La Corte costituzionale tedesca ha dato il semaforo verde all’Esm, il Meccanismo Europeo di Stabilità, il cosiddetto fondo salva-stati permanente che sostituirà quelli temporanei con i quali finora sono stati erogati aiuti a Grecia, Irlanda e Portogallo. Le motivazioni della Corte possono essere lette con maggiore o minore ottimismo. Viene qualche fastidio nel vedere l’insistente sottolineatura con cui è richiamata la legislazione esistente, in base alla quale il Parlamento di Berlino mantiene forti poteri di continua interferenza nelle decisioni dell’Esm, che pure è un’istituzione intergovernativa nel cui direttivo la Germania è rappresentata coi voti del «maggior azionista». E’ un richiamo che ricorda che non mancheranno residui poteri di veto nell’esercizio di una solidarietà con cui l’Europa, in fondo, salva tutta se stessa. Ma è anche un richiamo che, in Germania, rafforza la Corte nei confronti dei nemici dell’Esm e riflette i limiti del meccanismo come è stato concepito: cioè scarsamente autonomo dal concerto politico dei Paesi membri nell’affrontare le minacce alla stabilità sistemica dell’euro area; meno rapido e pronto di quanto sarebbe desiderabile per adottare tempestivamente le innovazioni e le iniziative più opportune, nel mare agitato e violento della finanza internazionale. L’Esm finirà per mostrare, quasi inevitabilmente e non solo per colpa dei tedeschi, un po’ di lentezza e pesantezza politica di troppo.
In compenso il testo della Corte riporta sinteticamente le opinioni, circa il ricorso di anticostituzionalità, raccolte sentendo il governo e il Parlamento di Berlino. Sono opinioni favorevoli al semaforo verde e alcune sono limpido e incoraggiante buon senso. Per esempio quella che sottolinea la sopportabilità del rischio massimo che corre il bilancio tedesco: perdere 190 miliardi. E quella che ricorda come questo genere di solidarietà intergovernativa non ha alternative, volendo mantenere la stabilità finanziaria in Europa e come il mancato sostegno dei debitori in difficoltà causerebbe alla stessa Germania costi molto maggiori di quelli che rischia contribuendo all’Esm.
Nel complesso credo che sia giustificato il prevalere dell’ottimismo con cui la pronuncia è stata accolta, sia dai mercati che da un ampio spettro politico, dentro e fuori la Germania. In sostanza la Corte nega l’esistenza, nella Costituzione tedesca, di seri ostacoli alla solidarietà finanziaria necessaria per proseguire l’integrazione europea. E il modo in cui lo nega è tale da sottolineare incisivamente la responsabilità politica del Parlamento. Come dire ai politici di non cercar scuse: se vogliono fare l’Europa più profonda e solidale non saranno bloccati dal testo della Legge Fondamentale che, in sostanza, vuole solo assicurarsi che il Parlamento tedesco abbia sempre il controllo della situazione. Ma è una situazione, quella della moneta e della finanza europee, della quale la Corte stessa sottolinea le inevitabili evoluzioni, compresa quella implicita nel progetto annunciato da Draghi per concertare gli interventi della Bce sul mercato dei titoli di Stato con l’aiuto «condizionato» offerto dall’Esm.
Dopo la Bce, anche la Corte tedesca ha dunque tolto un alibi all’intera politica europea, che a volte pare cercar di frenare, proprio mentre li sta disegnando, i progressi istituzionali dell’Ue, cioè il grande salto di qualità dell’integrazione. Senza il salto, qualunque modo di uscire dalla crisi monetaria, finanziaria ed economica è fragile e precario. Ora l’Esm va istituito davvero e messo rapidamente in grado di funzionare in pieno. Non sarebbe male pensare a non tardar troppo ad aumentarne la capitalizzazione. L’Esm è anche molto importante perché può intervenire nella ricapitalizzazione delle banche, ma solo dopo che un altro punto urgentissimo dell’agenda europea sarà realizzato: la centralizzazione della vigilanza bancaria presso la Bce, anche a supporto di una gestione comunitaria delle crisi bancarie. Su questo fronte i tedeschi devono vincere un’altra battaglia: quella con la lobby delle loro banche piccole e medie, con speciali relazioni politiche, che vorrebbero rimanere sotto il controllo nazionale.
E poi: avanti ancora. I presidenti della Commissione, del Consiglio, dell’Eurogruppo e della Bce hanno in agenda, ufficialmente, passi ulteriori verso l’unione fiscale e verso innovazioni istituzionali nell’unione politica europea che accrescano la legittimazione democratica delle decisioni comunitarie. Il nostro presidente del Consiglio ha chiesto di pensare a un vertice Ue per unire meglio le forze contro i populisti euroscettici: c’è abbastanza materiale in programma per evitare che un’iniziativa così preziosa risulti astratta e retorica. Dobbiamo convincere i cittadini che l’avanzamento dell’Ue non ha alternative e ha grandi vantaggi collettivi: serve buona comunicazione di messaggi e decisioni concrete. Fra le quali non sarebbe male includere, vincendo resistenze ancora soprattutto tedesche, la concessione di qualche tempo di più ai Paesi europei maggiormente in difficoltà per aggiustare il loro deficit pubblico in una fase di acuta recessione; pretendendo in cambio manovre di aggiustamento dei deficit pubblici qualitativamente migliori e più tempestivamente implementate nei dettagli.
D’altra parte il sollievo per il pronunciamento della Corte sarebbe speso male se i Paesi tutti, compresa la Germania, ne traessero ragioni per diminuire gli sforzi di riforme strutturali che devono cambiare il funzionamento microeconomico dei Paesi membri, rilanciare il mercato unico, migliorare l’efficienza delle amministrazioni pubbliche e la competitività delle produzioni private. Auguriamoci che l’aver tolto la spada di Damocle della Corte tedesca serva alla politica tutta, nazionale e internazionale, come stimolo a lavorare di più e meglio per dare ai cittadini europei le regole e le istituzioni per poter essere governati come si meritano.
La Stampa 13.09.12
Pubblicato il 13 Settembre 2012