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"Il Pd ottiene l’incandidabilità dei condannati" di Claudia Fusani

Domani sarà una giornata decisiva per il disegno di legge contro la corruzione». Come in un giallo che svela giono dopo giorno gli indizi utili alla trama, il ministro della Giustizia Paola Severino ha dispensato anche ieri le necessarie rassicurazioni. Giornata decisiva, quella di oggi, perché «saranno espressi i pareri sugli emendamenti presentati. Il governo è fortemente impegnato perché possa essere approvato con tutti i suoi contenuti, penali, preventivi e sull’incandidabilità». Al di là delle parole, nei fatti dovrebbe succedere che il governo non metterà la fiducia, come preteso dal Pdl. Rinviando la sua approvazione – il ddl dovrà tornare alla Camera per la terza lettura – il governo tiene “vivo” il complesso tavolo corruzione lasciando al Pdl una sempre utile arma di ricatto da agitare nei momenti più opportuni.
Tra questa e la prossima settimana, quando la corruzione lascerà le Commissioni del Senato per approdare in aula (il 10 ottobre), il governo presenterà almeno tre emendamenti chiave al testo approvato alla Camera a fine maggio. Uno riscriverà il nuovo reato di corruzione tra privati, eliminando incongruenze sfuggite alla vista in prima lettura, e introducendo la querela di parte, l’obbligo – cioè – di procedere penalmente solo se una delle due parti presenta denuncia. A colpo d’occhio è qualcosa che indebolisce la fattispecie del reato. È sempre stata la prima richiesta del Pdl.
Il secondo emendamento interverrà sull’altro nuovo reato introdotto dal governo, il traffico di influenze illecite, la cosiddetta norma anticricca per impedire la raccomandazione e quel “sistema gelatinoso” di conoscenze e favori che inquina il mercato delle libera concorrenza. Il governo si è impegnato, accogliendo ancora una volta la richiesta fatta dal Pdl, a specificare meglio i comportamenti che configurano i reati per evitare – questo è il timore del Pdl ma anche dell’Udc – interpretazioni troppo allargate da parte delle procure. La battuta più ricorrente in queste settimane, caso mai ci dovesse essere una quota di eletti con le preferenze, ha riguardato il rischio di «vedere indagati buona parte dei candidati».
La terza correzione dovrebbe riguardare l’articolo 9 del disegno di legge, quello che restringe fortemente la possibilità per i magistrati di andare e restare fuori ruolo a tempo pressoché indeterminato. Il testo uscito dalla Camera “puniva” quasi esclusivamente i magistrati ordinari. La correzione al Senato dovrebbe estendere la platea delle toghe ma anche rendere meno tassativo il periodo del fuori ruolo. Si può immaginare quanto la lobby dei magistrati, ben rappresentata negli uffici di via Arenula sede del ministero, abbia lavorato in questi mesi per raggiungere questo obiettivo. «Ma non è – si chiede Roberto Giachetti (Pd), il vero motore dell’articolo 9 – che la resistenza della Severino a mettere la fiducia sul testo della Camera risenta della pervicace volontà di annientare la norma sul collocamento fuori ruolo dei magistrati?». Il sarcasmo di Giachetti prosegue: «Non vorrei che per risolvere il problema alla fine si decida di far passare l’emendamento dei senatori Pd Della Monica, Casson, D’Ambrosio e Carofiglio che, guarda caso, sono tutti magistrati».
Infine è atteso un emendamento che dovrebbe accogliere una richiesta del Pd e che riguarda la non candidabilità di chi è stato condannato in via definitiva per gravi reati. La norma già esiste nel testo approvato alla Camera solo che è stata depotenziata dal fatto che l’entrata in vigore del divieto è previsto entro l’anno dell’approvazione della legge, limite poi “corretto” a tre mesi da un ordine del giorno. La senatrice Silvia della Monica ha presentato giovedì scorso a palazzo Madama un nuovo emendamento per approvare «entro un mese» la delega che detta i limiti della incandidabilità. Le dichiarazioni entusiastiche dei ministri Severino e Patroni Griffi riportate ieri da agenzie e quotidiani non riguardano quindi un’iniziativa del governo ma del Partito democratico. Difficile, quasi impossibile, come riconosce anche il ministro Patroni Griffi che «l’incandidabilità possa essere legge in tempo utile per le elezioni in Lazio». Ci accontentiamo se lo fosse almeno per le politiche. Sarebbe già un risultato strepitoso.
Se questo sarà lo schema, e se questa fosse una partita, il vincitore sarebbe il Pdl a cui in fondo tocca ingoiare solo la rinuncia alle improbabili oltre che impossibili norme blocca Ruby. Il Pd dovrà rinunciare, invece, alla maggior parte delle sue richieste che anda- vano a potenziare reati e pene. Per non parlare di Idv e Psi che avevano chiesto di inserire in questo testo di legge due norme sacrosante come il falso in bilancio e l’autoriciclaggio.
L’Unità 04.10.12