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“Eluana, il Pd e la destra miope”, di Roberto Zaccaria*

L’articolo di ieri di Miriam Mafai su Repubblica in merito alla drammatica vicenda di Eluana Englaro discussa giovedì alla Camera dei deputati deforma completamente la posizione del Partito Democratico.
Innanzitutto non c’è stato silenzio. Il Pd ha espresso formalmente la propria posizione all’inizio del dibattito in Aula attraverso il mio intervento, che tutti hanno potuto ascoltare e con grande attenzione. L’intervento è stato riportato dalle agenzie ed è facilmente leggibile come sempre nello stenografico immediato della Camera.
Non c’è stata astensione, perché il Partito Democratico, convinto che la proposizione del conflitto da parte del Pdl fosse una mossa tattica, manifestamente infondata dal punto di vista costituzionale e chiaramente strumentale ha scelto di non partecipare al voto, comportamento che si adotta, quando il provvedimento è del tutto estraneo alle regole parlamentari. Non è un caso del resto che un simile atteggiamento sia stato tenuto anche da un gruppo non trascurabile di liberali del centro destra (Della Vedova, Chiara Moroni, La Malfa ed altri).
Non c’è stata quindi nessuna “fuga del Pd” dall’esame del problema, come si legge nel titolo dell’articolo di ieri. È vero esattamente il contrario: è stata la maggioranza che attraverso la proposizione di un improbabile e rischiosissimo conflitto di attribuzioni ha messo in pratica una vera e propria “fuga dal Parlamento” dalla via maestra di una soluzione legislativa.
Su questi temi delicatissimi della disciplina della fine della vita c’è stato, soprattutto al Senato nel corso della XV legislatura, un ampio dibattito che aveva anche registrato positive convergenze. Un intervento legislativo equilibrato sarebbe oggi possibile sulla base, del divieto, da un lato, di praticare ogni forma di eutanasia e, dall’altro, dell’accanimento terapeutico, si potrebbe disciplinare al contempo l’alleanza nella terapia tra medico e paziente, l’equa distribuzione delle cure palliative e l’accompagnamento terapeutico. Questi concetti sono presenti, del resto, in un ordine del giorno presentato dal Pd al Senato su questa vicenda.
La strada del conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale è costellata di errori di grammatica e rischia di diventare un pericoloso boomerang.
Non si possono sollevare conflitti contro provvedimenti giurisdizionali non ancora definitivi e il ricorso di ieri del procuratore generale di Milano contro il provvedimento della Corte di appello ne è chiaramente la prova; non si può contestare attraverso il conflitto il diritto dovere dei giudici di pronunciarsi anche nel caso di incompletezza della norma legislativa, perché in mancanza di una legge più chiara è il giudice del caso concreto che deve bilanciare i principi fondamentali anche costituzionali (art.12 delle preleggi).
Non si può in ogni caso considerare una sentenza per quanto importante della Suprema Corte di Cassazione, alla stregua di un atto legislativo perché nel nostro ordinamento quella decisione vale solo per il caso concreto deciso e non ha alcun valore di precedente vincolante in altri casi.
Ma c’è un rischio ancora più pericoloso nel voler chiamare in causa la Corte Costituzionale come una sorta di Giudice di ultima istanza sulla vicenda Englaro.
Il rischio estremamente concreto è che la Corte rifiuti molto presto un conflitto di attribuzioni così inconsistente e finisca col porre inevitabilmente, nella lettura mediatica, un ancor più pesante sigillo su tutta questa vicenda.
Di fronte ad un atteggiamento della maggioranza così miope e così irrispettoso del ruolo proprio del Parlamento che è quello di fare le leggi e di non impedire ai giudici di fare il loro dovere, non partecipare a questa messa in scena, era il minimo che si potesse fare.
Il rispetto per le istituzioni di garanzia significa anche non cercare di coinvolgerle in riti chiaramente strumentali.
* Vice Presidente Commissione Affari Costituzionali Camera dei Deputati

L’Unità 2.8.2008

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