Non sapevo di appartenre ad una lobby. Mi ci ha iscritto di diritto Di Maio, vicepresidente della Camera, per il quale i malati di tumori sono una “lobby”. Semplicemente inqualificabile. Che abbia scritto e che pensi ai malati di cancro come ad una consorteria tesa a perseguire un proprio limitato interesse (perché è questo il significato circostritto attribuito da Di Maio al termine “lobby”) restituisce la statura morale di un uomo politico che, secondo i media, si starebbe allenando per potersi sedere sulla poltrona di “premier”. Parlo a titolo personale, ma, purtroppo, ben conoscendo i fatti. Un malato di tumore non è un semplice “portatore di interessi”, è una persona che sta lottando per la vita, che vuole riconquistare la sua quotidianità, che, per queste ragioni, può sostenere un’associazione che ha tra i suoi compiti statutari la ricerca di cure più efficaci. Non c’è nulla di “lobbistico” in tutto questo. Ma Di Maio, con le sue parole, riecheggia il suo guru, Beppe Grillo che, se ricordate, nei suoi spettacoli aveva attaccato Umberto Veronesi, precursore della prevenzione per i tumori al seno attraverso lo screening mammografico, adombrando l’ipotesi che dietro ai suoi consigli, ci fossero interessi e sovvenzioni per il suo istituto. Dovette intervenire il ministro Lorenzin per ribadire il valore scientificamente provato della prevenzione e scongiurare pericolosi atteggiamenti passivi da parte delle donne malate. Evidentemente, per i 5 stelle, l’unica comunità “buona” è la loro, tutti gli altri sono, come minimo, biechi lobbisti.
Pubblicato il 22 Luglio 2016