Rettore del Politecnico di Milano dove si è laureato a pieni voti nel ’63, Giulio Ballio, 69 anni, a meno di uno dallo scadere del suo mandato è nel mirino del ministro Gelmini, che accusa lei e altri colleghi di aggirare la riforma sull’Università. Davvero boicotta la Gelmini?
«Non ne ho la minima intenzione. Anzi, per certi versi l’applaudo. Bene ha fatto, per esempio, a semplificare i concorsi. Riducendo l’esame alla valutazione del curriculum e a un colloquio col candidato, la Gelmini ha snellito le selezioni: la prova scritta, finalmente, è stata abolita anche in Italia».
Ecco, appunto: una norma nel disegno di legge che il Politecnico di Milano ha puntualmente disatteso.
«E’ stata una svista, lo riconosco. Nelle modalità di un concorso, bandito a luglio e scaduto 15 giorni fa, la prova scritta non era stata depennata. Ma ci siamo subito corretti tornando ai parametri imposti dal disegno di legge. E senza polemiche».
Però l’Associazione ricercatori precari vi ha scritto anche una lettera ufficiale che fa riferimento al numero di articoli su riviste specializzate che il candidato deve allegare al curriculum. Il ministro Gelmini ha eliminato il limite massimo, così che l’esaminato, ancora prima del colloquio, possa dimostrare il suo valore anche attraverso la quantità di pubblicazioni.Se s’impone un tetto, invece, tutti appaiono meritevoli allo stesso modo…
«Certo, capisco l’obiezione. Ricordiamoci però che se il tetto non è imposto dal disegno Gelmini, è facoltativo secondo un’altra legge ancora in vigore, la Berlinguer. Il Politecnico di Milano, nel bando del 3 luglio scorso per l’assunzione di tre ricercatori, ha rispettato sia l’uno che l’altra. Abbiamo infatti chiesto che, nella domanda, il candidato elencasse tutte le pubblicazioni ottenute e anche che scegliesse, in un numero massimo imposto da noi, le migliori».
Quindi non un aggiramento del disegno di legge, ma una conferma che lo approva in ogni passaggio?
«Non esageriamo. Non sono d’accordo ad esempio col fatto che si reclutino i ricercatori, come i docenti, da liste nazionali di idoneità. Ogni Università investe minimo tre anni nella formazione di un giovane ricercatore, e non trovo logico, poi, che questo venga assunto in altri atenei».
Quanti concorsi avete bandito dall’entrata in vigore del decreto?
«Tre. Ed è un tasto dolente che mi rende furibondo. È un fatto grave che non riguarda solo il Politecnico di Milano. I concorsi sono bloccati e lo resteranno fino a che il ministro non nominerà le commissioni per decidere le assunzioni di docenti e ricercatori».
Il ministro Gelmini, ieri, ha parlato di un rallentamento dovuto a «questioni procedurali».
«Già. Significa che per alcuni settori non c’è il numero minimo per formare le commissioni. Uno scandalo. Due anni fa avevamo assunto 400 ricercatori in 24 mesi. E oggi ci troviamo di fronte a persone valide che potrebbero lavorare nei 100 posti in attesa di concorso. E’ un’attesa che sta frustrando le aspettative degli studenti. Molti di loro sono già partiti per la Finlandia, gli Stati Uniti, la Francia e l’Inghilterra».
Proprio sul recupero dei «cervelli in fuga» il disegno della Gelmini prevede che gli atenei italiani possano richiamare studiosi impegnati all’estero per coprire posti di lavoro. È una possibilità che prenderete in considerazione?
«Parliamoci chiaro: al di là dei discorsi d’immagine, la questione dei “cervelli in fuga” è un problema che va affrontato con serietà. Se si spera nella bacchetta magica, meglio lasciar perdere».
Ha l’impressione che il tema non sia trattato a dovere?
«Non sono il solo. Forse il ministro dell’Istruzione non sa che per il rientro di ogni studente le università devono mettere in bilancio milioni di euro d’investimento. I ricercatori torneranno in Italia solo quando gli atenei riusciranno a dar loro le condizioni trovate all’estero. Non basta un ottimo stipendio per innovare. Occorre che lo studioso lavori in strutture qualificate, con attrezzature all’avanguardia, affiancato da personale competenti. Ci stiamo ancora leccando le ferite per la legge Tremonti. Siamo senza risorse».
E anche senza una legge…
«Infatti. Che il ministro Gelmini sveltisca l’iter legislativo, altrimenti il sistema università in Italia andrà a picco. E se in quanto rettore sono felice di sapere che i nostri studenti saranno i primi a essere richiesti all’estero, in quanto italiano mi dispiace un sacco».
La Stampa, 8 settembre 2009