La frammentazione politica è una delle malattie che hanno portato al collasso della seconda repubblica. Ci mancherebbe solo che qualcuno provasse ora a spacciarla come la medicina. Una nuova legittimazione della politica e delle istituzioni passa necessariamente dalla ricostruzione di partiti solidi, almeno nel senso di capienti, non marginali, capaci di fare sintesi tra diversi e perciò di assumersi delle responsabilità di fronte al Paese. Se le leggi elettorali degli ultimi vent’anni, attraverso il maggioritario di coalizione, hanno premiato il ricatto dei «piccoli» e le liste personali di ogni taglia, anziché lo sforzo di comporre partiti democratici a vocazione maggioritaria, occorre moltiplicare gli sforzi per cambiare il Porcellum.
Ma, anche nel caso disgraziato di sconfitta della riforma, guai ad assecondare la (presunta) convenienza di coalizioni ampie e multiformi. Vorrebbe dire che non si è compresa la profondità della crisi di fiducia, né la portata della sfida storica che avrà di fronte il governo del dopo-elezioni, né la forza che dovrà esprimere per tenere insieme risanamento e cambio di indirizzo su scala europea. Per quanto riguarda il Pd e il centrosinistra non si tratta solo di evitare gli errori del ’94, e poi quelli dell’Unione: senza innovazione nelle forme della rappresentanza, oltre che nei contenuti, non si colmerà quel distacco che oggi separa la politica dalla diffusa domanda di partecipazione e dalla riscossa civica. Le primarie sono state una sfida coraggiosa. Bersani può dire di aver vinto la sua prima partita: su quali fondamenta potrebbe poggiare oggi il progetto di governo del Pd senza questa apertura, senza aver infranto le barriere dell’autoreferenzialità, dell’incomunicabilità con i cittadini che chiedono democrazia e cambiamento? Quale credibilità avrebbe avuto chi si fosse sottratto al rischio?
Da oggi comincia il percorso delle primarie. Da oggi gli elettori del centrosinistra potranno iscriversi per partecipare e decidere. Tuttavia, le primarie non devono esaurire il percorso dell’innovazione. La competizione interna fa salire il Pd nei sondaggi, ma il progetto di «partito nuovo» deve tornare a combinarsi con l’aspirazione ad un partito più grande. Il fatto che oltre a Bersani, Renzi e Puppato abbiano deciso di candidarsi, sulla base di una piattaforma comune, anche Vendola e Tabacci è una straordinaria opportunità. Guai a far cadere quell’impegno reciproco, assunto davanti ai cittadini che vogliono essere protagonisti di una nuova stagione.
La naturale tendenza conservativa delle strutture potrebbe suggerire prudenza: ma, se si ha la pazienza di ascoltare, la domanda è forte e diffusa. Non è solo una richiesta di unità come antidoto di possibili contrasti futuri. È una richiesta di solidità, di progettualità comune. È ancora una richiesta di coraggio. Non si esce dalla seconda Repubblica senza liberarsi degli schemi che l’hanno distrutta. Bisogna ricostruire partiti grandi. Plurali al loro interno, ma capaci di assicurare una coesione in nome del Paese, e non solo di una parte.
Un Pd più grande, sulla base della Carta d’Intenti. Un Pd che così potrà chiedere, dopo le primarie, anche ai moderati di fare altrettanto. Di dare una forma nuova e unitaria a quel Centro costituzionale che può condividere, per un’intera legislatura, un programma di ricostruzione nazionale. Oggi il Centro è un crocevia di rivalità e opzioni diverse. Chi è disposto a collaborare con il centrosinistra non può che rompere con il berlusconismo, inteso sia come partito personale, sia come pratica populista. Ma non può neppure pensare di rispondere alle sfide inedite con vecchie sigle e con giochi di rimessa. Il tempo nuovo non fa sconti a nessuno.
È un discorso che riguarda anche le forze minori della sinistra, sconvolte dall’esito delle elezioni siciliane. La crisi sociale sommata a quella politica ha in pratica annullato lo spazio di una sinistra radicale e antagonista. Oggi il dilemma è stringente: o si affronta la sfida del centrosinistra di governo, o si porta acqua al mulino del populismo. In Sicilia i numeri sono stati addirittura brutali: il Pd ha portato Crocetta alla presidenza, i 5 Stelle di Grillo sono diventati il primo partito, la sinistra radicale è stata cancellata dall’Assemblea regionale. Da mesi su l’Unità, a partire da un preveggente articolo di Mario Tronti, si discute della necessità di superare lo schema delle «due sinistre». Ora sarebbe un delitto chiudere gli occhi davanti alla realtà. La scelta di Vendola di partecipare alle primarie e di portare nel centrosinistra di governo la radicalità di alcune istanze è coraggiosa non meno di quella di Bersani di rimettersi in gioco, rinunciando alle prerogative dello statuto del Pd. Le rotture che si stanno consumando in queste ore nell’Italia dei Valori e nella Federazione della sinistra hanno esattamente questo segno: o si accetta la sfida della ricostruzione nazionale o si entra nell’orbita di Grillo. Non c’è una terza via di comodo, dove lucrare una rendita di posizione. Nessuno, tanto meno chi intende candidarsi alla guida del Paese, può permettersi di raccogliere sigle o siglette, vecchie o riverniciate. Se lo facesse, dimostrerebbe di non avere la qualità per affrontare il tempo nuovo.
L’Unità 04.11.12
Pubblicato il 4 Novembre 2012