uno scooter prima tenta il dribbling poi inchioda. A bordo due ragazzini, regolarmente senza casco, e il maschio alla guida urla: “Facite ampresso, jamme….” Il passante replica: “Perché non state a scuola? E mettetevi il casco”. La risposta è immediata: “Faciteve e fatt vuoste”…. E’ una normale mattina di un giorno feriale. Il vento gelido spazza i vicoli. L’obiettivo è l’istituto comprensivo “Adelaide Ristori” nel cuore di Forcella.
La preside s’affaccia da una finestra del terzo piano. “Salite, ora vi faccio aprire”. La stanza della presidenza è un continuo via vai di insegnanti, bidelli, studenti. La prof Raffaella Tuccillo, “Madame Tsunami di Forcella”, come la chiamano da queste parti, ci accoglie con un classico: “Adesso ci facciamo un bel caffè”. La preside è arrivata a Forcella nel 2002. “Ho trovato una scuola in grandi difficoltà, docenti demotivati, poco più di 300 bambini, gran parte di quelli della prima e seconda elementare venivano saltuariamente, quelli delle ultime due classi non venivano proprio”.
Peggio di così non poteva andare. “Per uscire dal tunnel avevo e ho bisogno di tutti quelli che lavorano qui dentro. Ho lanciato la parola d’ordine “accoglienza” per attirare a scuola i bambini del quartiere. Ai docenti ho detto: “aprite i cassetti e liberate i vostri sogni”. Quello che sembrava una chimera piano piano si avvera. “Mettendo il naso nei conti ho scoperto che nei tre anni precedenti i fondi d’istituto non erano mai stati spesi. Poi ho scoperto che il piano sotterraneo era diventato una discarica di banchi rotti, sedie sfasciate, rifiuti di ogni genere. A quel punto mi sono fatta prestare un grembiule da bidella, ho indossato guanti di plastica, scopa e scopettone, secchi e varecchina. All’inizio bidelle e maestre mi guardavano come una persona strana, poi si sono fatte coinvolgere e siamo riusciti a sgomberare e pulire tutto”. Oggi la sala sotterranea ospita due laboratori informatici, uno scientifico, uno artistico ed una piccola palestra con il tatami. Oggi l’istituto comprensivo “Adelaide Ristori” ospita, tra materna, elementare e media, 930 studenti. Per un quartiere difficile come Forcella un vero miracolo. “Madame Tsunami” è conosciuta da tutti gli abitanti del rione, ma se la ricordano anche in Questura ed in Prefettura. “Nel gennaio del 2011 Forcella era sconvolta da un’improvvisa guerra tra “giovani” e “anziani” delle famiglie – racconta Fernanda Tuccillo – scontri a fuoco anche di giorno, un bidello ha perso un dito per un proiettile vagante mentre era in strada. Le famiglie tenevano i figli a casa”. A quel punto “Madame Tsunami” decide di entrare in azione. Mobilita la stampa, le tv, chiama in causa Questore e Prefetto. Alle “famiglie” tanta pubblicità non fa molto piacere. I contrasti vengono risolti all’interno dell’organizzazione camorristica e la pace torna a Forcella.
Ma il gioiello dell’istituto comprensivo è la scuola materna dedicata ad Annalisa Durante, la quattordicenne uccisa dalla camorra nel 2004. La materna si trova a poche centinaia di metri dalla sede centrale proprio lì dove la ragazzina è stata colpita a morte. Nel vicolo un paio di banchetti: “Camel a 2 euro e mezzo, un euro per un pacco da dieci fazzoletti di carta e di marca”.
Oltre il cancello il cortile con scivoli ed altalene. A sinistra la scuola materna a destra l’asilo nido comunale. Alla materna s’avvicina l’ora della pappa. I piccoli in fila per due vanno al bagno per lavarsi le mani. Si respira un’allegra confusione. La coordinatrice tiene per mano una bimba cinese che piange a dirotto: “Non capisce ancora l’italiano, è arrivata da tre giorni, ma come altri suoi conterranei entrerà facilmente nel gruppo. Oggi abbiamo poco più di duecento bambini. Siamo riusciti a mettere in piedi tutto questo solo con le nostre forze andando a comprare i mobili da Ikea e lavorando senza orari”.
da repubblica.it