Per la studiosa inglese i comportamenti pubblici e le leggi condizionano la violenza: «Ogni episodio un fallimento della nostra società» Impossibile stuprare una donna che resiste». «Il no delle donne è un sì, perché le donne in realtà lo vogliono». «Gli uomini sono facilmente accusati di stupro». Luoghi comuni ormai dimenticati?
Purtroppo no, secondo quanto sostiene Joanna Bourke, storica londinese e autrice di una vastissima ricerca sul tema della violenza sessuale dalla metà dell’Ottocento ad oggi (Stupro, Laterza, 2009), intervenendo nel dibattito de l’Unità sul silenzio e sulla voce delle donne.
Senza strizzare l’occhio né a chi relativizza la questione, né a un certo femminismo secondo cui la violenza è innata alla onnipotente natura maschile, la studiosa attacca frontalmente i «rape myths», ricordando una storica sentenza italiana del 1999, poi ribaltata, che stabilì che era impossibile stuprare una donna in jeans.
«Pensi che ci sono persino alcune donne che trovano affascinante la tesi per cui se si resiste non si può essere violentate, perché questo le fa sentire inattaccabili. Ma l’unico modo per fermare la violenza è smascherare i luoghi comuni che la alimentano, questo compreso».
Professoressa Bourke, sono solo gli uomini a stuprare?
«Solo uno su cento è donna. Tuttavia, se ci riferiamo solo alle violenze sui bambini, è possibile incontrare delle donne, in genere madri o babysitter. Ciò non vuol dire affatto che l’aggressione sessuale fa parte dell’identità maschile. Non c’è niente di “naturale” nella violenza degli uomini; anzi, gli uomini aggressivi sono il risultato di un fallimento delle nostre comunità. La violenza non è inevitabile».
Stupratori non si nasce, si diventa.
«Le domande sull’identikit fisico, psicologico e ambientale dello stupratore hanno sempre ossessionato l’opinione pubblica. In un primo momento si credeva che gli stupratori fossero uomini non evoluti, primitivi, con una certa forma delle mascelle e un pene piccolo. Queste teorie razziste sono state poi sostituite da visioni che accentuavano il ruolo della povertà e dei disordini familiari e infine, da teorie psicoanalitiche, secondo cui gli aggressori sono uomini malati che soffrono di complessi inconsci su cui non hanno alcun controllo».
Lei quale spiegazione preferisce?
«Oggi si è arrivati a riconoscere che la nozione di malattia non basta. Spesso la violenza si situa nella normale interazione tra uomo e donna. Inoltre, tutte queste teorie implicavano delle punizioni – castrazione, lobotomia, prigione – oppure delle terapie, comportamentali o psicologiche, che hanno mostrato i loro limiti».
Un partito italiano di governo inneggia alla castrazione chimica.
«Secondo lei, come può funzionare questa terapia senza la collaborazione del paziente? Inoltre, non abolendo l’odio e la paura connesse al comportamento criminale, la castrazione ormonale aumenta la pericolosità di questi individui, che spesso hanno preso misure estreme per attestare la loro mascolinità».
Perché secondo lei così poche donne denunciano le violenze (una su cinque, come lei scrive?)
«Di fronte alla struttura sociale e istituzionale, la donna può sentirsi fragile. Durante la testimonianza di stupro in un processo, ad esempio, si analizza il modo in cui si veste, l’accento, la sua attrattività, inchiodandola così al suo corpo. Poche sono in grado di sostenere questa prova».
Qual è allora la strada per combattere questo male?
«Prendere atto che lo stupro è una questione che riguarda anche gli uomini, e di conseguenza ripensare la mascolinità focalizzandosi sull’agire maschile e sul suo immaginario. Va ricordato che quando un uomo abusa di una donna, tutti gli altri ne sono offesi e che il corpo dell’uomo è un posto di piacere, non uno strumento di oppressione e di dolore».
La sua accusa è anche per i media?
«Sicuramente, perchè sono gravemente responsabili del modo stereotipato in cui riportano la violenza sessuale e più in generale i rapporti di forza tra uomo e donna. E non dimentichiamo la politica, con le sue leggi e i suoi comportamenti. Posso dire che Berlusconi ha danneggiato soprattutto l’onore degli uomini italiani?».
L’Unità 28.08.09