In tarda mattinata, la Camera ha approvato una mozione, a mia prima firma, che impegna il Governo ad assumere precise misure per non sprecare il talento e il valore di migliaia di giovani diplomati che ogni anno, per decisione autonoma o per costrizione, non proseguono gli studi o la loro formazione. Tra le misure proposte e accolte dal Governo, ci sono la stabilizzazione delle risorse del Fondo integrativo per il diritto allo studio e il loro progressivo incremento, l’istituzione di una “no tax area” per gli studenti con reddito familiare basso e la relativa compensazione per i bilanci degli atenei statali nonchè l’indicazione di interventi migliorativi per la ripartizione del Fondo di finanziamento degli atenei statali, in particolare per contrastare i divari territoriali.
Per chi fosse interessato, cliccare qui per leggere il testo della mozione approvata. La discussione in Aula aveva preso avvio diverse settimane fa: ecco il mio intervento, lungo (me ne rendo conto), ma credo di poter dire anche circostanziato, senza tema di essere smentita.
In calce, chi avesse interesse all’argomento, ma poco tempo a disposizione, pongo la mia dichiarazione di voto favorevole alla mozione.
Buona lettura!
Signora Presidente, Onorevoli Colleghi,
sono decine di migliaia i giovani diplomati che ogni anno non proseguono gli studi o la loro formazione.
Questa è una gran brutta notizia, anzi, è un errore strategico per il Paese, che spreca i loro talenti, rinuncia ad investire sulla loro intelligenza, sulla loro preparazione
È un problema non da poco poiché sappiamo che sarà il talento e non il capitale a fare la differenza per la crescita di una nazione, perché a fronte della ristrutturazione planetaria delle gerarchie economiche e una profonda trasformazione demografica, le società mature come la nostra potranno reagire solo se si baseranno sulla conoscenza, per dar vita ad una società solidale, sostenibile e smart – cioè intelligente.
Non siamo attrezzati, oggi per affrontare questa sfida.
Abbiamo la maggiore dispersione scolastica in Europa, la minore percentuale di accesso all’università, il minor numero di laureati nella fascia 25-34 anni tra tutti i paesi dell’OCSE.
Le matricole sono sempre più liceali e sempre meno diplomati delle scuole tecniche e professionali. Il che significa che non garantiamo mobilità sociale e uguaglianza sostanziale.
Eppure avere più formazione, e in particolare più laureati converrebbe a tutti: al Paese e alle singole persone.
I dati smentiscono nettamente il luogo comune della laurea “pezzo di carta”: il laureato vive più a lungo, guadagna di più, ha sofferto meno gli effetti della crisi.
Se scomponiamo i dati su scala regionale, emerge poi un problema nel problema: al Sud si registrano i minori tassi di accesso all’università, quelli più alti di abbandono precoce e di fuori corso, il minor numero di laureati, la più alta percentuale di mobilità, in particolare verso le università del Nord.
Una sperequazione che non può essere ignorata, per non assistere inermi alla perdita di un pezzo di Paese, in termini di giovani talenti inespressi e di opportunità perdute.
Chi studia questi fenomeni sa che una delle cause sta nella debolezza del nostro sistema di diritto allo studio. Solo l’8,2% degli studenti ottiene una borsa di studio. In altri paesi europei siamo sopra al 20%, fino addirittura all’80% in alcuni paesi più avanzati. Ricordo poi che solo in Italia esiste la figura dell’”idoneo non beneficiario”, presente soprattutto al Sud, cioè uno studente che ha diritto alla borsa di studio, ma non la ottiene per carenza di risorse.
L’ultima legge di stabilità il Governo ha incrementato di ben 55 milioni i finanziamenti statali per il diritto allo studio: una scelta giusta ed importante che rivendichiamo con forza. Questo risultato ora deve essere stabilizzato e progressivamente incrementato, per dare certezza e aumentare l’efficacia di questo diritto costituzionalmente garantito.
E’ uno degli impegni che chiediamo al Governo, al quale si aggiunge di emanare al più presto il decreto destinato a fissare i livelli essenziali delle prestazioni del diritto allo studio e i nuovi criteri di ripartizione tra le regioni del fondo statale, in modo che si tenga conto del reale fabbisogno regionale. Solo così eviteremo di penalizzare i giovani meridionali che vanno a studiare in altre regioni, soprattutto al Nord, dove questo diritto è più concretamente esigibile.
Le tasse universitarie pagate dagli studenti sono poi troppo alte per troppe famiglie. L’Italia è al terzo posto in Europa, quando in molti paesi europei l’istruzione universitaria è gratuita o quasi. Occorre intervenire per garantire la progressività dell’imposizione e la salvaguardia dei redditi bassi e del ceto medio impoverito.
Proponiamo quindi di valutare una no-tax area per gli studenti con reddito familiare molto basso e di compensare gli atenei per il calo di gettito. Non servirebbero risorse ingenti, ma solo orientare una piccolissima parte del bilancio dello Stato ad uno scopo da sempre trascurato: favorire un maggiore accesso all’università delle fasce deboli della popolazione.
Altro fronte sul quale intervenire è quello che riguarda le modalità di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario alle università statali, in particolare della cosiddetta quota base che vale quasi 4,5 miliardi ogni anno.
Nel 2015 è stato introdotto il metodo del costo standard per studente in corso, apprezzabile per la valutazione dei costi degli atenei e per la trasparenza dei meccanismi di calcolo ma, a nostro avviso, questo strumento meriterebbe, dopo la prima applicazione, un attento studio per migliorarlo e rafforzarne i tratti di equità e giustizia.
Il cosiddetto addendo perequativo, ad esempio, per legge dovrebbe essere commisurato ai “differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università”: in realtà esso pesa per una percentuale minima sul costo standard totale per le regioni meridionali e insulari, tradendo così lo spirito e la lettera della legge.
Un altro aspetto da ricalibrare è quello della numerosità ottimale dei corsi, che conteggia i soli studenti regolari in corso, in misura eguale per tutti gli atenei. Si tratta di una penalizzazione territoriale di atenei, indipendente dalla loro qualità, perché la formula non tiene dei contesti, vale a dire della densità di popolazione, dell’attitudine ad immatricolarsi in loco, del ritardo nel conseguire il titolo per motivazioni non dovute al basso impegno: è il caso degli studenti lavoratori e part-time, o di quelli costretti ad un difficile pendolarismo dalle carenze infrastrutturali, sia del Sud che del Nord.
Vede, signora Presidente, l’uso acritico di formule aritmetiche potrebbe portare alla chiusura di corsi a carattere specialistico, soprattutto nelle aree interne e marginali.
Prendiamo i corsi di laurea in geologia, un esempio non a caso per un Paese reso fragile e insicuro dal dissesto idrogeologico come il nostro: nessuno di questi corsi raggiunge al Sud la numerosità ottimale di studenti e quindi riceve finanziamenti nettamente inferiori ai costi reali. In altre parole, questo corso è per ogni ateneo del Sud un’operazione “in perdita”, ma “suicida” sarebbe per il territorio interessato, la scelta di sopprimerlo. La risposta non può essere come qualcuno ipotizza che corsi come questi si facciano solo al Nord, perché significherebbe contribuire più di quanto non accada ora alla desertificazione tanto dei giovani talenti quanto delle agenzie formative e di sviluppo territoriale rappresentate dagli atenei e dai centri di ricerca. La risposta, semmai, sta nel razionalizzare l’offerta formativa garantendo la presenza di determinati studi almeno a livello regionale ed elaborare formule di riparto dei finanziamenti che siano eque e di sostegno al contrasto delle sperequazioni sociali, economiche e infrastrutturali.
So bene di aver compiuto un errore portando il discorso su questioni tecniche. Ma l’ho fatto volontariamente: per portare l’Aula alla consapevolezza che oggi la politica universitaria è affidata a tecnicismi, per la gran parte disposti da atti amministrativi. Non facciamo l’errore di ritrarci davanti ad essi, di sottrarci al nostro ruolo di decisori. Riappropriamoci della politica universitaria e valutiamo costi culturali, sociali ed economici di ogni decisione, per realizzare un sistema universitario nazionale solidale, sostenibile, smart, proprio come la società che vogliamo. Un sistema adeguato alle sfide del futuro ma equo rispetto ai territori e rispetto agli studenti.
E’ ciò che la nostra mozione chiede al Governo di condividere. E’ per questo che invito tutti i colleghi a votarla favorevolmente