Mi ha colpito molto vedere come il dibattito sugli episodi di violenza omofoba avvenuti in questi giorni a Roma rischiasse di risolversi nella semplice scelta di più telecamere. Mi ha colpito perché mi sarebbe apparsa una scorciatoia: un modo per concentrare tutta l’attenzione su un tema di ordine pubblico, rinunciando ad un impegno sul piano delle idee e della comprensione di quello che sta avvenendo. Il problema che abbiamo di fronte è sicuramente quello di rendere più sicuro il Gay Village o altri luoghi di ritrovo, ma frequentare questi luoghi deve essere una scelta e non un obbligo, dovuto al fatto che risultano gli unici sicuri. Soprattutto, non possiamo accettare che l’appartenenza ad una religione, una differenza di censo, il colore della pelle, la nascita in una nazione o l’orientamento sessuale possano essere la causa di una discriminazione, piccola o grande che sia. Quando dei cittadini italiani cominciano a maturare l’idea di doversene andare perché si sentono in pericolo, è oggettivo che qualcosa non va e credo sia profondamente sbagliato restare in silenzio. Tante volte, in questi mesi, ci siamo chiesti cosa sia diventata Roma, quali forze animino le correnti profonde della città, dove ci conducano le sue trasformazioni. Lo abbiamo fatto, purtroppo, spesso sull’onda di segnali allarmanti di scollamento del tessuto civile, di crescita del disagio sociale e dell’intolleranza, provenienti ormai non più solo dalle nuove periferie, ma anche dai quartieri della città consolidata. Gli stessi segnali che vediamo ingigantirsi, in questi giorni, nell’indifferenza xenofoba per la sorte dei migranti che annegano nei nostri mari come nel moltiplicarsi di odiosi atti di violenza contro la libertà di orientamento sessuale. Roma e il suo territorio si trovano oggi di fronte ad una sfida: scegliere se vivere nella circolazione globale delle diversità, come sarebbe proprio di una grande capitale, o richiudersi nella cerchia provinciale di una illusione di sicurezza che si rivolge al passato e teme l’incontro con l’altro. Oggi più che mai, io penso, questa sfida deve diventare un tema non solo locale, ma essere posto sempre di più al centro del dibattito politico nazionale, perché se il virus dell’intolleranza infetta il centro della nazione, è tutta la nazione ad essere a rischio. Roma, oggi, ha un immenso bisogno di tornare a testimoniare un’idea positiva di sé che sembra essersi in parte smarrita. E deve farlo proprio mentre si discute del suo statuto di capitale. L’anima di una città non è soltanto nuove norme e risorse da investire: è innanzitutto un sistema di valori, una percezione collettiva del proprio presente e della propria storia. Roma ha un immenso bisogno di tornare ad alimentare quel respiro che ogni qual volta si allarga la rende una città forte, intraprendente, cosmopolita. E ogni qual volta si affievolisce la chiude in un recinto di stasi e provincialismo. Roma è da sempre città dell’incontro fra le culture, meticcia e multirazziale. Fin dall’antichità imperiale, Roma era un brulicante coacervo di razze. La storia ci tramanda la testimonianza di ex schiavi, provenienti dall’Africa nera, capaci di salire ai massimi gradi dell’esercito e dell’amministrazione. La Roma cristiana, a cavallo fra medioevo ed età moderna, viveva immensi sbalzi demografici legati al flusso costante di pellegrini. Ed accoglieva il passaggio di artisti, intellettuali e pensatori di ogni paese europeo. Questa storia è la nostra storia ed è la storia che fa di Roma la più nobile metropoli del Mediterraneo. Una città che oggi deve ricostruire il suo ruolo globale e regionale: Roma può essere protagonista, anche nel terzo millennio, solo se si candida ad essere un attore universale, un luogo di incontro fra le civiltà e fra le diversità che attraversano il mondo. Questo serve anche alla competitività. Come avviene nelle aree più avanzate del mondo, dove i luoghi più sviluppati sono innanzitutto un crogiuolo globale di saperi e di competenze, luoghi dove le diversità si incontrano, convivono e si confrontano per primeggiare. Tutto questo è in qualche modo alternativo alla possibilità di vivere in una città pulita, ordinata, moderna e funzionale? Assolutamente no, anzi: solo una città civile, aperta, solidale, può essere anche una città ordinata, capaci di garantire sicurezza e qualità di vita ad ogni suoi cittadino. Roma è una città tollerante per sua cultura e natura, ma purtroppo negli ultimi tempi sta negando questa sua fondamentale vocazione. Per questo penso sia importante dare vita ad una vera e propria rivolta morale e culturale che coinvolga in prima persona Roma e i romani. Per questo può essere importante la fiaccolata cittadina contro tutti i razzismi, che sta prendendo corpo in questi giorni. Per inviare un segnale collettivo da parte di tutte le istituzioni, e delle forze economiche, civiche, sociali e religiose che hanno a cuore il futuro di Roma. Perché sia chiara la volontà di un’inversione di rotta e di apertura di una nuova fase che ci conduca ad un nuovo modello di sviluppo.
Presidente Provincia di Roma
L’Unità 29.08.09
Pubblicato il 29 Agosto 2009