Nell’azione di ricostruzione non partiamo da zero. Possiamo anzi muovere da alcune posizioni di vantaggio. Molte imprese sono state capaci di avviare un processo di ammodernamento tecnologico e organizzativo, anche migrando dal comparto originario per entrare in segmenti connotati da più elevata intensità tecnologica dei prodotti, come hanno mostrato le indagini della Banca d’Italia.
Il ritardo di competitività che si è accumulato dalla metà degli Anni Novanta è ancora ampio, ma il quadro che emerge è dinamico. Ciò indica che non pochi imprenditori sanno ancora far bene il loro mestiere. […]
Disponiamo poi di una altra risorsa, potenzialmente di grande rilevanza per la nostra economia, la disponibilità di lavoro straniero; ma potremo utilizzarla solo se saranno governati i gravi problemi che essa pone sotto il profilo della integrazione sociale e culturale. Fino agli Anni Ottanta il saldo migratorio dell’Italia è stato negativo; negli ultimi venti anni il numero di stranieri residenti è progressivamente salito fino a 3,4 milioni all’inizio del 2008 (il 6 per cento della popolazione). Tenendo conto delle persone presenti ma non iscritte alle anagrafi e di quelle che non dispongono di un permesso di soggiorno, il numero complessivo dovrebbe essere pari alla stessa data a circa 4,3 milioni.
I cittadini stranieri in Italia sono in media più giovani e meno istruiti degli italiani ma partecipano in misura maggiore al mercato del lavoro e svolgono mansioni spesso importanti per la società e l’economia italiane, anche se poco retribuite. Non si rilevano d’altra parte conseguenze negative apprezzabili sulle prospettive occupazionali degli italiani, un risultato che emerge dalla grande maggioranza degli studi svolti nei Paesi a elevata immigrazione. Affinché la nostra economia colga appieno l’opportunità offerta dal lavoro straniero occorre combattere la tendenza alla marginalizzazione degli studenti stranieri in atto nel sistema di istruzione italiano. La segnalano i ritardi di apprendimento, significativi già nella scuola primaria, e gli elevati tassi di abbandono nei gradi scolastici successivi; vi contribuisce solo in parte l’esposizione a contesti familiari meno favorevoli. Esercizi basati su recenti proiezioni demografiche dell’Istat suggeriscono che entro il 2050 circa un terzo delle persone residenti in Italia con meno di 24 anni avrà almeno un genitore straniero, un valore in linea con quello registrato oggi negli Usa e in Canada. Questo significa che la componente straniera della popolazione contribuirà in misura significativa a determinare il livello e la qualità del capitale umano su cui si fonderà la nostra economia, condizionandone il ritmo di crescita.
Un terzo punto di forza discende dai primi interventi messi in cantiere negli ultimi anni. Sono stati compiuti passi significativi per avviare riforme nel settore del mercato del lavoro e dell’istruzione nonché nella direzione di rafforzare la concorrenza in alcuni settori tradizionalmente «protetti», generando benefici apprezzabili per i consumatori e per l’occupazione. La recente riforma della pubblica amministrazione s’incentra su un largo spettro di interventi e pone al centro importanti principi quali la trasparenza e il collegamento fra retribuzione e performance; gli effetti sulla qualità dell’azione amministrativa dipenderanno naturalmente dalle modalità di attuazione.
Una riforma ancora più impegnativa, il federalismo fiscale, avrà riflessi diretti su tutti i problemi strutturali italiani, in particolare sui tre di cui ho brevemente detto: capitale umano e sistema di istruzione, mercato del lavoro e protezione sociale, gli squilibri Nord-Sud. Essa può contribuire in misura decisiva a una allocazione più efficiente dei compiti affidati ai vari livelli dell’amministrazione pubblica. La Banca d’Italia ha sottolineato più volte come la condizione necessaria affinché il federalismo fiscale produca i benefici che se ne attendono è che esso sia effettivo e non virtuale, cioè che si stabilisca un collegamento stretto fra decisioni di spesa e decisioni di entrata, fermo restando il principio di solidarietà. […]
L’apertura alle capacità, ai talenti, al merito, alla concorrenza è un valore oggi condiviso da una grande maggioranza; è il mezzo principale per contrastare corporazioni, rendite, clientele che gravano sulla crescita del Paese.
L’eguaglianza delle opportunità è uno strumento che avvantaggia anche i meno capaci, grazie all’incremento di efficienza conseguito dal sistema nel suo complesso. Essa implica però il rischio che vantaggi e svantaggi sociali siano generati dalla distribuzione naturale dei talenti o dalle diverse possibilità di sviluppo di questi ultimi determinate da contesti sociali e familiari disomogenei. Occorre quindi una istanza compensativa di natura etica, ispirata all’ideale di solidarietà.
Il rapporto fra la ricerca umana di benessere materiale e la carità cristiana, affrontato da ultimo anche dalla Caritas in veritate di Benedetto XVI, percorre la dottrina sociale della Chiesa cattolica. Valutazioni di natura etica compaiono sempre più spesso anche nella ricerca teorica in economia.
I tre problemi di struttura dell’economia italiana che ho prima evocato richiedono allo stesso tempo apertura al merito e solidarietà, ricerca dell’efficienza e equità. […]
Le opzioni di politica economica che abbiamo di fronte si situano in un terreno comune, condiviso: un bene di grande valore per uscire dalla crisi con slancio e riprendere quella crescita che il Paese ha saputo sostenere nell’arco di un trentennio dopo la guerra.
* Questo è uno stralcio del discorso che il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha tenuto ieri al Meeting di Rimini
La Stampa, 27 agosto 2009
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