Chi può sentirsi davvero al sicuro in un Paese nel quale nessuno è più in grado di distinguere la differenza che passa fra il rispetto della legalità e il dovere di aiutare i disperati che fuggono da guerre, miseria, persecuzioni, carestie? Le recenti tragedie dell’immigrazione nel nostro Paese pongono a tutti noi un problema non secondario in questa vergognosa sequela di rimpalli, respingimenti e abbandoni: il tema educativo. Che Paese stiamo preparando per i nostri figli? Che idea di futuro gli stiamo trasmettendo?
E non è forse vero che il momento della difficoltà può toccare a chiunque, a ciascuno di noi, anche se non si trova a bordo di una carretta del mare ma nella comodità della propria casa, e chiunque potrebbe avere bisogno di aiuto e rendersi conto in quel momento che ha costruito una società nella quale nessuno sente più il dovere di darglielo? Ma c’è di più : cosa vuol dire educare le giovani generazioni al rispetto della sacralità della persona umana se lo Stato, per primo, ha costruito un sistema di leggi che, in maniera subdola, smonta di fatto tutti i capisaldi della Carta Costituzionale sui diritti della persona e autorizza a non sentiresi più responsabili del dolore e della difficoltà degli altri a prescindere dal colore della loro pelle, dal loro reddito e dalla loro provenienza? Si continuano a sfornare leggi ma sembra ormai smarrita la giustizia.
Eppure una società nella quale se sei un povero Cristo puoi morire in mare senza che nessuno alzi un dito, una società che codifica che se non hai la fortuna di morire in mare verrai processato allo sbarco è una società destinata a perdersi. Mi spaventa, in questi giorni, osservare non tanto un cinisrno di governo al quale ci stiamo ahimè abituando, ma un cinismo di popolo, di un popolo che ha sofferto sulla propria pelle la piaga dell’emigrazione forzata. Commenti, sondaggi, chiacchiere al bar tutto lentamente e subdolamente conduce sulla via del rovesciamento della realtà in cui le vittime diventano i criminali da perseguire e noi stessi, illudendoci di blindare le frontiere per sentirei più al sicuro, ci stiamo in realtà rinchiudendo in una prigione che rischia di stritolarci.
C’è un’aggravante in questo percorso: l’atteggiarnento del governo e di una maggioranza, che proprio della difesa della vita sembra ergersi a unica paladina durante le campagne elettorali, nei confronti della Chiesa. Una Chiesa che invece viene usata come un franchising:
si plaude a ciò che fa comodo, si respinge o la si insulta quando richiama argomenti scottanti per gli equilibri politici interni. E dunque a una Chiesa scomoda soprattutto quando richiama al dovere della coerenza si cerca di contrapporre una Chiesa della convenienza. In questo panorama spiace davvero dover osservare che il virus della convenienza si è fatto strada anche in uno dei grandi appuntamenti estivi del mondo cattolico, il Meeting di Rimini. Spiace dover osservare l’imbarazzo con il quale anche alti responsabili dell’organizzazione hanno dovuto giustificare, quasi chiedendone scusa, il proprio schierarsi a fianco della Chiesa nella polemica scatenata dalla Lega sull’immigrazione.
E spiare ancor di più che proprio in uno dei luoghi simbolo per chi abbia a cuore l’educazione dei giovani, non si sia sentita fino ad ora una presa di distanza netta da atteggiamenti discutibili e ormai unanimemente censurati sulla condotta di chi ci govema: non spetta a noi, si è detto, noi stimiamo chi governa per la politica che fa. E non fa parte della politica trasmettere modelli coerenti ai giovani? Non è politica educare al rispetto della dignità della persona? Non è forse questo il governo che ogni giorno ripete di voler promuovere il merito, le capacità salvo poi trasmettere il messaggio che se vuoi fare strada è meglio conoscere le persone giuste al momento giusto ed entrare nei giri che contano? Il titolo del Meeting di quest’anno, paradossalmente, è che La conoscenza è sempre un avvenimento ma immaginiamo che di altro tipo di conoscenze voglia farsi promotore.
Non è compito della politica, soprattutto dei cattolici in politica, offrire ed esigere coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa? E da quando, se è lecito, si è deciso di stravolgere la massima evangelica codificando non che il vostro agire sia sì, sì, no, no ma diventi ni, ni ?
E allora tomiamo alla domanda iniziale: che Paese e che esempi stiamo, offrendo ai giovani dai quali, invece, continuiamo a pretendere gli stessi valori di civiltà che gli neghiamo quotidianamente? In gioco c’è il futuro di un’intera generazione, un futuro senza scampo, se continueremo a offrire impulsi educativi incoerenti e contraddittori insieme all’immagine di una politica compiacente quando serve, nella quale non si chiede più conto a nessuno di quello che fa ma solo di quello che dice.
Il Messaggero 28.08.09