Le decisioni prese ieri dalla BCE sotto la guida di Mario Draghi segnano forse un punto di svolta. I tremendi problemi della crisi italiana non sono affatto risolti. Possiamo però affrontarli con più fiducia e più realismo. Finalmente la lotta politica italiana può cominciare a spostarsi in avanti, a quel livello europeo dove si decide intorno a cose come l’identità e la sopravvivenza della nazione, dove alla disgregazione dello Stato si può opporre una prospettiva di «europeizzazione», dove si può opporre alla situazione attuale in cui la politica è stata ridotta a sottosistema dell’economia, la possibilità di rimettere in gioco non solo le banche ma i soggetti sociali, le culture e i partiti europei. Dove la scelta tra destra e sinistra torna decisiva. Ecco perché sento, lo confesso, un senso di rigetto e di fastidio per questa ridicola disputa tra vecchi e giovani. Ridicola perché paradossale. Vedo anch’io molti vecchi che sopravvivono, ma il guaio è che non vedo molti giovani.
Non dal punto di vista anagrafico, evidentemente, ma nel senso che vedo uno scarto enorme tra questa vacua chiacchiera politica e il bisogno fortissimo di qualcuno o di qualcosa (un leader, un pensiero, una iniziativa) che ci apra gli occhi sull’enorme novità del problema che sta davanti a noi.
Parlo del nuovo tempo storico che già sta cambiando il modo di essere e il destino degli italiani. È evidente che la politica attuale non funziona. Non funziona per tante ragioni (compreso il suo miserevole livello etico-politico) ma per una soprattutto, quella di cui ha parlato ieri Giorgio Napolitano. Cioè il fatto che il futuro della «europeizzazione» è già cominciato e quindi «è nel complesso dell’Europa quale oggi ci si presenta che la politica è in affanno, naviga a vista perché le vecchie mappe risultano sempre più inservibili e le nuove restano ancora lontano dal giungere a un disegno compiuto». Sono parole dette l’altro giorno a Mestre da un uomo che non è più un giovane ma che mentalmente lo è più di tanti altri.
Insomma, si comincia ad aprire un futuro rispetto al tunnel in cui siamo stati finora: sacrifici senza nessuna prospettiva. Attenzione. Io non voglio esagerare e vedo benissimo tutti i rischi che perdurano. Parlo però del fatto che dopo la fase tutt’ora non chiusa dell’emergenza in cui non potevamo fare altro che aggrapparci all’orlo del precipizio per «non fare la fine della Grecia», se ne sta aprendo un’altra.
Decisioni politiche capitali si stanno prendendo in queste settimane e mesi. Non sto parlando di «spread» e di astrusi marchingegni monetari. Sto parlando del fatto che, dietro le quinte delle manovre finanziarie, si sta sviluppando in forme ancora coperte un dibattito più di fondo che riguarda il futuro politico degli europei, e che è volto a definire i caratteri di una nuova entità europea di tipo federale. È su questa strada che ci stiamo incamminando? Certo, non è questo che ha detto Draghi. Ma nella misura in cui, dopo una lotta feroce,
stanno prevalendo a livello europeo le forze che considerano l’euro irreversibile e la sua scomparsa una tragedia, l’avvio di un disordine ingovernabile dell’economia mondiale, diventa inevitabile cominciare a ridefinire il quadro politico: il potere della Germania, il ruolo della Francia e il tipo di assetto per l’Italia, un Paese con problemi strutturali enormi come il Mezzogiorno, la disoccupazione, il degrado dello Stato (amministrazione, corruzione, inefficienze della giustizia). Insomma, in un modo o nell’altro, si comincia a riscrivere la nostra storia.
Ecco il punto a cui volevo arrivare. Come si può più sopportare questa confusione che sta colpendo il prestigio di tutte le componenti del Pd? Come si può parlare della sinistra, di riforme, di difesa dell’industria, di giustizia sociale e di riequilibrio tra le classi, e soprattutto di rilancio dello sviluppo fuori da questo contesto? Cari amici giovani che scalpitate, io vi voglio bene ma voi diventate irrilevanti se non partite da qui. E tutti i dirigenti del Pd dovrebbero capire perché il distacco della gente dalla politica diventa sempre più grande. Ma è evidente. La gente non è stupida, né qualunquista in partenza. La gente sente nel suo istinto profondo e nella sua antica intelligenza che siamo entrati in un mondo nuovo, altro, sconosciuto. E ciò la spaventa, l’inquieta, la spinge a cercare una nuova guida. Se non la trova che cosa può fare se non protestare, fino a votare per Grillo? È difficile credere a un partito se esso si riduce a una rissa continua e credere in una politica che (anche se diretta da giovani) è vecchia per la semplice ragione che non parla del futuro. Come si può parlare, per esempio, del problema meridionale se non all’interno del nuovo contesto europeo e rispetto al futuro del nuovo contesto arabo mediterraneo?
Tutto assume nuovi significati.
Che cos’è la destra e che cos’è la sinistra. Io sento tutta la insufficienza della tesi che considera il governo Monti una parentesi «tecnica» alla quale seguirà come cosa naturale il ritorno dei partiti. Ma sento anche l’anacronismo di una disputa tra «neo-socialdemocratici» che vogliono una «svolta a sinistra» e neo-liberali che considerano l’agenda Monti come la sola garanzia del «rigore». Ma smettiamola. È evidente che Monti è un grande leader politico europeo di cui l’Italia avrà ancora bisogno ma è giusto pensare per dirla con Agostino Giovagnoli che è venuto il tempo di scelte di fondo molto più ampie dell’attuale «agenda Monti» e che siano in grado di sfidare i tempi nuovi.
Bersani mi sembrava aver capito questo. E che perciò chiede primarie aperte. Per proporsi come quella guida di cui l’Italia ha bisogno, l’uomo di uno schieramento molto largo che riunifica il campo della sinistra ma in funzione di un disegno di governo dell’Italia che deve comprendere, che non può non comprendere, larga parte del mondo moderato. Ma allora si imponga. I progressisti italiani, se sono dei veri progressisti, devono fare una nuova analisi, la devono smettere di «pettinare le bambole». Le nazioni sovrane del passato non sono più il quadro in cui possono risolversi i problemi del presente. La ragione è (come diceva Padoa Schioppa) che stiamo arrivando a un «punto di svolta e di non ritorno». In quanto (cito) «è giunto il momento in cui la lotta politica diviene europea, in cui l’oggetto per il quale lottano uomini e partiti sarà il potere europeo».
Il Sole 24 Ore ha detto chiaro ieri quale sarà l’argomento principale della campagna elettorale per impedire a noi di vincere. L’argomento è che il Pd non è in grado di reggere le nuove sfide dell’Europa. Ma questo è esattamente l’argomento su cui noi dovremmo chiedere il voto per noi, noi che siamo la componente di quella grande forza che è la sinistra europea. Non è la disputa tra vecchi e giovani. Spetta a Bersani fare chiarezza.
L’Unità 08.09.12
Pubblicato il 8 Settembre 2012