L’appropriazione truffaldina dei fondi della Margherita da parte del tesoriere del partito ha ulteriormente fatto crollare la stima degli italiani nelle forze politiche. Non ci si limita infatti a ritenere riprovevole il comportamento del senatore Lusi, ma si allarga la critica all’intero sistema dei partiti. Ad esempio, molti intervistati giungono a domandarsi perché questi ultimi — persino quelli scomparsi dallo scenario politico — possano disporre di così ingenti somme di denaro, tali da essere stornate o, come è successo per la Lega, investite pericolosamente in paradisi fiscali. Trattandosi di soldi pubblici lo stupore e l’indignazione sono comprensibili, specie in un periodo in cui tutti sono chiamati a fare sacrifici.
Anche — ma non solo — a causa di questo episodio, la percentuale di chi esprime fiducia nei confronti dei partiti, già molto bassa nei mesi scorsi, è ulteriormente diminuita sino a scendere oggi sotto l’8%. Era il 12% nell’ottobre scorso e il 17% a luglio del 2011. Dunque, in questo momento più del 90% della popolazione manifesta uno scarso credito verso le forze politiche. Le espressioni maggiori di disistima provengono dai più giovani, da chi è in cerca di prima occupazione, da chi vota per l’Idv di Di Pietro e, in misura ancora maggiore, dai molti che si dichiarano orientati verso l’astensione dal voto. Il risultato è che i partiti costituiscono oggi in Italia l’istituzione meno stimata in assoluto. Ma anche il Parlamento, che pure ottiene un livello di apprezzamento maggiore, ha subito un drastico calo di consensi negli ultimi mesi: era stimato dal 35% dei cittadini a luglio, dal 22% a ottobre e oggi si colloca sotto il 18%. Viceversa si assegna la massima fiducia al presidente della Repubblica (78%) e al presidente del Consiglio (58%) che vede, anzi, una crescita proprio nelle ultime settimane.
Tutto ciò vuol dire che gli italiani desiderano una società priva di partiti? Non è così. La popolazione appare convinta della necessità dell’esistenza delle forze politiche, considerate un fattore necessario per il funzionamento della democrazia. Ma auspica fortemente un mutamento di quelle attuali: solo poco più dell’1% dell’elettorato (con una accentuazione tra i più anziani e coloro che posseggono un basso titolo di studio) afferma che i partiti politici «vanno bene così». Ciò non significa però necessariamente che quelli odierni debbano scomparire per far posto a forze politiche nuove: esprime questo desiderio solamente una minoranza — anche se molto consistente, più di un italiano su cinque — della popolazione, con una particolare enfasi da parte dei più giovani, di chi si astiene e, in generale, di chi si rifiuta (e sono numerosi) di collocarsi in una qualche posizione sul continuum sinistra-destra.
Ancora meno diffusa (18%) è la richiesta di un mero ricambio dei vertici attuali dei partiti (auspicata comunque in misura relativamente maggiore dai laureati e dagli elettori del Pd). Non basta sostituire le persone: la netta maggioranza (56%) dell’elettorato domanda un più consistente e generale mutamento nel modo stesso di far politica da parte dei leader e delle loro organizzazioni: è una richiesta proveniente in misura ancora maggiore da chi risiede nei grossi centri urbani e dagli elettori del Terzo polo di centro.
Secondo molti osservatori, al termine del governo presieduto da Mario Monti, quando si faranno nuove elezioni, non ci troveremo di fronte ai partiti attuali, ma all’esito di un processo — di cui già si percepiscono le avvisaglie — di rimescolamento di quelli oggi esistenti. È ciò che in parte auspica anche l’elettorato. Tuttavia, come si è visto, quest’ultimo non si limita a desiderare solo una riallocazione o un mutamento di facciata delle forze politiche che oggi conosciamo. Si richiede invece una vera e profonda revisione nei comportamenti e negli atteggiamenti verso lo Stato e i cittadini. Pena l’ulteriore crescita della disaffezione dalla politica e della astensione potenziale che, come si sa, oggi coinvolge addirittura quasi metà degli elettori.
Il Corriere della Sera 05.02.12