«Volevo includere, non escludere». È stupito il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, per le reazioni a effetto ritardato alla sua frase «bisogna rivedere i programmi di religione». L’ha pronunciata sabato scorso a Torino, con il solito stile colloquiale, all’inaugurazione del nuovo campus universitario Luigi Einaudi, l’ha ripetuta ieri mattina all’apertura della biblioteca del Miur, e adesso ne è pentito. L’ex rettore, il tecnico, ancora una volta non ha compreso l’ampiezza della giacca che adesso porta.
Profumo ha osservato come «nelle scuole ci sono studenti che vengono da culture, religioni e Paesi diversi. Credo che debba cambiare il modo di fare scuola, che debba essere più aperto. Ci vuole una revisione dei nostri programmi in questa direzione». E insieme alla religione, che il ministro preferirebbe sostituire con una più moderna scuola delle religioni o scuola dell’etica, Profumo ha immaginato la rottamazione della geografia classica: «La scuola è più aperta e multietnica e deve sapersi correlare al mondo di oggi». D’altro canto, in molte classi italiane «metà degli studenti è straniero». In tutto il Paese la media è di uno studente ognidieci.
Di fronte al montare delle polemiche, il ministro Profumo ricorda come a fine giugno abbia firmato, all’interno del rinnovo del Concordato Stato-Chiesa, le due intese riguardanti l’insegnamento della religione cattolica nelle
scuole pubbliche e le indicazioni didattiche e che, in verità, nei pochi mesi di governo che restano non intenda mettere mano a una materia così articolata e scivolosa. Le reazioni, però, sono state davvero molte. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura, ha detto: «È importante il rinnovamento della didattica nel metodo, ma il messaggio evangelico e i grandi insegnamenti cristiani vanno sempre insegnati». Monsignor Gianni Ambrosio, presidente della commissione Cei per la scuola, ha aggiunto: «L’insegnamento della religione cattolica non è una lezione di catechismo, bensì un’introduzione a quei valori fondanti della nostra realtà culturale che trovano la loro radice nel cristianesimo».
Il centro e la destra hanno accusato Profumo di varie cose, soprattutto di essere uscito dai binari. Il capogruppo alla Camera del Pdl, Maurizio Gasparri: «Non spetta a un governo tecnico la revisione dei programmi scolastici.
È bene chiarire che in Italia il cattolicesimo nelle scuole non è semplicemente una materia, ma rappresenta l’identificazione e la riaffermazione delle nostre radici storiche e culturali». Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera (Pdl): «Capisco la preoccupazione del ministro Profumo sulla necessità che la scuola non ghettizzi chi viene da altri Paesi, ma questa attenzione non deve scadere nel relativismo». Per Paola Binetti (Udc), «oggi abbiamo più bisogno di religione, una religione insegnata meglio e testimoniata prima di tutto con l’esempio degli insegnanti. Chi non vuole, d’altro canto, può sempre restare fuori dall’aula». Davide Cavallotto per la Lega Nord ha riassunto tranchant: «Dopo la personale crociata contro il Nord, adesso il ministro Profumo dichiara guerra all’ora di religione».
Le parole non controllate dal ministro hanno provocato una ola nel mondo dei Radicali. La giovane senatrice Donatella Poretti: «In Italia non si insegna storia delle religioni, si fa catechismo con i soldi pubblici». Pierfelice Zazzera (Idv), vicepresidente della Commissione cultura della Camera, ha detto che rivedere l’ora di religione è giusto ma non sufficiente: «Bisogna procedere al taglio dei fondi stanziati per le scuole private e confessionali». La Rete degli studenti medi ha ribadito il concetto e così la Cgil: «L’aumento degli alunni stranieri deve essere una grande opportunità per un nuovo approccio all’educazione interculturale». Molti nel Partito democratico sono favorevoli alla revisione, ma la responsabile scuola Francesca Puglisi ora ricorda: «Profumo dovrebbe assegnare alle scuole gli insegnanti necessari per poter svolgere l’ora di alternativa alla religione invece di costringere gli studenti ad abbandonare la classe o studiare in palestra».
La Repubblica 26.09.12
Pubblicato il 26 Settembre 2012