Né totem né tabù, ma nemmeno la chiave magica che riuscirà ad aprire le porte della riforma del lavoro. I manager italiani sdrammatizzano il peso dell’articolo 18, indicando la strada per un nuovo patto tra aziende e lavoratori. L’articolo 18 non è un tabù, ma da solo non serve più. La maggioranza degli 850 dirigenti e quadri intervistati rivela un atteggiamento pragmatico e laico verso quello che è diventato un territorio di crociate e di battaglie spesso ideologiche e riporta i problemi con i piedi per terra. Come risulta dall’indagine realizzata dall’associazione Manageritalia, che rappresenta oltre 35 mila direttori e capi d’impresa, con la collaborazione di Astra Ricerche, due manager su tre affermano che non è l’articolo 18 a impedire alle imprese di assumere personale (concorda con questa opinione il 61,7% degli intervistati). I dirigenti indicano con chiarezza quelle che dovrebbero essere le vere tutele in un moderno sistema del lavoro. Secondo l’86,7% degli interpellati, infatti, il punto critico è la forte competizione e l’obsolescenza di alcune professionalità, che vanno sostituite rapidamente, ma ciò deve e può avvenire solo con una riforma più ampia e complessiva del mercato del lavoro. Per questo, nove manager su dieci ritengono che compito delle aziende sia soprattutto assicurare e mantenere le competenze professionali dei propri lavoratori, con una crescita e una riconversione verso le nuove esigenze; mentre più di tre intervistati su quattro ritengono che compito del sindacato sia quello non tanto di difendere il singolo posto, ma il lavoro, l’occupabilità e la professionalità dei lavoratori. Infine, l’83,4% ritiene che sia compito di aziende e sindacati quello di aiutare i singoli ad avere cura del loro sviluppo professionale. L’articolo 18 è un falso problema, affermano quattro manager su dieci. Il fronte dei dirigenti si divide poi grosso modo in due parti uguali nel rispondere sulla difendibilità o meno in questa fase storica dell’articolo 18, per la spinta della competizione globale. Ma mantiene anche una relativa omogeneità nel rilevare i difetti che il limite dei 15 dipendenti ha creato. Due manager su tre affermano infatti di conoscere imprese che, pur di non superare la quota che fa scattare l’rticolo 18, hanno rinunciato ad assumere personale e fanno ricorso al lavoro straordinario, a lavoratori esterni o addirittura hanno creato aziende collaterali. «I manager hanno una visione moderna e pratica dei problemi del lavoro – conclude Guido Carella, presidente Manageritalia – Inutile, ci hanno detto, sovvenzionare con cassa integrazione e ammortizzatori sociali le aziende che non hanno futuro. Quei soldi vanno impiegati per aiutare i singoli e le aziende che hanno un futuro. Ai singoli serve un reddito, ma anche e soprattutto un percorso di formazione, di salvaguardia e aumento della professionalità». 83% pensano a un ruolo nuovo per il sindacato Secondo i manager più che a tutelare l’occupazione, il sindacato dovrebbe orientarsi a tutelare l’occupabilità. Per esempio attraverso corsi di formazione che mettano i lavoratori al passo con i tempi, permettendo loro di muoversi sul mercato meglio.
La Stampa 01.02.12