Le primarie devono servire per rendere più democratiche e partecipate le scelte decisive, per rafforzare il progetto di governo, per conquistare energie e consensi nella società. Non possono trasformarsi in un conflitto distruttivo, in una prova di autolesionismo collettivo. Nel popolo del Pd e del centrosinistra – tanto più in quella parte abituata a cantare e a portare la croce, tra i volontari che faticano e magari vengono additati come pezzi della nomenclatura – cresce un grande timore. Che le primarie possano produrre divisione anziché unità, confusione anziché chiarezza, egoismi anziché condivisione, discredito anziché innovazione. E che in questo modo il Pd e il centrosinistra consumino la loro credibilità come forza di governo prima ancora che il vantaggio virtuale assegnato dai sondaggi.
Sia chiaro, dalla scelta delle primarie non si torna indietro. Per mille motivi, anche perché priverebbe l’elettorato progressista di qualcosa che viene percepito quasi come un diritto. Sì, nell’Italia dei partiti personali e privi di democrazia interna, il carattere aperto e scalabile del Pd è considerato un diritto generale. Ma è bene che sia così, in attesa che il seme della democrazia venga esportato e che il Pd sappia darsi regole stabili in grado di potenziare la propria autonomia rispetto alle oligarchie divenute egemoni nella seconda Repubblica.
Oggi la questione non sta tanto nelle regole. Perché le regole, di per sè, avrebbero negato molte cose di queste primarie, persino la candidatura di Renzi. Dalla competizione, così come si è delineata nella realtà, non è serio, né possibile retrocedere. Si apra dunque la sfida davanti agli elettori di centrosinistra disposti a sostenere un progetto di governo per l’Italia. Ma i candidati – i tre che si contendono il primato e gli aspiranti outsider che ambiscono a salire sul palcoscenico – sono chiamati a un supplemento di responsabilità. È in gioco il governo dell’Italia. Per di più in un momento drammatico, con una crisi economica e sociale senza precedenti nel dopoguerra. Si decide qui il prossimo decennio e una parte rilevante del destino dell’Europa.
E, siccome è una sfida collettiva, nessuno può guardarsi l’ombelico. Non si può far finta che si tratti del congresso del Pd, non si può correre con l’obiettivo esclusivo di ritagliarsi una spazio di minoranza, o di corrente, o addirittura di testimonianza. Al contrario bisognerebbe fare un solo partito dalla base di queste primarie. Abbiamo già vissuto l’esperienza suicida dell’Unione. Queste primarie servono per costruire la sola, plausibile alternativa a un nuovo governo Monti, oggi preferito dalle oligarchie, da Berlusconi che sa di non poter vincere, e da Grillo che spera così di dimostrare che i partiti sono tutti uguali. Chi, per dolo o per colpa, agisce per trasformare le primarie in una corsa sgangherata, in una corrida di dilettanti, in un conflitto autoreferenziale (benché supportato dal voto popolare), porterà acqua al mulino degli avversari del centrosinistra. E sarà artefice di una sconfitta. Perché è chiaro che il Monti-bis dopo le elezioni sarebbe una sconfitta del Pd.
L’Untà 19.09.12
Pubblicato il 19 Settembre 2012