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“Crisi e occupazione, prove di disgelo tra Marcegaglia e Epifani”, di Laura Matteucci

Prima il vis-à-vis con la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che ne uscirà parlando di «incontro costruttivo». Poi il clima disteso del pranzo lungo e informale con il ministro Giulio Tremonti, insieme ad Enrico Letta. A Cernobbio, l’ultima giornata del workshop Ambrosetti il segretario della Cgil Guglielmo Epifani la passa da protagonista: incassa commenti fino a ieri inaspettati: «Il suo intervento mi è parso molto responsabile e molto interessante», dice a sorpresa il mai tenero Tremonti.

«Nonostante l’accordo separato sulla riforma contrattuale, in questi mesi la Cgil ha sempre avuto un atteggiamento responsabile», rincara la dose Marcegaglia. Qualcosa è cambiato ai vertici dei poteri che governano il paese: qualcuno deve aver capito che una fase come questa non si governa senza il più grande sindacato italiano, che la spinta centrifuga nata dalla crisi può finire per travolgere tutti allo stesso modo, e che «affrontare la crisi uniti conviene a tutti», dice Epifani. «Ho chiesto a Confindustria – continua – di impegnarsi di più sulla crisi, sull’occupazione e sulla fiscalità per il lavoro dipendente. Certo, quello che ci divide è il modello contrattuale». «Sono preoccupato per l’autunno che ci attende, bisognerebbe remare insieme nella stessa direzione – aggiunge – Penso, come avevo detto un anno fa, che di fronte a una crisi così era sbagliato procedere senza la Cgil».

Gli fanno eco le parole di Marcegaglia: «Dobbiamo capire se ci sono modi per riunire le nostre strade, occorre far prevalere le cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci dividono, in un clima di coesione. Anche perché la crisi non è finita, ci vorranno anni per uscirne». Imprenditori e Cgil si annusano, imboccano la rotta di avvicinamento, ma la strada è lunga. «Ci vogliono i fatti», dice Epifani. Servono dagli industriali delle «aperture» nei tavoli di trattativa «che possano consentire un clima diverso». «Abbiamo in mente delle proposte, ne discuteremo nei prossimi giorni», annuncia Marcegaglia. La richiesta al governo è, invece, già esplicita: «Servono fondi per gli ammortizzatori sociali e programmi di formazione per chi perde il lavoro», perché «il problema occupazione è grave, andiamo incontro a riconversioni e ristrutturazioni», anche se «non ci aspettiamo una catastrofe».

A sentire Tremonti, quello degli ammortizzatori sociali è un «non-problema»: «Abbiamo più risorse di quanto si possa immaginare – sostiene ieratico – sul 2009 erano 8 miliardi, adesso vedremo. Comunque nessuno sarà lasciato indietro». Da dove verranno presi i soldi in bilancio, e quanti si presume debbano essere, il ministro non intende rivelare: «q.b.», continua a ripetere, che in cucina vuol dire quanto basta. La trasparenza non è all’ordine del giorno a Cernobbio. Sempre in auge, invece, la polemica con le banche. Che non fanno la loro parte, dice Tremonti, e che, troppo grandi, addirittura sono strutturalmente inadeguate al sistema industriale, fatto di piccole e medie imprese. «La tendenza delle banche – dice ancora Tremonti – è a fare “credit trade”, cioè prendere soldi a zero e impiegarli. Sono capaci anche i bambini a fare le trimestrali così». E lancia così una stoccata anche contro il fatto che le banche abbiano fatto ricorso alla liquidità messa a disposizione, a tassi bassissimi, dalle banche centrali mentre ora si mostrano titubanti verso l’emissione dei Tremonti-bond, «un ponte che passa attraverso le banche verso le pmi, e su quel ponte c’è un signorotto che dice che quel passaggio gli va o non gli va. Questo non è giusto».

Tutt’altro clima con i confindustriali. L’idea di creare fondi settoriali (non pubblici) a favore delle imprese, lanciata da Confindustria, per Tremonti è «una buona idea. Aria di disgelo con la Cgil. E anche Epifani si mostra cauto nei confronti del superministro: «I fondi per gli ammortizzatori ci sono? Si tratta di vedere in Finanziaria quello che ci sarà – commenta il leader sindacale – C’è un problema che riguarda gli anziani e i pensionati, il sostegno agli investimenti e naturalmente anche gli ammortizzatori sociali, perchè se la crisi si allarga abbiamo bisogno di questi strumenti. Verificheremo che cosa intende fare il governo».

L’Unità, 7 settembre 2009

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“E sui contratti c´è aria di compromesso. Ora nessuno vuole la guerriglia sindacale”, di Roberto Mania

ROMA – L´”armistizio di Cernobbio” dovrà superare la prova dei contratti, altrimenti sarà stato scritto sulla sabbia. Cautela, dunque, perché già un anno fa Emma Marcegaglia e Guglielmo Epifani sorseggiarono insieme un caffè sulle rive del lago di Como promettendosi collaborazione e soprattutto che mai avrebbero firmato accordi separati sul modello contrattuale. Poi le cose – si sa – andarono diversamente: Confindustria, Cisl, Uil e governo da una parte; Cgil dall´altra. Senza quello strappo non si spiegherebbe l´iniziativa di ieri della Marcegaglia che, dopo mesi di freddezza, ha voluto riannodare il dialogo con Epifani. Tutto informale, certo, ma non deve sfuggire il fatto che la Marcegaglia fosse accompagnata da due uomini-chiave nella vicenda strettamente sindacale: il vicepresidente Alberto Bombassei, patron della Brembo, che ha la delega per le relazioni industriali, e il direttore generale di Viale dell´Astronomia, Giampaolo Galli, il quale anche per la sua competenza economica (bocconiano, già Banca d´Italia e chief economist proprio della Confindustria) ha una funzione strategica nei rapporti con l´esecutivo e le controparti sociali. Lo schieramento di Cernobbio già dice delle intenzioni della Marcegaglia.
D´altra parte non si può ipotizzare un «patto sociale» per gestire la crisi e progettare l´Italia del dopo-recessione, come ha proposto la Marcegaglia, mettendo in conto una sorta di guerriglia sindacale sui tavoli dei rinnovi contrattuali. Perché una rigida applicazione del nuovo modello taglierebbe sempre fuori la Cgil, che, a quel punto, non avrebbe alternative al conflitto. Scenario che, in piena crisi, gli industriali non hanno alcuna voglia di provare. Ma la stessa Cgil vuole continuare a fare i contratti, tanto più che si avvicina (in primavera) il suo congresso, l´ultimo di Epifani.
La Confindustria ha votato compatta l´accordo separato, ma la gravità della crisi sta portando molte categorie a fare pressing sui vertici di Viale dell´Astronomia perché trovino una via d´uscita. E´ significativo ciò che è accaduto prima della pausa estiva al tavolo per il rinnovo del contratto dei circa 400 mila alimentaristi: le multinazionali del settore erano a un passo dall´accordo con la Flai-Cgil al quale difficilmente avrebbero potuto dire no le altre due sigle. L´intervento della Cisl e della Uil, della stessa Confindustria, e – a quanto pare – del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, però ha fatto saltare tutto.
Bisognerà vedere come riprenderanno le trattative, ma intanto, da questa settimana, entra nel vivo anche la vertenza-simbolo, quella dei metalmeccanici. Poi ci sono i contratti dei dipendenti pubblici. In questo caso è il governo che, nella Finanziaria, deve stanziare le risorse necessarie. Le prime stime parlano di 7 miliardi di euro. Decisamente troppo in questo momento. In più sul fronte governativo affiorano alcune crepe. L´indice Ipca, cioè l´indice dei prezzi al consumo armonizzato a livello europeo, che ha sostituito l´inflazione programmata per definire gli aumenti contrattuali, non piace al titolare della Funzione pubblica, Renato Brunetta, che lo ha fatto capire, e nemmeno al responsabile dell´Economia, Giulio Tremonti, che lo dice nelle conversazioni private. Il paradosso – secondo la Cgil – è che l´indice Ipca, in una congiuntura di inflazione calante, finisce per dare aumenti più consistenti della stessa inflazione reale. Serve pragmatismo.
Corso d´Italia, allora, pensa addirittura a «accordi-ponte» per chiudere rapidamente questa stagione e concentrarsi sulla crisi economica. Ma nessuno dei firmatari della riforma potrebbe seguirla. Però – ed è questa la strada che appare percorribile – nei singoli tavoli negoziali si potrebbero concordare soluzioni tecniche capaci di salvare la filosofia del nuovo modello contrattuale venendo il più possibile incontro alle richieste della Cgil (non indebolire il contratto nazionale, evitare deroghe allo stesso, estendere la contrattazione decentrata). E´ il sentiero stretto per passare dall´armistizio agli accordi.

La Repubblica, 7 settembre 2009