Esosi anche nel modello «nude», figuriamoci compresi gli accessori. I nuovi cacciabombardieri F35 erano stati ridotti di numero dal governo «tecnico». L’esecutivo Monti aveva portato la commessa statale da 131 velivoli agli attuali 90. La riduzione, annunciata nel febbraio scorso dall’ammiraglio-ministro Giampaolo Di Paola, era stata decisa come contributo alla prima spending review, sulla scia di una campagna che ha coinvolto 660 associazioni, oltre 60 enti locali e raccolto 77mila firme di cittadini a favore della riduzione delle spese militari. Si scopre ora però che il costo di ogni singolo aereo nel frattempo è lievitato. Non un po’, più del doppio, tanto che il risparmio sul programma di realizzazioni e acquisizioni firmato dall’ammiraglio Di Paola 11 anni fa di fatto è sparito. E anzi, sembra che gli F35 siano destinati a pesare sempre più sull’erario.
Dell’aggravio sui costi scrive in una lunga intervista sull’ultimo numero della rivista di settore “Analisi Difesa” il generale Claudio Debertolis, segretario generale dello stesso ministero, cioè in definitiva colui che presiede alle acquisizioni di armamenti per la Difesa. Debertolis aveva da sempre ritenuto «irrealistico» il costo stimato in Parlamento di 80 milioni di dollari ciascuno per i primi tre caccia stealth a marchio Lockeed Martin che dovrebbero uscire dalle catene di assemblaggio di Cameri a inizio 2015. Aggiornando i prezzi, rivisti i prototipi e i rincari dei materiali Debertolis ammette che il costo medio dell’aereo «nudo», in gergo recurrent fly-away cost, sarà di 137,1 milioni di dollari nel 2015 anche se poi non specifica per effetto di cosa sarebbe destinato a scendere negli anni a seguire. Si tratta di un aggravio del 60 per cento circa rispetto alla spesa indicata al Parlamento. Quindi almeno 13-14 miliardi di euro invece dei 10 pattuiti dal governo. «Pensiamo che la lievitazione dei costi in corso d’opera sia solo agli inizi», sostiene Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo che, prendendo a confronto i dati e le osservazioni della Corte dei Conti statunitense al Congresso Usa, denuncia in Italia la mancanza di trasparenza sui contratti e sulla loro portata, sulle penali da pagare in caso di riduzione «poi rivelatesi fasulle» e sulle ricadute occupazionali del progetto negli stabilimenti Faco di Cameri nel Novarese. L’ammiraglio Di Paola in audizione aveva detto che gli F35 avrebbero dato lavoro a 10mila addetti ma finora non sono più di 700 in tutto i ricercatori, progettisti e tecnici specializzati coinvolti. «Soprattutto con tutti questi soldi quante altre cose si potrebbero fare? creando molti più posti di lavoro, ad esempio nella manutenzione degli edifici scolastici si chiede Giulio Marcon di Sbilanciamoci senza contare che gli F35 non sono neanche caccia intercettori come gli Eurofighter, con compiti quindi di difesa, sono aerei esclusivamente d’attacco per voli radenti sui fronti di guerra». Marcon si chiede «perché la Ragioneria dello Stato che fa le pulci al provvedimemento sugli esodati di Damiano su questo progetto faraonico non dice niente».
Per Savino Pezzotta, deputato Udc «quegli areei non sono necessari e in tempi di sacrifici, di crisi, di drammi occupazionali sono un lusso che non possiamo permetterci, con quei soldi si può investire in settori molto più produttivi».
L’Unità 17.10.12
Pubblicato il 17 Ottobre 2012