Ora ci sarà, se non un salto di qualità, quanto meno un cambio di fase nella discussione sulla legge elettorale. Giorgio Napolitano ha chiesto un’accelerazione non solo nei colloqui che ha avuto la scorsa settimana con il presidente del Senato Renato Schifani e con quello della Camera Gianfranco Fini. Il monito a uscire dall’impasse è stato consegnato anche alle forze che sostengono Monti in Parlamento. E registrato il fallimento del tentativo di arrivare a un accordo in sede di comitato ristretto, adesso il confronto tra Pd, Pdl e Udc, a Palazzo Madama, dovrà trasferirsi in tempi rapidi in Aula. Così domani, quando si riunirà la capigruppo del Senato, si deciderà di far tornare la pratica in commissione Affari costituzionali, prevedendo non più di due settimane di discussione in questa sede per poi andare entro la prima metà di ottobre al confronto in Aula. Non è infatti soltanto il Colle, a questo punto, che preme per imprimere un’accelerazione.
COLLOQUIO NAPOLITANO-BERSANI
Pier Luigi Bersani è salito al Quirinale dopo i colloqui con Schifani e Fini, e quel che ha detto al Capo dello Stato nel corso dell’incontro riservato non è stato diverso da quanto detto nelle quarantott’ore successive parlando davanti al leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini e al segretario del Psi Riccardo Nencini, con i quali (insieme a Nichi Vendola) dovrebbe costruire un’alleanza in grado di governare nel 2013. Ovvero, primo: «Non è per responsabilità nostra se non si è ancora arrivati a un accordo. Noi abbiamo messo nero su bianco un’ipotesi di compromesso, sta al Pdl fare altrettanto». Secondo: «Adesso basta discutere nelle segrete stanze, confrontiamoci alla luce del sole».
La «bozza di compromesso» è stata effettivamente consegnata dal Pd al presidente della commissione Affari costituzionali Carlo Vizzini. Il partito di Berasni ha tenuto il punto sui collegi, rifiutando l’ipotesi delle preferenze, mentre ha ceduto sul premio di governabilità: che vada al primo partito («alla lista o alle liste collegate») purché sia sostanzioso (15%). Il Pdl però non ha voluto siglare l’intesa, proponendo un premio inferiore al 10% e rilanciando sulle preferenze. Da qui l’irritazione di Bersani: «Non dialogheremo più di legge elettorale con chi non ha anche la forza o la capacità di mettere una proposta sul tavolo. Questi vogliono fare la riforma elettorale solo sulle agenzie di stampa». Parole arrivate in contemporanea all’uscita di Sivlio Berlusconi sulla sua candidatura («dipende dalla legge elettorale») e a quella di Angelino Alfano: «Entro la prima decade di ottobre ci sarà la nuova legge elettorale».
PDL E LEGA TENTATI DAL BLITZ
Andare a un confronto parlamentare, al Senato dove ancora la vecchia maggioranza ha i numeri per decidere in autonomia, è un rischio per il Pd. Casini ha assicurato a Bersani che non farà da sponda a nessun colpo di mano organizzato da Pdl e Lega per far passare una legge che preveda un premio al primo partito non sostanzioso e le preferenze. Dal punto di vista dei numeri è poca cosa (i senatori Udc sono soltanto tre) ma il ragionamento che si fa in casa democratica è che difficilmente il Quirinale rimarrebbe inerte di fronte a un blitz della vecchia maggioranza su un tema così delicato come la legge elettorale. E poi la prova di forza di Pdl e Lega verrebbe vanificata non appena la riforma elettorale passerà alla Camera, dove gli equilibri tra le forze sono assai diversi da quelli del Senato.
Bersani ora vuole andare al confronto parlamentare per «stanare» il Pdl, che finora non ha presentato alcuna proposta precisa. Per il leader Pd non è vero che Berslusconi aspetta di sapere quale sia la legge elettorale prima di decidere se candidarsi nel 2013. Piuttosto, secondo Bersani, l’ex premier allunga i tempi della riforma elettorale perché ancora non ha capito cosa gli convenga fare: «L’unica cosa certa è che ha rinunciato a vincere ma non all’idea di impedire a noi di farlo». Lo spettro, con un premio di governabilità basso, è la Grande coalizione. Per questo, alla vigilia di una settimana che sarà decisiva per la riforma elettorale, Bersani ha chiarito che il Pd si terrà fuori da qualunque ipotesi di larghe intese («piuttosto lascio io»). E ora bisognerà vedere se il Pdl cambierà posizione o se rischierà di mantenere in vita una legge come il “Porcellum”, che assegna il 55% dei seggi alla Camera a chi arriva primo quale che sia la percentuale di voti ottenuti alle urne.
L’Unità 17.09.12
Pubblicato il 17 Settembre 2012