Il flop di ascolti toccato alla puntata speciale di Porta a Porta dedicata alla consegna delle prime case ai terremotati di Onna è inatteso ma a ben pensarci perfettamente comprensibile. Inatteso perché, per dare maggior risalto al ritorno del presidente del Consiglio su Raiuno dopo un’estate di polemiche roventi, era stata fatta piazza pulita di ogni altro programma che potesse interferire.
L’intero palinsesto televisivo era stato accuratamente studiato per concentrare l’attenzione su Silvio Berlusconi che decretava il ritorno – a tempo record – di alcuni sfollati ad una vita più decente. Ma ciò non è accaduto.
Solo poco più del 13 per cento degli ascoltatori (3 milioni e 200 mila persone) si sono sintonizzati con il programma di Bruno Vespa, la cui media, quando va in prima serata, è del 19 per cento con 4,4 milioni di telespettatori. Quelli che mancano all’appello con la rete ammiraglia della Rai o hanno cambiato canale, decretando incredibilmente il successo per la prima serata di una fiction trasmessa su Canale 5, oppure hanno tenuto la televisione spenta.
Ma se nessuno avrebbe scommesso su un tale destino per un programma immaginato per celebrare la ripartenza dell’attività di governo dopo la pausa estiva, le sue ragioni non sono così oscure e ci indicano una strada chiara e possibile per uscire dalla stagione dello scontro violento continuo.
I telespettatori hanno detto che non sono interessati ai monologhi, al pensiero unico, che vogliono poter scegliere. Da questo punto di vista stupisce la strategia messa in atto dal presidente del Consiglio alla fine di questa estate con le querele, il fastidio trattenuto a stento, le accuse sistematiche a tutti gli organi di informazione e la scelta di rifiutare ogni contraddittorio.
Stupisce perché Berlusconi è indiscutibilmente il più efficace comunicatore che la politica di questo Paese abbia conosciuto, ha costruito le sue vittorie sui messaggi positivi, diretti, sulla capacità di incantare e convincere. Sa benissimo che il contraddittorio paga in termini di ascolto e anche in termini di stima: il politico che accetta di sottoporsi alle domande ed è capace di convincere con le sue risposte è il politico che vince. Vince non solo perché spiega ma anche perché mostra coraggio e non si nasconde.
C’è stato un tempo in cui il Cavaliere andava in televisione e duellava in diretta da Santoro contemporaneamente con Gianni Riotta e Gad Lerner. Un tempo in cui accettava perfino di rispondere a domande intime e di rivelare che era malato di cancro. Un tempo in cui andava a sedersi sulle poltrone di cartone di Ballarò per discutere con D’Alema e Rutelli. È stata anche questa la carta vincente per la sua legittimazione politica.
Ora invece, irritato dalle campagne di stampa e circondato da una nuova leva di consiglieri che gli suggerisce ogni giorno lo scontro come antidoto a tutti i mali e problemi, ha chiuso la porta al confronto. Certo Berlusconi parla e appare, ma per le interviste sceglie quasi sempre il settimanale «Chi» e da quando è tornato dalle vacanze è intervenuto di prima mattina su Canale 5, poi su una tv tunisina di cui è indirettamente partner e infine da Vespa, in una puntata che faceva venire un gran sonno. Non sarà un caso se il picco di share c’è stato quando all’improvviso è arrivata la telefonata di Pier Ferdinando Casini e per un momento il dibattito ha preso vita.
Manca il contraddittorio, ma soprattutto mancano un luogo e un tempo dove fare le domande, non solo quelle che propone con insistenza da mesi Repubblica, non solo quelle che riguardano feste e ragazze, perché la questione della politica italiana non si può risolvere o esaurirsi sulla soglia della camera da letto del premier. Si dovrebbe discutere, e il Paese ne avrebbe un gran bisogno, di ripresa economica, ammortizzatori sociali, carceri che scoppiano, scuola e università, federalismo fiscale. Vorremmo parlare di questo ma non sappiamo come e dove farlo. Non c’è più un luogo per le domande, di qualunque tipo esse siano. Ma non c’è più neanche un luogo per le risposte e questo danneggia in primo luogo proprio il premier, che dovrebbe non sottovalutare il messaggio arrivato dai telespettatori lunedì sera.
C’era un tempo in cui Silvio Berlusconi spiegava che il segreto del suo successo era di «avere il sole in tasca», di lanciare messaggi di ottimismo. C’era il culto della ricerca del consenso, ma l’idea era che lo si potesse ottenere con il sorriso e la forza del convincimento, non facendo un inquietante deserto di parole e di dialogo. Forse in qualche vecchia giacca è rimasto un po’ di sole, c’è da sperare che i suoi consiglieri più antichi, quelli che predicavano la moderazione e la ricerca delle intese, lo convincano a indossarle di nuovo.
da La Stampa