Girano tranquilli, indisturbati, liberi per il mondo, i più in Germania e in Austria. Eppure sono assassini, anzi pluriassassini. Eppure sono stati condannati all’ergastolo con sentenze definitive. Eppure si sono macchiati di delitti che ogni civiltà rifiuta: stupri, rapine, violenze di ogni tipo, massacri a danno di civili inermi perché vecchi, perché donne, perché bambini, perché adulti che avevano per le mani solo arnesi casalinghi o di lavoro. Sono una ventina, scherani delle SS, che insieme alle camice nere di Salò hanno sparso sangue nel nostro paese, fra l’8 settembre del 1943 e il 25 aprile del 1945. Un mare di sangue perché le loro vittime, la cui conta che ora l’Anpi nazionale chiede che venga fatta, assommano a decine e decine di migliaia, compresi i nostri soldatini ammazzati dopo che avevano alzato bandiera bianca.
Nei loro naturali e giusti alloggiamenti di questi carnefici ce ne sono soltanto due: Erich Priebke, uno degli sterminatori delle Ardeatine, la sua storia è troppo nota per raccontarla ancora, è agli arresti domiciliari con licenza di passeggiate cittadine; e Michael Seifert, ucraino di fregole hitleriane: dei circa cinquanta prigionieri uccisi nel lager di Bolzano, lui, da solo e nei modi più efferati, ne fece fuori dodici o tredici. Non si conosce la misteriosa ragione per cui dal Canada, dove si era rifugiato dopo la guerra, fu estradato in Italia, a differenza di tutti gli altri suoi colleghi in criminalità. Ora è nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Quando nel giugno del 1994 fu scoperto l’armadio della vergogna, di cui i fascisti di ieri, di oggi e probabilmente di domani si ostinano pervicacemente a negare l’esistenza, i 695 fascicoli che conteneva, ingialliti, polverosi, slabbrati, molti neanche tradotti dall’inglese o dal tedesco, furono distribuiti alle procure militari territoriali. Ci vollero circa due anni per questa ripartizione, si arrivò così a mezzo secolo e un anno di distanza dai fatti.
È vero che in 415 di quei fascicoli c’erano già da allora i nomi dei nazifascisti assassini, ma molti di loro, l’enorme maggioranza, era passata nell’aldilà per motivi naturali o in combattimento o per sacrosante vendette. Idem per i testimoni. Ma è anche vero, non ne ho le prove, ma sarei pronto a comportarmi alla Muzio Scevola se mi venisse dimostrato il contrario, che quella montagna di carte fu trattata, in generale, con sufficiente distacco, se non con estrema faciloneria. Tutt’al più furono inviate lettere in burocratese alle alle autorità tedesche. E le risposte furono dello stesso tenore, altrimenti non si spiega come mai l’ufficiale nazista Otmar Mühlauser che comandò i plotoni di esecuzione a Cefalonia, la cui esistenza in vita fu scoperta in Germania, dove peraltro i suoi delitti furono prescritti, viene processato in Italia soltanto oggi, prossima udienza a novembre del 2009: i suoi delitti risalgono al settembre del 1943. Fecero a questo andazzo eccezione le procure militari di Torino, Verona e La Spezia. Con enorme dispendio di energie e, necessariamente, di denaro, furono scoperti criminali ancora in vita, furono messi su i relativi processi, tra cui quelli per le stragi di Sant’Anna di Stazzema e di Marzabotto, ambedue passati in giudicato. E furono emesse le relative sentenze: ergastoli. I beneficiari, anzi i maleficiari sono circa venti, il circa è d’obbligo in quanto alcuni nel frattempo potrebbero essere deceduti, ma nessuno di loro ha neanche visto da lontano una parvenza di sbarre. All’apertura dell’anno giudiziario l’11 febbraio di quest’anno, il procuratore generale presso la Corte militare di appello, Fabrizio Fabretti, ha rilevato questa enorme anomalia: possibile che le sentenze non vengano eseguite? Nessuno ha risposto. Né il ministro degli Esteri, Franco Frattini, che sempre di più sembra la classica rana degli apologhi di Esopo e di Fedro, quella che sta per scoppiare a seguito di una botta di presunzione. Né il ministro della Difesa Ignazio La Russa, che tuttavia ha dalla sua parte la scusante di essere quanto meno discendente politico di coloro che con rara efficacia dettero una mano alle SS, cioè i repubblichini. Né il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che pensa solo a bloccare le intercettazioni e al dolo per cui qualsiasi cosa faccia il suo capo nessuno lo può toccare. Né il suo capo, infine, sino a quando personaggi che si ammantano della qualifica di giornalisti, come quel Franco Gizzi, fratello del capoufficio stampa della Regione pidiellina dell’Abruzzo – lo ha scritto Gian Antonio Stella sul “Corriere della Sera” – si rivolgeranno a lui con affermazioni del tipo «…ci ha fatto sognare…»
Ma un appello, rispettoso al massimo, va rivolto anche al capo dello Stato. Secondo me, giustamente, lui è intervenuto sulla mancata estradizione del terrorista rosso Cesare Battisti, condannato all’ergastolo dalla giustizia italiana. Ma anche la giustizia militare è italiana. Allora perché questa discrasia?
Al termine del processo di primo grado per la strage di Fivizzano, conclusosi con la condanna a vita di 9 nazisti, il presidente Agostino Quistelli ha commentato: «Spero che la condanna venga eseguita. Lo spero per il popolo in nome del quale ho emesso la sentenza e in nome della giustizia, che deve essere pienamente compiuta. Altrimenti che senso ha un processo?»
P.S. In Germania, paese da dove arrivarono i lanzichenecchi di Hitler, è stato condannato all’ergastolo il nazista responsabile della strage di Falzano di Cortona In Italia, paese delle vittime, si è atteso pazientemente la morte dell’ultimo massacratore di Cefalonia. Per non infastidire lui o chi altri? Viva questa germania, abbasso questa Italia.
L’Unità 28.08.09
Pubblicato il 28 Agosto 2009