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"Cinque mosse per la scuola", di Benedetto Vertecchi

Quella che stiamo attraversando è una fase critica nello sviluppo del nostro sistema scolastico. Ci troviamo infatti di fronte a cambiamenti capaci di incidere profondamente. Autentiche «mutazioni» che riguardano, non solo il modo in cui la scuola esercita il proprio compito di educazione, ma la stessa interpretazione di tale compito. Molti di questi cambiamenti sono comuni al nostro sistema scolastico e a quelli di altri paesi industrializzati, in Europa e altrove. La motivazione degli allievi nei confronti dell’apprendimento è cambiata, la professione degli insegnanti ha perso molte delle caratteristiche che in altri momenti le avevano conferito credito sociale, le famiglie rivolgono alle scuole una domanda di educazione che non si limita alla sola trasmissione di una cultura organizzata, ma si estende ad aspetti (sia cognitivi, sia affettivi e di relazione) che hanno acquistato rilevanza nella vita sociale.
Il fatto è che le scuole si trovano a far fronte alle nuove esigenze in un contesto sempre più difficile. Ed è il modo in cui si affrontano le difficoltà che distingue le politiche scolastiche nei diversi paesi. In Italia si è affermato uno stile di intervento basato su fattori sincronici. Si lamenta il livello scadente dei risultati di apprendimento conseguiti dagli allievi, si compara la consistenza del personale docente rispetto a quella di altri sistemi scolastici, si rileva l’entità della spesa e così via. E, dal momento che per qualche aspetto può sembrare che le risorse non siano impegnate nel modo più opportuno, non si sa fare di meglio che tagliare la parte di spesa considerata eccessiva. A questi interventi, che complicano il funzionamento delle scuole, si affiancano annunci di modernizzazione che il più delle volte sono solo cascami di un senso comune. Non ci si preoccupa di capire i cambiamenti in atto e la complessità degli elementi che sono alla loro origine. Si fa riferimento a dati che non spiegano in che modo si sia giunti alla condizioni che si sta lamentando, e si prendono provvedimenti che in molti casi non potranno che aggiungere nuove
difficoltà. Quel che si passa sotto silenzio è che la crisi del sistema scolastico non può essere affrontata in mancanza di un disegno d’insieme, a tracciare il quale concorrano sia specifiche conoscenze che derivino da un impegno prolungato nella ricerca, sia la definizione di intenti capaci di riconfigurare il rapporto tra la scuola e la società. In pratica, ciò equivale ad affermare che per uscire dalla crisi c’è bisogno di elaborare una politica scolastica. È ciò che non si fa in Italia, ma è ciò che si sta facendo altrove. L’esempio più recente è quello offerto dalla Francia. Da alcuni mesi, da quando Hollande si è insediato alla presidenza della Repubblica, ha avuto inizio un percorso che si propone di condurre a una vera e propria rifondazione della scuola della Repubblica. Il confronto che si è avviato non si limita a osservare che c’è una frazione consistente degli allievi che si colloca al di sotto dei livelli medi risultanti dalle rilevazioni periodiche dell’Ocse. In Francia, nel primo decennio del secolo, si è assistito ad un fenomeno non troppo diverso da quello che si è verificato anche in Italia, e cioè alla crescita dell’intervallo che, dal punto di vista qualitativo, separa gli allievi delle classi popolari da quelli appartenenti a strati sociali di livello superiore. Il problema che il sistema scolastico francese si trova ad affrontare è di ricreare le condizioni di una scuola della Repubblica, e cioè che si ponga l’educazione a fondamento dei rapporti sociali, assicurando le medesime opportunità di fruire del patrimonio culturale e di partecipare alla vita politica a tutti i cittadini.
Sono cinque le condizioni considerate indispensabili per dar vita alla nuova scuola, più giusta e più efficace. In qualche caso, non si tratta di novità in senso assoluto (per esempio, non mancano echi delle linee di politica scolastica della presidenza Kennedy), ma complessivamente il disegno configura una vera e propria rivoluzione: 1) occorre promuovere una forte integrazione sociale all’interno delle classi e delle scuole, nonché degli indirizzi di studio; 2) l’educazione deve essere il risultato di un impegno che coinvolge le scuole e le famiglie, ed al quale concorrano quanti sono in grado di fornire contributi utili (questa condizione è considerata il punto di forza delle scuole pubbliche rispetto a quelle private); 3) le scelte relative a indirizzi di studio che comportano una differenziazione dei percorsi debbono essere effettuate quando gli allievi sono effettivamente in grado di compierle; 4) c’è bisogno di migliorare le condizioni di continuità nel percorso educativo che investe il complesso della popolazione (è un impegno, questo, che richiede l’acquisizione da parte degli insegnanti di competenze particolarmente complesse; 5) è indispensabile rivedere l’intero sistema della formazione degli insegnanti e le condizioni per l’accesso alla professione. Le prime decisioni (come quelle relative alla valutazione e al reclutamento di nuovo personale) sembrano indicare che dalla enunciazione delle linee della nuova politica scolastica si è già passati alla sua attuazione. Sarà interessante seguire i passi successivi.
L’Unità 06.10.12