Dovevano essere assunti, l’Istituto di vulcanologia si rimangia anche la proroga. A spasso dal 1° gennaio. La notte del terremoto dell’Aquila, mi sono svegliato per la scossa e subito dopo ero già in viaggio per l’Abruzzo, eravamo in quattro, abbiamo lavorato per due giorni di fila, quando c’è un evento del genere si registrano centinaia di terremoti, abbiamo ottenuto la più importante raccolta di dati su una sequenza sismica al mondo… ah, tre su quattro eravamo precari». Ecco basterebbe questo racconto per far vergognare l’Italia e chi la governa. Anche perché tre anni dopo, Raffaele Di Stefano, 41 anni, una laurea in geologia, un dottorato a Zurigo, insieme agli altri due che erano con lui quella notte tragica del 6 aprile e a tutti gli altri precari che per 1700 euro al mese da dieci anni tengono in piedi l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologica con la rete di monitoraggio sismico e vulcanico, l’attività di ricerca, i progetti finanziati dall’Europa non solo sono ancora precari, ma stanno per andarsene a casa. Tralasciando gli “ultimi arrivati”(si fa per dire) che sono circa 150, ci sono 196 precari “s to ri ci ” che secondo quanto previsto nelle due finanziarie del governo Prodi avrebbero dovuto essere già stabilizzati da un pezzo e che invece da cinque anni continuano ad essere etichettati come “s t ab i l i zz a n di ”. E ci sono altri 56 ricercatori che si avviano verso la fine del loro quinto anno di precariato nell’ente. Ecco, alla maggior parte di loro il 31 dicembre 2012 finisce il contratto (agli altri poco dopo). E non solo per loro non ci sarà la stabilizzazione promessa cinque anni fa e mai tradotta in pratica perché la pianta organica (nonostante 4 interrogazioni parlamentari) non è mai stata adeguata, ma non ci sarà neppure la proroga pattuita la scorsa estate, in extremis. Una mediazione, che, in tempi di spending review, prevedeva per chi avrebbe avuto pieno diritto all’assunzione, un rinnovo del contratto fino al 31 dicembre 2016. In deroga a quanto previsto per i contratti a termine nella pubblica amministrazione (come prevede la legge 386 del 2001). A“l o rs i g n o ri ”è sembrato troppo anche quello. E tra un parere arrivato dal ministero della Funzione pubblica (che paventa futuri tavoli di lavoro per discutere dei contratti a termine nel pubblico) e uno richiesto al Ministero dell’Eco nomia e della Finanza (che non è ancora arrivato) l’ente si è rimangiato l’accordo siglato il 18 luglio 2012 e sottoscritto da tutti i sindacati, Cgil, Cisl, Uil, Anpri, Rdb. Una decisione «incomprensibile, infondata sul piano giuridico e inaccettabile», protesta la Flc-Cgil. Una follia, anche secondo quanto gli stessi vertici dell’en te hanno messo nero su bianco tre mesi fa, quando sottolineavano che: «Pressanti esigenze operative richiedono il mantenimento in servizio di questo personale, perfettamente inserito in tutte le attività istituzionali dopo essere stato adeguatamente formato a svolgerle, prima di tutto quelle connesse al servizio di sorveglianza sismica e vulcanica». Insomma, lo scrivevano loro che l’Ingv non può fare a meno di quei precari cresciuti e formati. Cos’è c a m b i a to ? Un cambiamento a dire il vero c’è stato. Dopo la sostituzione del presidente al posto di Enzo Boschi, il meno titolato Stefano Gresta che già aveva suscitato polemiche, anche il vecchio direttore generale è stato “ro t t a m a to ”. Al suo posto è arrivato Massimo Ghilardi, 149mila euro all’anno, una vecchia conoscenza dell’ex ministro Gelmini, che lo aveva strappato al suo lavoro di promotore finanziario a Brescia per chiamarlo a viale Trastevere. Anche se a nominarlo, è stato l’attuale ministro Profumo, con un certo trasversale fair play e a dispetto del curriculum bizzarro che abbina la laurea in sociologia a quella in scienze motorie. Chissà se il nuovo arrivato prima di bloccare la proroga del contratto per oltre 200 ricercatori ha avuto tempo di riguardare i numeri su cui poggia il futuro dell’Ingv. Un ente di ricerca retto dai precari: la rete mobile, soprattutto, quella che come nella notte raccontata da Raffaele corre quando c’è un sisma a rafforzare la sorveglianza, è composta per il 70-80% da precari. Adesso i vertici dell’Ingv dicono che vogliono bandire un concorso. Per assumere i ricercatori di cui avrà bisogno. A tempo determinato, ovviamente. Una beffa. Che, tra una procedura burocratica e l’altra, lascerà l’Ingv scoperto chissà per quanti mesi. E farà fuggire all’estero altri cervelli. «Sai quanto è costato all’Italia formare uno come me? Almeno 500mila euro, gli altri paesi sono ben contenti di prenderci, già formati, con dieci anni di esperienza alle spalle», si permette di far notare Stefano Corradini, 41 anni. Fisico d el l ’atomosfera, all’Ingv si occupa di sorvegliare attraverso il satellite le emissioni vulcaniche dell’Etna, ma anche degli altri vulcani sparsi nel mondo. A lui come a tanti altri ricercatori Ingv, a dirla tutta, lo stipendio lo paga l’Unione europea. «Non so personalmente quanti soldi ho fatto recuperare all’Italia, so che dei 90 milioni di fondi su cui può contare l’Ingv, almeno 20 vengono da progetti finanziati a livello europeo, e gran parte di quei progetti camminano sulle gambe dei precari». L’Italia può permettersi di fare a meno di loro?
da Pubblico Giornale 20.10.12
Pubblicato il 20 Ottobre 2012