Pier Luigi Bersani, dunque, teme che qualcuno immagini di poter sostituire le elezioni politiche di primavera con una qualche rapida «consultazione tra banchieri», suggerita – magari – da questa o quella agenzia di rating. Si tratta, naturalmente, di un iperbolico modo di dire per segnalare – però – una preoccupazione che, dal suo punto di vista, non può esser considerata infondata: e cioè, che le ripetute prese di posizione a favore della prosecuzione dell’esperienzaMonti, condizionino – o addirittura in qualche modo «falsino» – l’atteso pronunciamento popolare. Il leader Pd pensa, evidentemente, al sostegno che arriva al premier in carica da parte del mondo della finanza, di non poche cancellerie europee (e non solo europee) e – per ultimo – perfino da quel composito e rilevante spaccato di classe dirigente riunitosi per due giorni in quel di Cernobbio.
Si tratta, dicevamo, di una preoccupazione che – se si va alla sostanza di quel che Bersani intende dire non può esser liquidata con due battute: l’ipotesi di elezioni «inutili» – perché già deciso che a governare resterà comunque Mario Monti – non è un grande spot per la democrazia.
Il punto, però, resta (e da mesi) sempre lo stesso: la via per spazzare il campo da simili timori è un recupero di credibilità, affidabilità e chiarezza progettuale da parte delle diverse forze politiche. Ora, dire che questo sia avvenuto – o stia avvenendo – è onestamente difficile. E, da questo punto di vista, la giornata di ieri è addirittura emblematica.
Infatti, a distanza di poche ore l’uno dall’altro, due dei tre leader della possibile alleanza data per favorita alle elezioni (e intendiamo Bersani, appunto, e Pier Ferdinando Casini) hanno illustrato ai propri elettori – e più in generale al Paese due prospettive di governo del tutto diverse: il leader Pd ha preannunciato (come fa da tempo) il ritorno della politica nella stanza dei bottoni; al contrario – fiutando in anticipo il vento e con una mossa un po’ a sorpresa Casini ha spiegato cosa vede dopo Monti: e cioè, di nuovo Monti. La novità – annunciata nel giorno in cui l’Udc si apre a una folta pattuglia di ministri del governo in carica – non è da poco: ed è foriera di fibrillazioni, naturalmente, soprattutto nel campo del centrosinistra.
Le ragioni sono evidenti. Intanto, va registrata un’accentuazione della già notevole – e perdurante – confusione: infatti, con chi governerebbero Bersani e Vendola (in caso di successo alle elezioni) se i moderati del nascente «listone centrista» annunciano fin da ora di essere in campo per un nuovo governo a guida Monti? L’interrogativo rischia di diventare cruciale. Non solo. Infatti, pur ammettendo che Casini cambi idea su quel che serve domani al Paese (e cioè un Monti bis) il nascente raggruppamento centrista – con adesioni che vanno dalla Marcegaglia alla Cisl, dalle Acli a Passera, Riccardi e un po’ di altri ministri – non sembra precisamente animato da «spirito gregario»: cioè pronto, dopo il voto, a far patti con la sinistra per incoronare Bersani presidente del Consiglio.
Dunque, mentre il leader Pd annuncia che «i riformisti sono pronti a governare», il più indispensabile e strategico dei suoi alleati (cioè Casini) fa sapere di vederla in altro modo: e questo alla fine di mesi durante i quali al Paese era parso che il patto riformisti-moderati fosse cosa fatta. Non è un bel segnale sul piano della chiarezza circa le cose da fare e le alleanze da stipulare, naturalmente. E non lo è nemmeno per quel «popolo di centrosinistra» incamminato verso primarie che rischiano – a questo punto – di incoronare un candidatopremier che premier potrebbe non diventarlo mai.
Forse è anche per questo che il leader Pd – ieri a Reggio Emilia – ha tenuto sostanzialmente sullo sfondo la vicenda che divide da settimane il partito (le primarie, appunto) limitando all’indispensabile la polemica con Matteo Renzi. Certo, ha chiesto al giovane sindaco di Firenze rispetto per i dirigenti più anziani, lealtà verso il partito e toni da forza che si candida a guidare il Paese: ma insomma, se il discorso di ieri era la sua apertura della campagna per le primarie, lo si può definire un discorso soft, e preoccupato soprattutto d’altro.
Del resto, Pier Luigi Bersani non ha mai nascosto di considerare le «secondarie» (cioè le elezioni) assai più importanti – come ovvio – delle primarie. Ecco: da ieri anche le «secondarie» si sono complicate, diventando più incerte e difficili. Non è una buona notizia, per i democratici. Soprattutto perché, al punto cui si era giunti, uno sgambetto così – da Pier Ferdinando Casini – forse non se l’aspettavano più…
La Stampa 10.09.12
Pubblicato il 10 Settembre 2012