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“Violenza sulle donne, Napolitano: «In Italia ancora fatti raccapriccianti»”

«La lotta contro ogni sopruso ai danni delle donne, contro la xenofobia, contro l’omofobia fa tutt’uno con la causa del rifiuto dell’intolleranza e della violenza, in larga misura oggi alimentata dall’ignoranza, dalla perdita dei valori ideali e morali, da un allontanamento spesso inconsapevole dei principi su cui la nostra Costituzione ha fondato la convivenza della nazione democratica». È questo il messaggio che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto lanciare inaugurando mercoledì mattina alla Farnesina la conferenza internazionale sulla violenza contro le donne. Anche «in paesi evoluti e ricchi come l’Italia, dotati di Costituzione e di sistemi giuridici altamente sensibili ai diritti fondamentali delle donne, continuano a verificarsi fatti raccapriccianti, in particolare, negli ultimi tempi, di violenza di gruppo contro donne di ogni etnia, giovanissime e meno giovani» ha ricordato a tal proposito il capo dello Stato.

I DIRITTI E LA CONVIVENZA CIVILE – Napolitano ha sottolineato come oggi viviamo «nell’età dei diritti, intendendo la complessità di questa espressione: diritti proclamati, diritti affermati o in via di affermazione, diritti da conquistare, diritti da rendere universali». E ha ricordato come «il riconoscimento dei diritti umani» sia «condizione di convivenza civile, libera e democratica». «In qualsiasi contesto il pieno riconoscimento la concreta affermazione dei diritti umani – ha rilevato l’inquilino del Colle – costituisce una innegabile pietra di paragone della condizione effettiva delle popolazioni e delle persone del grado di avanzamento materiale e spirituale di un Paese».

«TUTTI RESPONSABILI» – «Dobbiamo sentirci egualmente responsabili dell’incompiutezza dei progressi faticosamente realizzati per l’affermazione della libertà, della dignità, e della parità dei diritti delle donne» ha poi aggiunto il presidente della Repubblica facendo un appello ai presenti a sentirsi tutti «egualmente impegnati a perseguire conquiste più comprensive, garantite e generalizzate». Per il capo dello Stato decisiva è «la dimensione educativa di questo impegno» nel senso di «educare l’insieme delle nostre società ai valori dell’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso – articolo 2 della Costituzione italiana – e ai valori della non discriminazione». Le violenze sulle donne, infatti, si ripetono, ha ricordato Napolitano, «nonostante che il Parlamento già da decenni si sia impegnato in una severa legislazione sulla violenza contro le donne, come reato contro la persona, e abbia di recente affrontato anche l’aspetto delle molestie e delle persecuzioni contro le donne nei luoghi di lavoro».

Il Corriere della Sera, 9 settembre 2009

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Sull’argomento segnaliamo un altro articolo del Corriere

L’esercito silenzioso delle donne maltrattate”, di Giulia Ziino

Una rosa bianca, immacola­ta. Che lentamente anneri­sce, sporcata da un male che nasce da dentro. È la violenza domestica, la più segreta, quella che si consuma tra le mura di casa. Un mondo sommerso fatto di bot­te fisiche e mentali, che corrode dall’interno colpendo soprattutto le donne, vittime di aggressori che troppo spesso hanno i volti di ma­riti e fidanzati. Oggi e domani le principali città italiane saranno in­vase da migliaia di braccialetti di gomma bianchissimi, inviati an­che a tutte le parlamentari donne: un modo di raccogliere l’invito del ministero delle Pari opportunità a indossare qualcosa di bianco, per solidarietà con le vittime degli abu­si. Per riportare la rosa sporcata al suo vero colore. L’occasione è la Conferenza internazionale sulla violenza contro le donne, in corso a Roma, promossa col ministero degli Esteri. Per capire, e combatte­re, un fenomeno che fa paura. E sfugge, per i confini resi incerti dal­la difficoltà a denunciare la vergo­gna della violenza casalinga. In Italia sette milioni di donne hanno subito violenza fisica o ses­suale nel corso della vita. Di que­ste (dati Istat) 2 milioni e 938 mila hanno subit violenza dal partner o dall’ex. Un universo di sopraffazio­ne di cui fa ancora più paura la fac­cia che rimane oscura, quel 93% di abusi che non viene denunciato, sommerso da mille paure. Sette mi­lioni di vittime silenziose, secon­do il ministero. «Il passo più diffi­cile per una donna — spiega Ga­briella Carnieri Moscatelli, presi­dente di Telefono Rosa — è con­vincersi a chiedere aiuto». Ma usci­re dall’isolamento è solo il primo passo: «Poi c’è l’iter giudiziario e la ricostruzione di sé». Del proprio io massacrato a calci e pugni da chi credevamo vicino: «Da una mappatura del nostro Osservato­rio — continua Moscatelli — su un campione delle circa duemila donne che hanno chiesto aiuto nel primo semestre 2009, risulta che autori delle violenze sono i mariti nel 34% dei casi, gli ex mariti nel 12% e nell’8% i conviventi». Part­ner senza controllo, capaci di acca­nirsi in molti modi: «Nel 49% dei casi la violenza è psicologica, nel 34% fisica, nel 13% economica e un buon 21% è vittima di minacce e stalking, spesso anticamera di abusi più pesanti».

In un anno al Telefono Rosa (che su Facebook ha aperto una pe­tizione per chiedere l’abolizione dei benefici di legge per chi com­mette violenze sulle donne) arriva­no in media 5 mila telefonate. Una è stata quella di Rosaria, 3 figli, 40 anni. Ne aveva 15 quando ha cono­sciuto il fidanzato, 20 quando l’ha sposato. Da allora ne sono dovuti passare altri 20 per venir fuori dal­l’inferno. «I primi tempi mi ero ac­corta di qualche sua reazione vio­lenta — racconta — ma ero troppo giovane per capire. Poi sono co­minciati gli schiaffi, i calci, i pu­gni, le sedie che volavano. Quando gli ho detto che mi volevo separa­re è iniziata la guerra». A Rosaria non è bastato andare via di casa: lui l’aspettava fuori, la seguiva al lavoro, la caricava in macchina con la forza. Ci sono volute un’ami­ca e le parole della figlia 18enne per spingerla a chiedere aiuto: «Co­me ho fatto a resistere vent’anni? Arrivi a pensare che sia quella la vi­ta che ti spetta». Poi la separazio­ne, il giudice. Come per Angela, 40 anni anche lei, un bimbo di 4, cin­que di convivenza con un compa­gno che la picchiava. «Con un fi­glio di mezzo è difficile pensare di reagire — racconta — ma dopo es­sere stata spedita troppe volte al pronto soccorso la mia è diventata una scelta obbligata». Angela co­mincia adesso a non avere più pau­ra quando torna a casa, quando guarda negli occhi la gente.

Per due che hanno spezzato il vincolo, quante altre restano in si­lenzio? Il baratro oggi è più profon­do o abbiamo solo scoperchiato un vaso? «Difficile dirlo — dice Marina Bacciconi, responsabile dell’Osservatorio nazionale violen­za domestica — poiché la maggior attenzione sociale e mediatica agi­sce da lente distorsiva e, d’altra parte, l’informalizzazione del ma­trimonio e della parentela nella so­cietà (e non solo in Italia) si affer­ma sempre più come dato struttu­rale, culturale. Lo stesso modesto aumento negli ultimi anni può aver poco significato e derivare dalle stesse ragioni». Ma se non è possibile quantificare la violenza si può qualificarla: anche gli abusi hanno un genere. Quasi sempre maschile singolare. «Il nostro mo­nitoraggio (registriamo un feno­meno quando tribunali, polizia, ca­rabinieri, Pronto soccorso e medi­ci di famiglia lo incontrano in mo­do da avere una fotografia ad ‘alta definizione’ del fenomeno) — con­tinua Bacciconi — evidenzia che fra le vittime circa 1 su 3 è ma­schio, minore o anziano ma anche adulto. Ma la donna è certamente la principale vittima». È sulle dina­miche dell’atto violento che emer­gono le differenze più sensibili: «Il maschio conta più sulla propria forza fisica (pugni, calci, minac­ce), la donna per lo più sull’uso di oggetti disponibili in casa, nella vi­ta quotidiana.

Il coltello e altri strumenti da ta­glio appartengono a entrambi, an­che se forse con diverso significa­to». Legato quasi sempre all’istin­to di difesa: da una ricerca dell’Uni­versità di Bristol che mette in rela­zione violenza domestica e «di ge­nere » risulta che gli uomini prefe­riscono usare la forza fisica (61% dei casi monitorati) ma scendono all’11% nel ricorso alle armi. Que­sto perché la violenza femminile è il più delle volte autodifesa. Gli uo­mini tendono a reiterare gli abusi, combinando violenze fisiche, ver­bali e psicologiche per creare un contesto di paura per controllare la partner. Un inferno tra le pareti di casa.

Il Corriere della Sera, 9 settembre 2009

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