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"Lo spazio dei progressisti", di Alfredo Reichlin

Se ho capito bene ciò che ha spinto Bersani a chiedere non solo agli organi dirigenti del suo partito ma a milioni di persone, a tutta l’Italia del centrosinistra, di legittimare la sua candidatura alla guida del paese non è l’ambizione personale. Almeno, credo.
È la consapevolezza che gli italiani sono di fronte a una scelta di portata storica alla quale non possono più sottrarsi. In poche parole: l’Italia così com’è non regge alle nuove sfide che derivano dal fatto del tutto inedito che stiamo entrando a far parte di una nuova costruzione europea. Se il Paese non si riforma e non si modernizza, sia come Stato che come nazione finirà ai margini della storia, come nel ‘600. È da qui che viene l’interrogativo (che è serio e non è solo italiano) sulla candidatura del Pd a guidare l’Italia in questo passaggio storico. Che poi tutto questo dia spazio anche a manovre, a manovrette, a calcoli personali e ridicole ambizioni, è normale. Ma il problema vero è l’altro. E sta qui il bisogno di un rinnovamento radicale di idee.
Sono passati cinque anni dall’inizio di una devastante crisi mondiale e non si vede una via d’uscita. Ma allora è sulla parola crisi che bisogna intendersi. È evidente che non si tratta di una normale crisi che si chiude dopo alcuni trimestri e poi la vita ricomincia come prima. In realtà noi siamo già di fronte a un nuovo processo di trasformazione dell’«ordine» mondiale. L’oligarchia finanziaria che fa capo a Wall Street e alla City conserva tutta la sua potenza ma non è più in grado di dettare il futuro del mondo. Valuteremo tra poche settimane i risultati e gli effetti delle elezioni americane. Saranno grandissimi. In Europa la crisi dell’Eurozona continua ma la moneta unica ha resistito e il grande tema politico di fare dell’euro lo strumento di una sorta di Stato federale europeo è venuto sul tappeto. Il fatto avrebbe conseguenze enormi e confermerebbe che un riequilibrio sulla distribuzione della ricchezza globale è in atto. Dice qualcosa che le economie emergenti detengono ormai la maggioranza delle riserve internazionali rispetto alle economie avanzate? In sostanza ciò che è in atto è molto di più di una crisi, è una transizione per cui il mondo di oggi è già molto diverso di quello di cinque anni fa. La grande illusione che il processo storico della globalizzazione si potesse governare dando mano libera ai mercati finanziari e riempiendo il mondo di debiti non è riproponibile. Wall Street conta. Ma nei Paesi emergenti si sta formando un gruppo di imprese multinazionali in grado di condizionare i flussi degli investimenti. E mi sembra sempre più difficile impedire l’evoluzione del sistema monetario internazionale da un modello in cui il dollaro era l’unica moneta di riferimento ad un regime dove, oltre al dollaro, avranno un ruolo crescente l’euro e la moneta cinese.
Bisognerebbe quindi guardare anche alle cose italiane con occhi un po’ diversi da quelli del miserabile baraccone politico e giornalistico italiano che rincretinisce la gente. La decadenza del Paese è del tutto evidente. Eppure io credo che la partita non è giocata. Anzi. Forse si riapre. Molte cose stanno cambiando anche se noi appena le intravediamo. Nella sostanza io credo che si sta allargando lo spazio per una forza popolare e progressista di stampo europeo che abbia l’ambizione di costituire il perno non solo di una svolta politica ma di una rinascita sociale e morale. Al di là dei suoi silenzi, delle sue risse inconcludenti e delle debolezze del suo scombinato gruppo dirigente, io mi ostino a credere che il Pd è la sola forza in grado di capire che nuove prospettive si aprono alle forze di progresso. Faccio un solo esempio. Finalmente si riapre la grande questione della «produttività». È giusto. Non si vive di solo spread.
Alla fine ciò che conta è la produttività del lavoro, compreso il lavoro dell’imprenditore. Ma allora il lavoro ritrova la sua dignità e centralità. Allora esiste anche il «capitale sociale» e non solo quello finanziario. Allora vi siete sbagliati. Non regge l’illusione del denaro fatto col denaro, del lavoro ridotto a puro prezzo , residuo, roba da usa e getta. Torna a contare non più solo il banchiere e dovete smetterla di guardare il Pd dall’alto, come un prodotto dialettale. Ma anche noi stiamo attenti a non montarci la testa. Noi non siamo il passato che ritorna. Un «neo-sinistrismo» sarebbe del tutto fuori dalla realtà. Così come un «neo-liberismo». Non si tornerà al mondo di ieri. L’economia finanziaria ha cambiato tutto. Ha coinvolto tutti: le imprese produttive come le famiglie come gli Stati e le istituzioni pubbliche. Ha cambiato non solo i confini del mondo ma il modo di essere della società umana. E in modo radicale. Per questo è così difficile uscire dalla crisi. Ma questo non deve scoraggiarci. La forza di un nuovo pensiero riformista, (e la sua radicalità) stanno proprio nel fatto che un nuovo assetto dell’economia comporta, necessariamente, un nuovo assetto della società, dei bisogni e dei valori. Dunque, la politica e la società tornano a contare. Devono entrate in scena nuovi attori, sia politici che sociali. Ma il mondo di ieri non tornerà più.
Il capitalismo globale non ha rappresentato solo un ampliamento senza più confini del sistema dell’economia di mercato. Esso ha rotto la vecchia trama su cui si era fatta la storia delle società umane, cioè la trama degli Stati, delle solidarietà sociali, della famiglia, delle religioni, insomma le cose all’interno delle quali si erano sviluppati i sistemi economici precedenti. E tuttavia non torneremo ai vecchi blocchi sociali. L’individuo ha assunto una nuova dimensione ma il suo apparente trionfo si è accompagnato allo smarrimento di quelle certezze che derivano da un rapporto meno squilibrato tra la potenza del denaro e il potere della società e delle istituzioni. La gravità della crisi italiana va letta anche così. La produttività italiana è diminuita per tante ragioni ma tra queste c’è la trasformazione del cittadino produttore in un consumatore.
Oggi misuriamo fino a che punto ciò ha distrutto l’antico sapere degli italiani e lo straordinario saper fare dei suoi lavoratori-imprenditori. Ma per fortuna le radici della pianta-uomo italiana non sono morte. Andate a vedere come l’Emilia risorge dal terremoto. È la cultura cooperativa: il mio successo dipende anche dal tuo successo, non dalla tua rovina. Non esiste ricchezza fondata sulla rovina degli altri. Questa è la nostra bandiera. Ma la novità è che questa non è più una affermazione astratta e ideologica. La novità è che l’Europa e il mondo non possono più far leva come nel passato sui consumi privati ma devono porsi il problema di nuovi bisogni e di una nuova domanda. E quindi il problema di nuove forme di vivere e di associarsi degli uomini tra loro.
L’Unità 21.09.12