Ce la farà la sinistra ad interpretare in maniera efficace e non autodistruttiva la tornata delle primarie di coalizione che, per la prima volta in Italia, assumono vesti altamente competitive? Le prove tecniche di primarie hanno già svelato una preoccupante inadeguatezza per via di un ardore polemico spericolato. Non è l’intensità dei fendenti che preoccupa. Che i gazebo non siano mai una cerimonia di gala è cosa scontata. E però andrebbe evitato che le primarie si traducano in una occasione afferrata al volo per assestare dei colpi agli organigrammi congressuali e per tendere delle imboscate al quartier generale.
Senza la condivisione di un percorso politico, e sguarnite di un senso del limite, le primarie possono rivelarsi un incidente utile per un avversario a corto di chance. Quello che urta è perciò la mancata comprensione del carattere specifico delle primarie. Il destinatario vero della contesa non può essere l’elettore astratto, raggiunto ovunque esso si collochi nello spazio politico e stimolato con l’arte della provocazione e con le metafore della esagerazione. Per quanto le primarie siano aperte, esse non possono rivolgersi all’opinione pubblica indifferenziata, che presta attenzione solo ai messaggi più eccentrici. Non bisogna confondere le primarie, che tendono a mobilitare una parte soltanto della società, che condivide simboli, lessico e riti, con le elezioni politiche che sono invece una battaglia rivolta al popolo nel suo complesso. Il confronto che si chiuderà nei gazebo ha per referenti principali gli iscritti e, insieme ad essi, quella delimitata, sebbene ampia, porzione di elettorato affezionato e partecipe che per tradizione è vicino alla sinistra. Ciò deve avere delle conseguenze ineludibili nelle strategie anche linguistiche che devono essere rispettate dai candidati. La fissazione per gli effetti magici della esasperazione mediatica, che reclama eterne battute contro i gruppi dirigenti e attira ironie sulla età del ceto politico, non può tradursi in una accentuata curvatura comunicativa che va alla ricerca di corpi nuovi e non di politiche nuove. Chi, invece che rivolgerli alla propria parte per definire altri stimoli ad agire e suscitare dei più forti motivi di impegno, orienta i ritrovati della comunicazione (se non del marketing) verso una spregiudicata deriva elettoralistica cercherà in ogni modo di alterare il senso delle primarie per tramutarle in una indebita simulazione del voto per il Parlamento. Ma le primarie, per loro vocazione differenziale, non devono conquistare il territorio elettorale altrui, quello presidiato dalle destre, devono al contrario far scattare una più nitida identità e una più solida convinzione nel proprio mondo, che così assapora la vittoria. Per un malinteso disegno di sfondare già con le primarie nell’altro campo, si nota l’ossessiva ricerca di effetti speciali studiati a tavolino dai consulenti di immagine per stimolare la compiacente copertura dei media, la cui proprietà è da tempo infastidita dagli echi di pretese torsioni neosocialdemocratiche in atto nel Pd. Le primarie svaniscono ogni senso di rimobilitazione (del proprio campo politico e sociale, a stento ritrovato) se le distanze ideali dei protagonisti del confronto appaiono abissali e restano tali in virtù della costruzione mediatica di una diversità effimera basata solo sull’immagine.
Certe declinazioni sul ricambio generazionale come valore in sé, talune sortite sulle facoltà quasi divinatorie delle attardate pratiche liberiste, certe compiaciute esposizioni in abiti sportivi per curare la visibilità del corpo danno di sicuro l’impressione di un partito che ha dentro di sé una polarizzazione assiale piuttosto clamorosa, non inferiore per intensità a quella che di solito distingue all’esterno la destra e la sinistra. Se la battaglia in corso tra la politica rimotivata e le forme dell’antipolitica rigonfiate dalla rabbia smisurata dei poteri forti si svolge in forme carnevalesche già dentro il partito è evidente che il virus del populismo non potrà essere estirpato. Tutto il paziente lavoro fin qui svolto per sconfiggere le forze materiali e immateriali dell’antipolitica rischia di franare, travolto dalla riedizione postuma di una fiacca politica sub specie comunicationis.
L’agenda politica delle primarie non può essere quella che mira a stuzzicare l’appetito dei media con effetti speciali ingannevoli ma deve consistere in una calibrata differenza di accenti e di sensibilità all’interno di un medesimo paradigma dell’innovazione (Europa politica e sociale, riassetto delle istituzioni, rilancio del valore del lavoro, nesso tra crisi sociale e crisi democratica). Se invece di primarie sobrie tra candidati che muovono da una stessa identità programmatica, sia pure declinata con accenti diversi, si svolge un duello rusticano che si prolunga scomposto dinanzi alla luce della ribalta allora è meglio lasciar stare. Si chiamano primarie ma diventano in realtà una maldestra pratica impoliticamente assistita per favorire a telecamere accese il mesto suicidio della sinistra che balbetta una polarità incandescente nuovo-vecchio, utile solo per risollevare gli umori di una destra che pareva derelitta.
L’Unità 07.09.12
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Bersani: «Coraggio Pd mettiamoci in gioco», di Maria Zegarelli
Il leader democratico incontra i segretari regionali: «Non sarò seduto ad aspettare». Renzi elogia le primarie americane: «Funzionano e danno entusiasmo». «Il segretario del Pd non starà seduto nella sua stanza ad aspettare una vittoria annunciata, né alle primarie né alle elezioni»: è questo che dice Pier Luigi Bersani incontrando i segretari regionali e i membri della segreteria al Nazareno. E se sceglie toni sobri, non scende in polemica e continua a parlare dei problemi concreti del Paese, spiega, non è perché sta sottovalutando insidie e difficoltà. «Non sottovaluto nulla dicealtrimenti mi sarei appellato al regolamento, ma il Paese chiede alla politica di avere coraggio e spetta soprattutto a noi dimostrare di averlo. Dobbiamo guardare gli italiani negli occhi e non avere paura di andare incontro a primarie in mare aperto». Questa è la strada, secondo il segretario, per fare delle primarie un grande evento di partecipazione, «una risposta concreta a quanti guardano la politica un po’ schifati, perché il contrario di populismo è popolarità». Il numero uno del Nazareno non nasconde la preoccupazione per i toni del dibattito interno e per una discussione che rischia come di fatto sta già accadendo di apparire chiusa e lontana dai problemi reali delle persone. Per questo chiede a tutti, leader, giovani e vecchi, di moderare i toni, «c’è bisogno di un cambio di passo, di un time out perché dopo le primarie ci sono le elezioni politiche e noi, un attimo dopo il voto per la leadership, dobbiamo essere un’unica squadra, unita, che lavora per vincere». E questo sarà il messaggio che lancerà chiudendo la festa nazionale a Reggio Emilia domenica prossima: parlare al Paese, perché la «passione per la politica si riaccende se si è credibili, affidabili e se
si discute dei temi concreti», di quel rapporto tra sviluppo e coesione sociale su cui il centrosinistra vuole fondare il suo Patto con il Paese.
«Il Paese sta vivendo un periodo di grande difficoltàdice Andrea Manciulli, segretario della Toscana -, le file davanti al distributore della benzina per risparmiare qualche euro sono un segnale forte. Il Pd non può chiudersi alla società civile discutendo di primarie e battaglie interne, noi dobbiamo dare una prospettiva realistica agli italiani». C’è anche chi, nel corso dell’incontro andato avanti per oltre due ore, chiede di arrivare a regole certe per le primarie al più presto, «anche se sarebbe stato meglio non rimettere tutto in discussione non dando troppa voce ai tanti desiderata di cui si legge in questi giorni». «Delle regole risponde Bersani discuteremo alla prossima Assemblea nazionale».
LE REGOLE
«Dobbiamo cogliere le primarie aperte come un’occasione per rafforzarci e non per indebolire il partito dice la presidente del partito Rosy Bindi -. Se le primarie saranno un’occasione per parlare di problemi veri, di scelte e di programmi per l’Italia, sarà sicuramente positivo. Se viceversa si approfitterà delle primarie per una competizione elettorale, allora forse si rischia non tanto di indebolire il Pd ma la politica italiana tutta». Matteo Renzi, che torna convinto dagli Usa che «è bello quando la politica riesce ad emozionare», senza rinunciare al suo repertorio made in Italy, ormai consolidato, contro l’establishment del suo partito. Assicura che le primarie saranno «un’occasione, poi chi perde dà una mano a chi ha vinto. Noi partecipiamo con rispetto ed umiltà, rinnovando a Bersani amicizia e affetto perché non è una gara gli uni contro gli altri, ma per il bene dell’Italia. Faremo questa gara senza litigare, ma raccontando idee diverse: noi siamo perché cambi il gruppo dirigente, vadano a casa quelli che da vent’anni sono in Parlamento e si rottamino le idee che hanno portato l’Italia a non funzionare». Sulle regole dice di non voler mettere bocca, purché siano primarie aperte. «L’esperienza americana aggiunge è un’occasione per verificare anche solo per 24 ore un modello di partito in cui le primarie hanno assolutamente una funzione centrale e insostituibile».
Massimo D’Alema, in un’intervista al Corriere della Sera, dice: «Renzi sembra aver lanciato una campagna rivolta non alla costruzione di una prospettiva di governo ma esclusivamente contro il gruppo dirigente del Pd e tutti i potenziali alleati di governo del centrosinistra». E registra «con amarezza» che il primo cittadino fiorentino sembra essere «sostenuto soprattutto da quelli che il Pd al governo non lo vogliono». Paolo Gentiloni, che non nasconde simpatie per Renzi, critica i suoi colleghi: «A me l’aria che è tirata in questi giorni in cui la classe dirigente del Pd ha dato talvolta l’impressione di essere una specie di nomenclatura un po’ impaurita dal ciclone Renzi, penso che sia un errore». E invita a fare le primarie «con le regole con cui si sono fatte sempre», per Prodi, Bersani, De Magistris e Pisapia. Antonello Giacomelli, invece, parlando dei «giovani turchi» evoca Achille Occhetto e chiede al segretario di dire «parole chiare». «A me sembra che l’obiettivo di Matteo Orfini e dei “giovani turchi” sia quello di fare di Bersani il leader di una nuova gioiosa macchina da guerra», afferma Bersani legge i botta e risposta tra i democrat che le agenzie rilanciano e avverte: «Bisogna avere le spalle larghe, mostrare solidità e sobrietà perché le primarie non sono un congresso. Quello si farà poco dopo, nel 2013. Prima dobbiamo vincere le elezioni».
Fase doppiamente delicata per il segretario: tenere insieme il partito, lavorare al programma da sottoporre al Paese e alla futura alleanza, e contemporaneamente giocarsi la partita per la leadership, «farò il segretario fino all’ultimo minuto», assicura ben sapendo che i prossimi mesi saranno difficilissimi: una doppia campagna elettorale da condurre in un autunno che farà sentire tutto il peso sociale della crisi, con la disoccupazione e l’inoccupazione giovanile ai massimi e il lavoro che resta la prima emergenza del Paese.
L’Unità 07.09.12
Pubblicato il 7 Settembre 2012