I beni comuni esigono una diversa forma di razionalità, capace di incarnare i cambiamenti profondi che stiamo vivendo, e che investono la dimensione sociale, economica, culturale, politica. (dalla postfazione di Stefano Rodotà a ‘Oltre il pubblico e il privato’ – Ombre corte, 2012- pag.312). Avete presente il flop del digitale terrestre e i danni prodotti al nostro sistema televisivo, i disturbi arrecati a tutti gli spettatori costretti a procurarsi il decoder o a cambiare il televisore? Quella transizione, dissimulata dietro l’alibi dell’evoluzione tecnologica, in realtà è stata imposta artatamente dall’ex governo di centrodestra – attraverso la famigerata legge Gasparri – allo scopo precipuo di difendere la concentrazione che fa capo a Silvio Berlusconi, a scapito del pluralismo dell’informazione e della libera concorrenza. Ebbene, la storia continua. Proprio un anno fa, su questo giornale, lanciammo l’allarme sul ‘regalo di Stato’ che a quell’epoca si stava tentando di perpetrare sulle nuove frequenze tv. Un pezzo rilevante di quel bene comune strategico che è l’etere rischiava di essere elargito in concessione ai ‘soliti noti’, cioè in primis alla Rai e a Mediaset, a costo zero, praticamente gratis.Ora ci risiamo. Il governo dei tecnici ha riconosciuto nel frattempo l’opportunità di indire un’asta sulle frequenze, per ricavarne un prezzo congruo valutato intorno a un miliardo e mezzo di euro. Ma ha delegato la patata bollente alla nuova Autorità sulle Comunicazioni, affidandole il compito di stabilire il regolamento per la gara. E proprio qui sta il punto.Quale sarà la base d’asta? Quali soggetti verranno ammessi a parteciparvi? Solo gli operatori televisivi o anche quelli telefonici? E come si procederà agli eventuali ribassi, in mancanza di offerte adeguate? Sarà, insomma, un’asta vera o un’asta finta, truccata? Sulla questione, si scontrano due interessi contrapposti. Da una parte, quelli dell’Unione europea che sollecita una maggiore concorrenza nel mercato televisivo italiano, avendo sospeso temporaneamente la procedura d’infrazione contro il nostro Paese. Dall’altra, quelli del governo in carica che – almeno a parole – vorrebbe ricavare il maggiore incasso possibile. Ma anche i tecnici devono fare i conti con la politica. E il governo Monti deve farli in Parlamento con lo stesso centrodestra, cioè con il partitoazienda di Berlusconi. Mentre si sa che Sua Emittenza le nuove frequenze non vuole pagarle affatto o al massimo le vuole ‘low cost’, a prezzi di saldo o di liquidazione. La questione, però, non riguarda esclusivamente i diretti interessati. Riguarda tutti noi, cittadini e contribuenti. Non solo perché l’etere è, appunto, un bene comune, al pari dell’acqua, dell’aria o della conoscenza. Ma soprattutto per il fatto che dalla sua utilizzazione più o meno equa dipende in buona parte il livello d’informazione e di partecipazione, il processo di aggregazione e raccolta del consenso. Si può accettare, allora, che il governo del rigore, dei tagli e delle tasse, della spending review, della riforma delle pensioni e dell’articolo 18, alla fine rinunci a far pagare adeguatamente le frequenze televisive ai ‘signori dell’etere’? Non rischierebbe così di apparire debole con i forti e forte con i deboli? Dopo aver preteso ‘lacrime e sangue’ dai cittadini, perderebbe credibilità e autorevolezza se si arrendesse alle lobby o alle caste.
La Repubblica 15.09.12
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“Mediaset tratta con Telecom vuole La7 e le frequenze”, di GIOVANNI PONS
Anche il gruppo di Berlusconi nell’asta per la rete C’è anche Mediaset nella gara per acquisire Telecom Italia Media, la società che controlla le emittenti tv La7 e Mtv e le infrastrutture per la trasmissione del digitale terrestre. A sorpresa, il gruppo che fa capo a Silvio Berlusconi entra nella partita per conquistare quello che si candida da anni a diventare il terzo polo tv (o quarto se si considera la pay tv di Sky). In estate Telecom Italia ha avviato le procedure di vendita della società, separando i canali televisivi dalle infrastrutture per cercare di attrarre più investitori possibili. Ed entro il 24 settembre dovranno arrivare sul tavolo del cda e degli advisor Mediobanca e Citigroup le offerte non vincolanti dei potenziali interessati. Per il momento si sono fatti avanti il gruppo Cairo, Discovery Channel e, appunto Mediaset per La/7 e Mtv mentre per la società che controlla i multiplex sono in lizza Ei Towers (la società dei ripetitori controllata da Mediaset), gli spagnoli di Abertis e altri fondi specializzati in infrastrutture. Il fondo di private equity Clessidra, che fa capo a Claudio Sposito, dovrebbe poi essere interessato a entrambi i tronconi messi in vendita.
Dalla società del Biscione, comunque, gettano acqua sul fuoco dicendo che è solo una manifestazione di interesse non vincolante volta a conoscere meglio l’oggetto della vendita. Una mossa quasi obbligata dato che la società è quotata in Borsa e il management è obbligato ad andare a vedere le carte quando un concorrente viene messo in vendita. In realtà, è noto che a Berlusconi ha sempre dato fastidio la presenza de La7 sul mercato, soprattutto da quando le news sono dirette da Enrico Mentana e l’audience del canale è salita oltre il 3% grazie agli ascolti di un pubblico considerato politicamente moderato.
Comunque non è detto che la partecipazione di Mediaset sia accettata dai venditori. Secondo le regole antitrust in vigore i gruppi televisivi non possono controllare più di cinque multiplex a testa e la raccolta pubblicitaria allargata conteggiata dal cosiddetto Sic della legge Gasparri pone un tetto al 20%. Sono osservazioni che l’ad di Telecom Italia Franco Bernabè ha già fatto presente ai dirigenti di Mediaset quando nelle settimane scorse hanno manifestato l’idea di partecipare alla gara. Ma evidentemente c’è un forte interesse da parte delle tv di Berlusconi nel mettere il cappello su un gruppo che finora si è dimostrato una piccola spina nel fianco allo strapotere di Mediaset in Italia, intaccato soltanto con la discesa in Italia del gruppo Murdoch nel settore della pay tv. E ora che gli azionisti forti di Telecom, da Mediobanca a Intesa, hanno deciso di mettere il tutto in vendita a pochi mesi dalle elezioni politiche ecco che Berlusconi si fa trovare pronto.
La Repubblica 15.09.12
Pubblicato il 15 Settembre 2012